6 febbraio 2013
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Biografia di Benedetti Alessandro
Sassuolo (Modena) 13 luglio 1961. Finanziere. Nel 2005 regista della cessione di Wind, la compagnia telefonica dell’Enel, all’egiziano Naguib Sawiris, nel 2007 l’ha trascinato in giudizio rivendicando il 30% di Weather II, società che controlla Orascom e Wind, nel giugno 2009 l’Alta Corte di Londra ha respinto la sua richiesta stimando però in 75 milioni di euro più gli interessi il suo ruolo nella vicenda
• Nel giugno 2011 ha comprato il 14% di Methorios, merchant bank capitolina quotata sull’Aim Italia. «Dopo sei anni dall’operazione Wind, Benedetti torna a Roma a occuparsi ancora di fusioni, acquisizioni e finanza straordinaria. Il costo per diventare azionista? 10 milioni di euro. Poco meno di quanto incassato (14 milioni) con la causa a Sawiris» [Sole 24 Ore, 7/6/2011].
• «Quando si fa il nome di Alessandro Benedetti (...) la reazione è unanime: “un grande”, dicono tutti. Anzi di più: ” un mito” (...) La sua dote principale: essere un grande affabulatore. Da flauto magico. Capace di incantare sia topini della campagna emiliana, dov’era noto con il nomignolo di "zio Benny", sia figure di spicco della finanza milanese, dov’è stato riverito come il broker della più grande acquisizione a leva finanziaria mai fatta in Europa, quella di Wind da parte dell’imprenditore Naguib Sawiris. (...) una volta tanto non si esagera nel dire che la sua vita è un romanzo. Romanzo che, come (...) ha detto un avvocato che lo conosce bene, lui vorrebbe non si scrivesse mai. E del quale solo lui possiede tutte le chiavi di lettura. (...) Innanzitutto (...) è una fenice (...) è già morto e risorto quattro volte. Dopo il fallimento dell’azienda di gru dei genitori a Sassuolo, cittadina nel Modenese dov’è nato. Dopo il fallimento di due sue società, la Mineraria Italiana e la Francescato. Dopo il crack dell’azienda torinese Commertec. Dopo quella della milanese Magnetofoni Castelli. Questa serie continua di picchi e di crolli gli ha instillato un grande spirito di adattamento. Sia chiaro: sin da giovanissimo la sua preferenza è sempre stata per le ville ultra-lussuose, gli alberghi a cinque stelle, le Ferrari e le Mercedes. Ma con il tempo, visti i molti incidenti di percorso, ha saputo adattarsi anche alle galere e alle Panda. In inglese, lingua che parla fluentemente (così come il francese e secondo alcuni il russo e l’arabo), lo si definirebbe un survivor. Che non vuol dire susperstite. Né sopravvissuto. Vuol dire uno che riesce sempre e comunque a rimanere a galla. (...) è stato più volte accusato e rinviato a giudizio (...) In Francia è stato in carcere e in obbligo di dimora, e in Italia ha beneficiato di atti legislativi che hanno depenalizzato i reati per cui era stato condannato, e ridotto i termini di prescrizione di reati per cui era sotto giudizio. Per esempio, lui ama dire a tutti che è stato assolto nel procedimento per la bancarotta della Magnetofoni Castelli. Non è così. semplicemente successo che il reato è caduto in prescrizione. Di più: una condanna, vera e definitiva, seppure patteggiata, c’è. Il Sole 24 Ore ha trovato la sentenza. del 12 giugno 2003 (...) Del tribunale di Torino. Riguarda la bancarotta della Commertec. (...) “Nel corso dell’udienza preliminare, l’imputato proponeva l’applicazione della seguente pena subordinata al beneficio della sospensione condizionale: anni tre e mesi sei di reclusione, ridotta per le concesse attenuanti a anni due e mesi quattro di reclusione, ridotta per rito a anni uno e mesi sette di reclusione. La richiesta della parti va accolta... (perché) non sussistono i presupposti per la sentenza di assoluzione... concedibile il beneficio della sospensione