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 2013  febbraio 01 Venerdì calendario

La gente da qualche anno va meno all’università, come dimostra un’indagine del Cun, piuttosto credibile se si tiene a mente lo stato del nostro sistema

La gente da qualche anno va meno all’università, come dimostra un’indagine del Cun, piuttosto credibile se si tiene a mente lo stato del nostro sistema. Il Cun è uno dei tanti organismi di cui è piena la nostra amministrazione e il cui scopo non è chiarissimo. Si tratta di 58 persone – se non ho contato male -, elette quasi tutte tra i docenti universitari, con cui il ministro si può consultare quando deve prendere qualche decisione delicata relativa all’ordinamento. Nel caso di ieri, questo consesso di esimi è andato a studiare l’andamento delle iscrizioni e ha scoperto che in dieci anni sono calate da 338.482 (anno accademico 2003-2004) a 280.144 (2011-2012). In percentuale: -17%. In cifra assoluta: -58 mila. Le agenzie ieri sera drammatizzavano: «Allarme per l’università italiana!», «È come se in un decennio fosse scomparso un intero ateneo di grandi dimensioni, ad esempio la Statale di Milano...». La Statale di Milano! Mamma mia!

•  Non è grave?

C’è un commento del ministero dell’Università e dell’Istruzione (altra sigla: Miur) meno allarmistico: «I dati del Cun andrebbero letti con attenzione per capire dove sono finiti quei 50 mila studenti mancanti all’appello: quanti sono confluiti nel Sistema di istruzione superiore, cioè il livello post liceo, più professionalizzante; e quanti sono imputabili a facoltà sovraffollate che si ridimensionano. L’unica certezza è che un calo assoluto non rappresenta un calo nella qualità del sistema universitario». Segue una descrizione – che le risparmio – su come il ministero intende valutare, d’ora in poi, la sessantina di atenei italiani pubblici. Un groviglio di commissioni e comitati che baderanno soprattutto a non far capire se il tal docente è valido o no, se il tal corso ha senso oppure no, se un certo ateneo dà oppure no una preparazione adeguata alla concorrenza mondiale. Questo tipo di giudizio, in Italia, non è possibile mai, perché impedito da consorterie e tribù varie. Avrà notato che, secondo il ministero, l’unica spiegazione possibile di quel calo nelle immatricolazioni è il «sovraffollamento».  

Intanto non ho capito che cos’è il “Sistema d’istruzione superiore”. Non si chiama “istruzione superiore” quella dei licei? Chi va all’università non dovrebbe averlo già fatto, il liceo?

Il sistema scolastico italiano è inutilmente complicatissimo. Una volta diplomato, il giovane studente può andare a lavorare, ma anche iscriversi al Centro sperimentale di cinematografia, alla Scuola di Archivistica, entrare in un’Accademia militare, eccetera. Solo che queste possibilità esistevano anche dieci anni fa, quindi non è qui che vanno cercati i 50 mila che mancano.  

• E dove vanno cercati, allora?

Non lo so, ma suppongo che abbiano mollato gli studi universitari perché l’università non dà quello che promette e adesso, passata l’illusione che fosse fico appendersi un certificato di laurea nel tinello, parecchi ragazzi sulla soglia di decisioni capitali per la loro vita hanno capito che iscriversi potrebbe significare perdere quattro, cinque o sei anni di tempo senza un vantaggio apprezzabile perché altri dati mostrano che avere la laurea non è più così importante per far carriera e guadagnare di più. In altri termini, è proprio la scarsa qualità dell’offerta a determinare l’allontanamento dei clienti. Come sempre, sul mercato.  
L’università può essere assimilata a un mercato?

Forse sì. La stessa ricerca del Cun collega la fuga delle matricole al calo dei professori (-22% in sei anni), ricorda che i finanziamenti sono diminuiti in dieci anni del 20%, siamo naturalmente tra gli ultimi in Europa per i denari dedicati a questo settore, adesso, non avendo soldi, non essendoci un piano pluriennale di finanziamento «moltissime università sono a rischio dissesto e non possono programmare la didattica e la capacità di ricerca».  
Perché ha un’aria tanto scettica?

Ma se il 95% dei soldi se ne va per pagare gli stipendi ai professori e al resto del personale! Le università italiane nel mondo sono agli ultimi posti da prima che Tremonti ministro si cominciasse a tagliare. Secondo il QS World University Ranking (uno dei tre che contano, lo citiamo perché è il più recente) c’è una sola università italiana nelle prime 200 del mondo ed è Bologna. Poi ce ne sono altre tre nel centinaio successivo, la Sapienza di Roma (216°), l’università Statale di Milano (244), il Politecnico di Milano (244). In altre classifiche c’è anche il Politecnico di Torino. E in altre ancora, magari specialistiche, appaiono la Normale di Pisa e la Bocconi (che è privata). Punto e basta. Che le immatricolazioni calino non è strano. Sarebbe stupefacente se aumentassero.