La Gazzetta dello Sport, 27 gennaio 2013
Prendiamoci un giorno di riposo da Mps e raccontiamo le relazioni tenute dai vari presidenti di Corte d’Appello sullo stato della giustizia in Italia
Prendiamoci un giorno di riposo da Mps e raccontiamo le relazioni tenute dai vari presidenti di Corte d’Appello sullo stato della giustizia in Italia. Giustizia nel senso più ampio: situazioni delle carceri, eccesso di prescrizioni, aumento di certi reati e diminuzione di altri, infiltrazioni della criminalità organizzata, corruzione diffusa eccetera. Solo a Torino, dove parlava Marcello Maddalena ed era presente il ministro Severino, s’è accennato alla questione più squisitamente politica dell’indipendenza della magistratura: Maddalena ha ringraziato il presidente Napolitano, riconoscendo quasi a lui solo il merito di aver difeso l’ordine giudiziario dalle ingerenze dei partiti. A Roma, il presidente Giorgio Santacroce ha attaccato invece l’esibizionismo in toga, e con parole piuttosto dure.
• Ce l’aveva con Ingroia?
Forse no, perché ha precisato di non avere nulla da eccepire «sui magistrati che abbandonano la toga per candidarsi alle elezioni politiche». Però «non mi piacciono i magistrati che non si accontentano di far bene il loro lavoro, ma si propongono di redimere il mondo. Quei magistrati, pochissimi per fortuna, che sono convinti che la spada della giustizia sia sempre senza fodero, pronta a colpire o a raddrizzare le schiene. Parlano molto di sè e del loro operato anche fuori dalle aule giudiziarie, esponendosi mediaticamente, senza rendersi conto che per dimostrare quell’ imparzialità che è la sola nostra divisa, non bastano frasi ad effetto, intrise di una retorica all’acqua di rose. Certe debolezze non rendono affatto il magistrato più umano».
• La storia delle prescrizioni non è servita per attaccare Berlusconi?
No, nel ragionamento-denuncia di Giovanni Canzio, presidente della Corte d’Appello di Milano, la piaga delle prescrizioni ha soprattutto a che vedere con la farraginosità dei processi. «L’Italia ha il triste primato in Europa del maggior numero di declaratorie di estinzione del reato per prescrizione (circa 130 mila quest’ultimo anno) e, paradossalmente, del più alto numero di condanne della Corte europea dei diritti dell’uomo per l’irragionevole durata dei processi».
• Lei ha anticipato i giudizi drammatici degli stessi presidenti di Corte d’Appello sulle carceri.
Sì. In generale, come sappiamo, il sistema dovrebbe ospitare 45 mila persone. Sono chiusi in cella, invece, in 65 mila. I presidenti hanno riferito numeri relativi ai rispettivi distretti giudiziari: a Milano – dati del 31 dicembre – 7.279 detenuti in uno spazio che non può contenerne più di 4.737, nel solo San Vittore sono ospitati in 1.616 e la capienza è di 1.127. Cifre simili a Roma (7.171 carcerati in celle capaci di 4.834 posti). A Sollicciano (Firenze) il sovraffollamento sfiora il 200%. Solo a Palermo si registra un minimo sollievo, il numero dei carcerati è diminuito di 156 unità (da 3.440 a 3.284).
• Come mai?
Il presidente della Corte d’Appello di Palermo, Vincenzo Oliveri, ha tenuto un discorso che dà qualche speranza. «I dati dimostrano che i reati di associazione per delinquere di stampo mafioso sono in progressiva diminuzione (-19%), tra luglio 2011 e giugno 2012: 87 i casi registrati in questo ultimo periodo, a fronte di 107 in quello precedente e 145 tra il 2009 e il 2010». Tuttavia il potere di Cosa nostra, saldamente radicato nel territorio anche attraverso «lo sfruttamento del tessuto economico mediante pizzo e messe a posto» non deve essere sottovalutato. Dalle indagini in corso emergono - ha aggiunto - frequenti anomali contatti fra esponenti mafiosi agrigentini e trapanesi: ciò fa pensare a una perdurante ricerca di intese e nuovi equilibri. «In questo senso nel contrasto a Cosa nostra emergono due priorità: la sollecita cattura di Messina Denaro e la veicolazione in sede politica di precisi ed inequivocabili segnali che facciano crollare ogni possibile speranza di attenuazione del sistema repressivo o, peggio, di generalizzata revisione dei processi».
• E nel resto del Paese? Dico, relativamente alla criminalità?
L’allarme maggiore viene da Roma. «Nell’ultimo periodo, specie nel territorio del basso Lazio e sul litorale romano, il livello criminale e l’indice di penetrazione della criminalità organizzata si sono innalzati. Ne danno la misura gli arresti di importanti latitanti». L’attività investigativa in corso dimostra, inoltre, «che le organizzazioni sono giunte ad impadronirsi di locali storici di Roma, come il ristorante George in via Sardegna, il Cafè de Paris in via Veneto, il bar California in via Bissolati e il palazzo che ospita il teatro Ghione». A Roma operano esponenti del clan Gallico e uomini del clan Alvaro. Alla cosca Gallico di Palmi è stata sequestrata la società che gestiva il Risto Chigi, vicino alla Fontana di Trevi, e il caffè Antiche Mura nei pressi dei giardini Vaticani. I dati della Dda segnalano «pesanti infiltrazioni di gruppi criminali, soprattutto di matrice camorristica, nella provincia di Latina e in particolare sul litorale pontino». Inoltre il Lazio figura come la prima regione italiana per sequestro di stupefacenti (6 mila chili) e la seconda per operazioni antidroga (2.862). In aumento (più 186 fascicoli) anche i delitti di violenza sessuale e di violenza domestica. A Napoli è stata segnalata la leadership sempre più marcatamente femminile dei clan. Altra notizia da non sottovalutare: sono in aumento le bancarotte fraudolente.