condizionale della pena, trattandosi di persona non gravata da precedenti condanne (posto che risulta la revoca, con l’ordinanza del tribunale di Milano del 20 settembre 2002, delle precedenti condanne per reati depenalizzati)” (...) Chiunque, negli ultimi venti anni, abbia avuto a che fare con Alessandro Benedetti sa che non nasconde in alcun modo - anzi non esita a manifestare apertamente - il suo ebraismo. Il cognome Benedetti, come De Benedetti, può in effetti provenire dall’ebraico Baruch, e quindi testimoniare un’origine israelita. Ma non è questo il caso. Come ci hanno confermato molti membri, la famiglia Benedetti di Sassuolo è "cattolicissima". Altrettanto cattolica è la famiglia Franzoni, quella della madre di Alessandro. Anche per questo, Benedetti fece le elementari dalle suore del Santa Rita, a Bologna, e a 10-12 anni frequentò la parrocchia di San Filippo e Giacomo (anche se più che altro per giocare a pallone nel campetto di cemento). Non si può quindi che arrivare a una conclusione: si è ”convertito”. Il Sole 24 Ore ha trovato due testimoni di tale memorabile evento. Il primo è un avvocato emiliano che negli anni 80 ebbe un rapporto professionale con Benedetti: ”Un giorno mi disse: se lascio credere di essere ebreo è perché nel mondo i grandi affari li fanno gli ebrei”. Ancora più puntuale è il ricordo di Giorgio M., cugino di primo grado da parte di madre (e per gli ebrei la discendenza è matrilinea): ”Attorno al 1986 ha cominciato a fare l’ebreo. Mi ricordo che eravamo insieme nella villa che aveva a Beaulieu-sur Mer. Venne da me e mi dette una collanina d’oro con la stella di Davide. Voleva che la portassi quando stavo con lui e disse che da allora in poi mi avrebbe chiamato Joshua. Motivo: mi spiegò che per entrare in certi salotti e fare certi affari occorre essere ebrei. Da allora arredò i comodini di casa con libri sulla religione ebraica e cominciò a dire a tutti che era di famiglia ebraica”. Sin da giovanissimo, non c’è dubbio, aveva idee chiare e grandi ambizioni. A 17 anni si innamorò della Ferrari 365 Gtb, il cosiddetto ”gobbone”. E la madre gliene comprò subito una nera. Non certo come premio per i suoi risultati scolastici. Chi lo conosceva bene (...) dice infatti che ”a scuola non era certo uno studente superdiligente”. Al contrario, la maturità la ottenne facendo due anni in uno. Al Giovanni Pascoli di Bologna, un istituto privato all’epoca frequentato da ragazzi accademicamente svantaggiati. La madre, che prima di riconvertirsi in manager dell’azienda di gru del marito era stata maestra, aveva evidentemente capito che lo studio non faceva per lui. Tant’è che la sua carriera scolastica finì con l’esperienzaal Pascoli. Lei comunque stravedeva per il suo ragazzo, unico figlio maschio. Era convinta che sarebbe andato lontano. Imparando sul campo. E così in effetti è stato. Anche se sul campo ha lasciato una scia di cadaveri (societari). Ecco come Benedetti stesso ricostruisce i propri albori imprenditoriali in un memorandum depositato in uno degli innumerevoli tribunali che si sono occupati di lui: “Nel 1980 iniziai un’attività imprenditoriale con l’aiuto di un gruppo di amici e conoscenti, raccolsi capitali e creai una società, la Swissital Spa, inizialmente facente capo praticamente solo a me. Successivamente, allargai le mie attività associandomi al dottor Guido H., sino al 1983 responsabile per i finanziamenti di progetti industriali in Paesi in via di sviluppo della Banca mondiale di Washington... Nel 1983, la (nostra) prima operazione fu di acquistare la società Mineraria Italiana Spa... detentrice della più grande miniera d’amianto d’Europa. (Poiché) la società si trovava con importanti liquidità da investire, (decidemmo) di entrare nel settore