La Gazzetta dello Sport, 30 gennaio 2013
Sabato prossimo doveva svolgersi, sulla prima rete Rai e naturalmente in prime time, un confronto tra i sei candidati premier che vanno per la maggiore, cioè, in ordine alfabetico, Berlusconi, Bersani, Giannino, Grillo, Ingroia, Monti
Sabato prossimo doveva svolgersi, sulla prima rete Rai e naturalmente in prime time, un confronto tra i sei candidati premier che vanno per la maggiore, cioè, in ordine alfabetico, Berlusconi, Bersani, Giannino, Grillo, Ingroia, Monti. Dovevano condurre Bruno Vespa e il nuovo direttore del Tg1, Mario Orfeo. Sembrava fatta, ma dal Pdl, proprio ieri, hanno fatto sapere di non essere d’accordo e che, quindi, Berlusconi non ci sarà. La trasmissione è stata di conseguenza annullata. La ragione ufficiale del no pidiellino è questa: il regolamento della Commissione di Vigilanza relativo a questi confronti televisivi prevede che si ritrovino a rispondere i «capi delle coalizioni». E se si sta alla lettera di questa espressione, come fanno appunto i pidiellini, Giannino, Grillo e Ingroia non corrono alla guida di una coalizione, ma come capi di un solo partito, il loro. Quindi – sempre secondo i berlusconiani – non possono essere ammessi.
• Non è una questione di lana caprina?
Mah. Bersani ha reagito con durezza: «Se il confronto tv a 6 fra i candidati alle elezioni non si può fare in Rai vado a Sky. Per quale diavolo di motivo non si può fare il confronto a sei? Dite alla Vigilanza Rai che io, quando c’era da fare le primarie, non l’ho fatto fra i favoriti perché un conto sono i sondaggi e uno sono i voti. Io mi chiamo Partito democratico e partecipo solo a cose dove tutti hanno uguali condizioni. Non intendo partecipare a cose dove ci sono condizioni diverse, questo lo lascio fare a Berlusconi».
• Ha ragione?
Bisogna vedere. Intanto tutta la normativa sulla cosiddetta par condicio è stata voluta proprio dal centrosinistra alla vigilia delle elezioni del 2001, vinte poi da Berlusconi. Se il regolamento prevede che si confrontino «i capi delle coalizioni» è difficile contestare la posizione del Pdl. Magari, a quell’epoca, alla commissione parlamentare di vigilanza pareva impossibile che qualcuno corresse da solo, dati gli enormi vantaggi che la legge garantisce a chi corre in squadra. Non sta in piedi nemmeno il confronto con le primarie: lì era un’associazione privata (il Pd) che organizzava dei match interni. D’altra parte il primo a contestare, da sempre, questa legge sulla par condicio è stato proprio il Cavaliere a cui pareva assurdo, non senza fondamento, che la legge garantisse gli stessi spazi a tutte le formazioni politiche qualunque fosse la loro dimensione, cioè il loro peso tra gli elettori. Una logica obiezione si potrebbe fare allo stesso Berlusconi: che accadrebbe se tutti corressero da soli? Sarebbe vietato a quel punto ogni confronto in Rai?
• Berlusconi accetterebbe su Sky quello che rifiuta in Rai?
Credo di no, perché la ragione vera del rifiuto è che il Cavaliere si trova male con le risposte di due minuti. Ha fatto esperienza di questa costrizione all’epoca del confronto con Prodi, che perse. Due minuti gli sembrano pochi, ha bisogno di espandersi, di affabulare, di giocare. Quindi la questione è: come si comporterà di fronte a un invito di Sky? E se qualcuno proponesse un match a tre, Berlusconi-Bersani-Monti? E che faranno Bersani, Monti e gli altri tre se Berlusconi si rifiutasse? Metterebbero in piedi lo stesso un faccia a faccia multiplo?
• Secondo me, sì. Perché l’idea è che comunque il piccolo schermo porta voti. Magari Berlusconi manderebbe alla guerra Alfano, tanto per fare almeno pari
La regola è che chi è in testa farà meglio a fuggire il confronto, dal quale avrà invece tutto da guadagnare chi insegue. È una norma sicura per le gare a due, non so per quelle dove ci sono molti candidati. Bersani in ogni caso non la pensa così.
• Ma Bersani è veramente in testa? E di quanto?
Euromedia Research (cioè la Ghisleri, la sondaggista di Berlusconi), l’unica ad aver monitorato l’effetto Monte dei Paschi, sostiene che l’affare Mps ha spostato più del 5% dell’elettorato, ributtandolo nuovamente nell’area dell’incertezza. Il centrosinistra, con questa migrazione, ci avrebbe rimesso l’1,8 per cento, il Pdl avrebbe guadagnato un punto, ma dentro una crescita complessiva del centrodestra di appena uno 0,2. Avrebbe pagato caro lo scandalo anche Monti, percepito come «quello che aiuta le banche»: -1. Ghisleri avverte che Grillo è in risalita, adesso starebbe intorno al 13,1. In totale, quindi: centrosinistra al 35 (Pd al 29,5); Monti al 12,9 e centrodestra al 32,4 (Pdl al 22,2). Insomma, una bella rimonta per Berlusconi, che deve però preoccuparsi dagli attacchi che continuano ad arrivare dall’Europa. Ieri, per esempio, il commissario agli Affari economici, Olli Rehn, ha parlato al Parlamento europeo sottolineando i passi avanti fatti da Italia, Spagna e Grecia e affondando il colpo contro il Cav: «Bloccò la crescita e fece perdere la fiducia nel Paese». Per il Pdl è stata «un’intrusione inaccettabile» in campagna elettorale.