chimico, attraverso l’acquisizione della società Francescato Spa... (l’altro socio), il dottor Padova, mi propose poi di incrementare la nostra posizione di mercato... attraverso acquisizioni di società concorrenti... Su suggerimento di Padova, le società acquisende non sarebbero però formalmente figurate nostre... Le società fallirono, e io che non avevo fatto altro che trovare un’immensa quantità di capitali, mi ritrovai rovinato, indebitato, con fideiussioni di vari istituti di credito per svariati miliardi. In totale buona fede, in quanto non capivo un bel niente di contabilità. Credevo alle situazioni che mi venivano presentate. Sottolineo inoltre che in detto periodo ero sottoposto a trattamenti neurologici in quanto malato di una forma di grave stato di stress e depressione, condizione che certo non aiutava a svolgere le mie funzioni di amministratore con la vigilanza che sarebbe stata d’obbligo”. Insomma, il fallimento di Mineraria e di Francescato non era in alcun modo attribuibile a Benedetti, che però trascurò di dire che nel periodo in questione aveva fatto la vita da nababbo. Con la sua Mercedes 500 Sec dotata di radiotelefono (si parla dei primi anni 80!), una villa megagalattica a Beaulieu- sur-Mer, sulla riviera francese, e uno splendido appartamento preso in affitto in via Montenapoleone, a Milano, a una cifra definita da un testimone ”assolutamente fuori dal mondo”. Ben diversa è la ricostruzione fatta dall’ex funzionario della Banca Mondiale, il dottor Guido H. che, rintracciato dal Sole 24 Ore,ha dichiarato: ”Con l’acquisto della Francescato cominciò un vorticoso giro di fatturazioni e anticipi di fatture incrociati. La Francescato fatturava alla Mineraria, che si faceva anticipare i soldi dalle banche e così via a catena. Mi accorsi ben presto che tipo fosse Benedetti e per questo mi dimisi dal consiglio assicurandomi di verbalizzare la motivazione, e cioè il mio dissenso da quelle prassi. Il mio rapporto con lui fu quindi fortunatamente brevissimo. Si è consumato tutto nel giro di un anno”. Ben più dettagliato è il rapporto “di accertamento di illeciti valutari”, successivamente depenalizzati, redatto l’11 aprile 1989 dalla Guardia di finanza sulle due società di Benedetti. (...) “Le operazioni ispettive... si sono concluse in data odierna, con il rilevamento delle seguenti violazioni... illecita costruzione di disponibilità all’estero conseguenti alla interposizione fittizia di società di comodo inglesi... L’intervento delle società schermo, o di comodo, è consistito nel fatturare alle imprese italiane le merci da queste ultime acquistate presso i vari mercati esteri a un prezzo superiore a quello praticato dal fornitore. Si noti che la compilazione materiale di tali fatture false è avvenuta presso le sedi delle due imprese italiane, utilizzando appositi stampati in bianco intestati alle predette società estere di comodo... evidente quindi che l’utilizzo di dette società di schermo è servito per trasferire o comunque costituire disponibilità all’estero e precisamente in Svizzera. Gli importi risultanti dalle false fatture sono stati, infatti, trasferiti presso la Banca Svizzera Italiana di Lugano e presso la Compafina Bank di Ginevra nei conti bancari accesi a nome delle citate società di comodo”. Vale la pena aprire anche una breve parentesi sulla grandiosa villa, chiamata Roc Fleuri, a Beaulieu. In un suo interrogatorio, Benedetti dirà che a dargliela come compenso per il suo ruolo in attività da lui svolte in Libia fu l’immobiliarista di Bologna Marco Fier. Il Sole 24 Ore ha chiesto conferma. Ecco che cos’ha risposto Fier: “Questo sogna. Lo escludo nel modo più tassativo. Benedetti non ha alcun collegamento con la mia attività in Libia. una palla clamorosa”. (...) Occorrerà attendere la vicenda della società milanese Magnetofoni Castelli perché emergano fino in fondo le doti di Benedetti in materia di giochi di prestigio contabile. Il salto di qualità risulta evidente dalla lettura della testimonianza del consulente tecnico al Pm di Milano che si occupava del caso, Giulia Perrotti: “Vi sono cento società in questa vicenda. Ci sono società ai Caraibi, società panamensi, a Montecarlo, inglesi, svizzere, lussemburghesi, olandesi. Insomma, si coprono un po’ tutte le giurisdizioni”. Il perito parla di 21mila registrazioni contabili, svolte tra il 1990 e il 1993, “molte delle quali incomprensibili e difficilmente inquadrabili”, e di ”innumerevoli registrazioni di giroconto, storni di registrazioni, attribuzione di più numeri identificativi di conto a medesimi centri di imputazione contabile”. Insomma, avendo raggiunto i trent’anni, l’enfant prodige di Sassuolo passò a fare le cose in grande. Per questo ebbe però bisogno di creare un piccolo team di collaboratori. C’era un ragazzino libanese, un francese con un’agenzia di modelle, un buttafuori bolognese e un altro paio di emiliani di varia specie. “Tra noi professionisti - avvocati e commercialisti - che seguivamo le loro attività, erano noti come gli allegri ragazzi di Nottingham. Benedetti, ovviamente, era Robin Hood”, (...) dice un avvocato emiliano. Secondo questo scenario, il ricco da depredare sarebbe stato Salvatore Ligresti, il costruttore siciliano attivo a Milano sin dagli anni 70, per il quale Benedetti lavorò tra il 1989 e il 1993, periodo in cui furono fatte svanire decine di miliardi di lire. (...) versione fornita da Benedetti: “L’idea dell’iniziativa era che per operazioni importanti io dovevo mettere a disposizione delle controparti, cioè... le mie relazioni, le mie conoscenze... Questi progetti venivano proposti al gruppo Ligresti... mi occupavo di portargli le operazioni commerciali e di fare le strutture estere; successivamente divenni operatore fiduciario... comperavo prodotti e vendevo prodotti, o reperivo opportunità d’investimento”. E se alla fine le cose andarono male, non fu certo per colpa sua: ”Le operazioni che ho fatto io, commerciali, sono sempre state a reddito e hanno sempre guadagnato soldi. Sembrerà allucinante, ma è la verità: io ho sempre fatto operazioni dove la Magnetofoni Castelli ha guadagnato soldi. (Solo) quando il Gruppo Ligresti interruppe il suo supporto finanziario, i progetti importanti andarono persi e si produssero questi risultati negativi... Io non ho rubato niente... (...) non ho niente da nascondere... E spero che prima o poi si faccia chiarezza totale” (...) Per il dottore commercialista Gian Gaetano Bellavia, all’epoca consulente tecnico del Pm (...) chiarezza è stata abbondantemente fatta. “Un dato è inconstestabile: tutta quella marea di soldi fu canalizzata all’estero con fatturazioni e società inventate” (...) per i dettagli (...) rimanda alla sua perizia (...) “Il 25 settembre 1996, a seguito di apposita rogatoria, la Polizia giudiziaria di Nizza procedeva alla perquisizione domiciliare di Alessandro Benedetti presso il suo domicilio di Beaulieu-sur-Mer... Si allega la documentazione relativa alla Mouette Azur Sa, società, proprietaria della lussuosa villa a Beaulieu... (da cui) risulta che la signora Franzoni e il figlio Alessandro Benedetti mensilmente fatturavano somme di assoluto rilievo per ”assistenza nella gestione adempimenti legali e amministrativi relativi alla proprietà’... per circa 500 milioni di lire. Ogni commento nel merito appare superfluo... Si allega anche il ”prospetto valori periziati o valutati’. Si tratta, con tutta probabilità, di un’esercitazione tra le più gradite a Benedetti: quella di attribuire valori incredibilmente elevati ad attività in realtà quasi inesistenti... L’apoteosi sulle capacità di spesa del Benedetti emerge nella sua pienezza dai successivi allegati i quali, a parere dello scrivente, meritano un più approfondito commento. Si tratta della consuntivazione delle spese, presumibilmente sostenute da Benedetti nel periodo dal 1989 al 1991, che nel primo prospetto consuntivano già oltre 38 miliardi di lire, nel secondo addirittura oltre 65 miliardi di lire... Il prospetto inizia col consuntivare i costi sostenuti da Benedetti per le famose feste con le ”hostess.’ Ebbene il Benedetti riporta di aver sostenuto per tali piacevoli meeting in poco più di due anni l’incredibile spesa di oltre 1,3 miliardi di lire di cui 700 milioni direttamente per le hostess, e altri 112 milioni di spese di viaggio per i loro trasferimenti. Infine, si allega altra documentazione relativa alle note spese di Alessandro Benedetti, evidentemente per Magnetofoni Castelli. Complessivamente Benedetti ha consuntivato spese in poco più di due anni per oltre 334 milioni di lire con una media di spese da 10 ai 20 milioni al mese. Non ci si deve però stupire di tali spese perché... i suoi alberghi preferiti a Parigi erano il George V, l’Hotel de Crillon e il Plaza Athénée. Di meglio effettivamente non c’è. I suoi soggiorni parigini erano lunghi, per cui spendere 2 o 3 milioni di lire al giorno era molto facile soprattutto quando faceva ”shopping’ da Hermès, Chanel, Les Copains, Armani, eccetera. Quando si ruppe il giocattolo Magnetofoni Castelli, però, Benedetti pensò bene di lasciare un buco anche all’American Express, alla quale non pagò l’ultimo mese di spese con le carte, per circa 40 milioni di lire”. La conclusione di Bellavia è lapidaria: ”Dulcis in fundo, si allegano altri documenti, a parere dello scrivente assolutamente risolventi circa il ruolo di Benedetti per la creazione e la realizzazione delle operazioni di trading e delle movimentazioni finanziarie utilizzate per distrarre i denari dalla società fallita. Si tratta di una serie di carte intestate di numerose società estere realizzate evidentemente da Benedetti sul proprio personal computer, il cui possesso da parte del Benedetti stesso mostra come questi in qualunque momento potesse effettuare qualsiasi operazione economica o finanziaria utilizzando le più disparate società off-shore, comodamente seduto nel parco della sua lussuosa villa a Beaulieu. Si ritiene che tutti i fatti e le circostanze in precedenza descritti e documentati non meritino ulteriori osservazioni conclusive che apparirebbero ridondanti rispetto alla chiarezza dei documenti stessi. Si rimane, comunque, a disposizione per qualsiasi chiarimento dovesse necessitare. Con osservanza”. ”Alessandro ha un grandissimo intuito su come generare denaro montando e smontando scatole di carta – conclude un altro suo ex socio, lui pure uscito scottato dall’esperienza con Benedetti ”. La sua storia imprenditoriale è sempre la stessa: prende un’azienda, sviluppa il fatturato a ritmi forsennati e poi fonde il motore. Dopodiché se ne va. Lasciando dietro di sé il deserto”. Attila da Sassuolo» [Claudio Gatti, ”Il Sole-24 Ore” 11/3/2008]
• «(...) Quando è entrato nel salotto di Maria Angiolillo a braccetto con Vincenzo De Bustis, capo della Deutsche Bank italiana, quasi nessuno lo ha riconosciuto. Eppure (...) è il regista di un’operazione che vale 12 miliardi di euro: la cessione di Wind, la compagnia telefonica dell’Enel guidata da Tommaso Pompei, all’egiziano Naguib Sawiris (...) Benedetti è un personaggio tutto da raccontare. (...) Piccoli spunti da una biografia a perdifiato: a 25 anni controlla un gruppo chimico da 50 miliardi di fatturato. Due anni dopo fallisce lasciando dietro di sé una scia di debiti. A 29 anni risorge come amministratore di fatto della Emmeci Magnetofoni Castelli al fianco di alcuni manager del gruppo Ligresti, e a 33 anni è travolto di nuovo dall’onda lunga di Mani Pulite. Accusato di bancarotta ripara in Costa Azzurra e nel 1996 finisce in galera. In pochi mesi risale la china ed è già in giro per l’Europa come consulente del professore della Sorbona Jean Jacques Prevost. Al pm ha raccontato: ”Seguivo uno studio per uniformare il diritto societario dei paesi europei”. Quando gli hanno chiesto: ”Ma perché lei ha una specifica conoscenza del diritto comunitario?”, lui ha replicato serafico: ”No. In compenso conosco molta gente”. Benedetti è fatto così. Nella sua vita contano i contatti più delle competenze. (...) La sua traiettoria segue quella della cronaca politica italiana: incrocia lo splendore della Milano da bere e la gelata di Mani Pulite. Nel 1996 passa dalle riunioni di lavoro in Costa Azzurrra ”dove si facevano affari per decine di miliardi con i manager del gruppo Ligresti in mutande davanti al croissant”, alla cella di Nizza. I pm gli contestano di avere distratto con altri amministratori del gruppo Emmeci una sessantina di miliardi di lire. L’accusa si basa su una monumentale relazione del perito Gaetano Bellavia che segue i percorsi tortuosi di decine miliardi di lire provenienti dalle finanziarie del gruppo Ligresti, smistate dalla Emmeci e finite a ignoti beneficiari, estero su estero. (...) Benedetti spiega: ”Ero il cassiere estero del gruppo Ligresti e ho solo eseguito ordini di manager del gruppo Ligresti, come Rapisarda e Giorgio Berton”. Benedetti non dice a chi andavano i soldi, ma porta una prova logica a suo discarico: ”Quelle società erano controllate dal gruppo Ligresti che aveva in pegno i diritti di voto. Eppure nessuno si è mai opposto. Perché? La verità è che le società erano del gruppo Ligresti e io le gestivo fiduciariamente”. Ligresti sostiene invece di non averne mai saputo nulla anche se non si è costituito parte civile nel processo. Qualunque fosse il suo ruolo, tesoriere estero del gruppo ovvero amministratore infedele che ha trafugato la cassa di Emmeci, Benedetti in quegli anni se la spassava. Secondo la relazione di Bellavia il gruppo ha speso 6,3 miliardi del 1990 per comprare la sua villa principesca a Beaulieu, in Costa Azzurra e altri 3 miliardi e mezzo per l’attico-ufficio a Parigi. Alle spese spicciole pensava mamma Marisa che - secondo la relazione - non faceva mancare nulla al figliolo: 334 milioni di lire con una media di 10-20 milioni al mese tra fatture di alberghi a Parigi (Plaza, Crillon e George V) e shopping (Hermes, Les Copains, Chanel e Armani). Non manca una fattura ”per l’acquisto di tre sale da pranzo, nove salotti e dulcis in fundo 10 camere da letto”. Il prospetto delle spese trovato nella villa Benedetti si apre con il capitolo hostess. ”C’era un ragazzo di Torino, Ruben Loro, che si occupava di trovarle”, ha raccontato Benedetti al pm Giulia Perrotti, ”a lui fu data in regalo una macchina. Poi c’erano due persone a Parigi che si occupavano di organizzare le feste”. Secondo la relazione del perito del pm, Gaetano Bellavia: ”Benedetti riporta di avere sostenuto per questi piacevoli meeting in poco più di due anni l’incredibile spesa di oltre 1,3 miliardi di lire, dei quali 700 milioni direttamente per le hostess e 140 milioni per Ruben Loro qualificato come responsabile delle pubbliche relazioni, più 112 milioni di lire per spese di viaggio delle hostess, 56 milioni di lire per il pagamento dei regali e il restante suddiviso tra rimborsi vari e vestiti”. Oggi Benedetti guarda con distacco a quelle storie di gioventù. Non si pente di nulla ma due cose tiene a precisarle: ”La villa era a disposizione di tutti i manager e comunque quelle spese non sono state pagate dalla società. Quanto alle donne, non erano prostitute”. Nel prospetto sono poi elencate altre spese per 15,5 miliardi. Ed è questo il capitolo più inquietante: cinque miliardi di lire ”per l’ottenimento delle licenze” per costruire un residence e un golf a Roma più un altro miliardo e 150 milioni ai dirigenti dell’Iccri, la banca che doveva finanziare l’operazione. Nell’elenco spunta anche il nome di Francesco Pazienza. Al faccendiere condannato per il depistaggio delle indagini sulla strage di Bologna e per il crack Ambrosiano va un assegno di 50 milioni di lire mentre altri 70 milioni vanno al suo avvocato Giuseppe De Gori. ”Benedetti mi fu presentato nel 1989 a Roma come un giovane brillante finanziere che viveva a Montecarlo e aveva rapporti con il marito di Carolina di Monaco, Casiraghi”, ha raccontato Pazienza al Pm, ”nel 1990-1991 sono andato più volte nella sede della società MC a Milano”. Il compito di Pazienza era quello di procurare a Benedetti contatti con politici e personaggi influenti come il banchiere Ugo Cimenti, che è stato anche il gestore di alcuni conti esteri di Bettino Craxi. Proprio Pazienza seguiva l’affare più importante: Benedetti voleva importare alcuni macchinari tedeschi per una fabbrica avveniristica a Trento. Per convincere la Provincia a finanziare l’impresa Pazienza mise in pista il suo avvocato, De Gori, che contattò Flaminio Piccoli, ras della Dc trentina. L’operazione non andò in porto e i macchinari rimasero in magazzino. Servivano per ”disintegrare la materia”, disintegrarono solo 12 miliardi di lire» [Peter Gomez e Marco Lillo, ”L’espresso” 30/6/2005]
• «Perché Wind doveva essere consegnata nelle mani di Naguib Sawiris? E perché, dopo neppure due anni dall’acquisizione, Alessandro Benedetti, il facilitatore dell’operazione, decide di trascinare in giudizio Sawiris rivendicando una quota della società? (...) un fatto che almeno due dei facilitatori che si muovono sul proscenio della trattativa Enel-Sawiris tra il 2004 e il 2005, non sembra abbiano una sola carta in regola anche soltanto per muoversi intorno al tavolo di una trattativa in cui ballano oltre 12 miliardi di euro. E che ciò nonostante nessuno, in Enel, ritenga opportuno rilevare l’anomalia. Il primo (...) è Alessandro Benedetti (...) Il secondo è Luigi Bisignani, già iscritto alla loggia P2, già travolto dall’inchiesta sulla maxi-tangente Enimont. All’Enel allargano le braccia. Osservano che ”l’operazione venne sempre condotta direttamente con Sawiris” e che ”Benedetti prestò di fatto soltanto il veicolo tecnico-finanziario per il perfezionamento dell’operazione”. una spiegazione assai minimale. Che riduce il ruolo di Benedetti a quello di comparsa. Il che non sembra essere stato. L’uomo ha rapporti con il pantheon politico del centro-destra, va dicendo in giro (non è dato sapere se millantando o meno) di essere uomo di Israele. Conosce Bisignani e Bruno Ermolli, il commercialista di Mediaset nella cui casa di Milano, Naguib Sawiris viene presentato a Silvio Berlusconi. così rispettato e accreditato che riesce a mangiarsi l’intera scena della trattativa, allontanandone rapidamente anche un peso massimo come Cesare Romiti, che pure inizialmente vi si era affacciato. C’è di più. In una trattativa così delicata e di tale importo, in cui la forma non è certo un dettaglio, ottiene che il cosiddetto contratto di brokeraggio (quello cioè che gli riconosce il ruolo di consulenza e ne fissa le provvigioni per oltre 90 milioni di euro) venga siglato nelle stesse ore in cui viene firmato il contratto definitivo con cui Enel cede Wind. ”Singolare è dire poco”, osserva un investigatore. Nessuno fa domande. Né prima, né durante, né dopo. Nessuno chiede come si faccia a definire un contratto di consulenza quando della consulenza non c’è più formalmente alcuna necessità, né per quale motivo si debba riconoscere una consulenza a un signore che è socio dell’acquirente dell’azienda e presidente della società (’Weather Investment”) utilizzata per l’operazione. La verità è che Benedetti mette solo la faccia e gioca una partita già decisa a Palazzo Chigi a favore di Sawiris. E se ne ha una prova osservando quel che accade tra il 5 e il 9 aprile 2005, quando il cda Enel sceglie definitivamente il finanziere egiziano. Il 5, al ministero del Tesoro si riunisce il Comitato per le privatizzazioni che nulla eccepisce né sulla trattativa in corso, né sul modo in cui viene condotta, raccomandandone una rapida conclusione. Quattro giorni dopo, il 9, il verbale della riunione del cda Enel documenta un passaggio chiave della discussione che chiude la trattativa. Dopo aver ascoltato l’illustrazione delle offerte presentate da Sawiris e dal fondo americano Blackstone, il delegato in consiglio della Corte dei Conti, pur riconoscendo quella egiziana come ”più favorevole”, suggerisce di mantenere ”aperta” la procedura per consentire un eventuale rilancio di Blackstone. Scaroni, allora amministratore delegato, così risponde: ”L’offerta di Blackstone scade a mezzanotte di oggi e risulta essere questa data un termine essenziale, riguardo al quale, a quanto consta, non dovrebbero essere disposte proroghe. Di conseguenza non è intendimento dell’Enel tenere in sospeso l’offerta Blackstone” (Enel rinuncerà in questo modo anche soltanto ad esplorare la possibilità di alzare l’offerta di 12,2 miliardi di euro e dunque a ridurre la perdita di 5 miliardi di euro rispetto all’originario prezzo pagato per acquistarla). Che Sawiris sia il benvenuto nella telefonia italiana, che non destino alcuna preoccupazione né la sua nazionalità, né la compagine dei suoi azionisti arabi è del resto chiaro qualche mese dopo. Il 17 novembre 2005, il ministro degli esteri Gianfranco Fini battezza ”’Osservatorio del Mediterraneo”, associazione per le relazioni con il mondo arabo. La presiede Franco Frattini, vicepresidente della Commissione europea con delega alla questioni per la lotta al terrorismo internazionale, ha quale suo vicepresidente Ubaldo Livolsi, il banchiere della famiglia Berlusconi, e siede nel suo consiglio di amministrazione il nostro Naguib Sawiris. Per Sawiris garantiscono sia Israele che Washington, che, non a caso, ha affidato alla sua ”Iraqna” la rete di telefonia mobile dell’Iraq del dopo Saddam. Sawiris non solo può, ma deve avere Wind perché in quell’asset strategico, come può esserlo un gestore di telefonia mobile, possono felicemente coniugarsi gli interessi di sicurezza nazionale dell’amico americano e quelli del governo di centro-destra nella gestione dei suoi apparati di sicurezza, delle procedure di ascolto. Tanto che nel marzo del 2006, la nuova Wind ”egiziana” torna ad assicurarsi l’appalto per le forniture di telefoni di Stato ai ministeri di Interno e Giustizia, a carabinieri, polizia, Guardia di Finanza e Servizi. Tanto che capo della sicurezza aziendale è quel Salvatore Cirafici, amico e interfaccia di Giuliano Tavaroli, perno dell’affare Telecom e della sua rete di ascolti illegali. Poi, qualcosa si rompe. Nel 2007, Sawiris non è più l’amico di un tempo. Benedetti lo trascina di fronte all’Alta Corte di giustizia inglese reclamando un 30 per cento della quota di Wind. Tommaso Pompei, che di Sawiris è stato sponsor partecipe e suo primo amministratore delegato, lo accusa di aver giocato con carte truccate. Perché? Una volta avuto in mano il giocattolo, Sawiris non è stato forse ai patti? E se è così, quali erano?» [Carlo Bonini, la Repubblica 1/3/2008]