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 2013  gennaio 28 Lunedì calendario

Mussari, la tragedia di un banchiere per caso

Il Foglio dei Fogli, lunedì 28 gennaio 2013
Giuseppe Mussari, nato il 20 luglio 1962 a Catanzaro. Presidente della Fondazione Montepaschi a 39 anni, presidente della banca senese a 44, presidente dell’Abi a 48, fuori da tutto a 51.

È martedì 22 gennaio 2013. Titolo di prima pagina del Fatto Quotidiano: «Mps, i conti truccati e il contratto nascosto». È l’esclusiva di un accordo segreto siglato nel 2009 tra gli allora vertici di Banca Monte dei Paschi, di cui Mussari era presidente, e una banca giapponese, Nomura. Alexandria è un prodotto finanziario complicatissimo, un cdo sintetico, che Mps aveva acquistato nel 2005 (400 milioni). Nel 2009 la valutazione era precipitata e decise di venderlo ai giapponesi in cambio di un contratto di finanziamento ad un tasso esorbitante. Risultato: nel 2009 (l’anno dell’acquisto di Antonveneta) il Monte chiude in utile, gli azionisti prendono il dividendo e le perdite sono rinviate. Non troppo lontano. Marco Lillo: «Nel bilancio 2012 si impone subito una correzione da 220 milioni, ma il buco reale è certamente più alto: un autorevole “uomo del Monte” parla al Fatto di 740 milioni di euro». [1]

Si aggiungono elementi da spy-story. Il contratto che salta fuori in fondo a una cassaforte solo nell’ottobre 2012. Il Cda della banca che dice di non aver mai messo il naso in quel contratto. I giapponesi che di fronte alle contestazioni di Viola e Profumo sventolano la trascrizione di una telefonata dove Mussari a domanda risponde che l’operazione vede l’accordo dei revisori dei conti. Infine la decisione presa nell’ombra dalla nuova dirigenza Mps di smontare il cdo Nomura incrementando di 500 milioni (da 3,4 a 3,9 miliardi) la richiesta di Monti bonds per non meglio precisati «nuovi impatti patrimoniali». [1]

La risposta della classe dirigente allo scoop del Fatto è un imbarazzato «non sapevamo nulla»; Bankitalia, Vigilanza, Consob, revisori cadono dalle nuvole. Cominciano i veleni e i segreti. La campagna elettorale ne approfitta, trasversalmente. Ingroia, Grillo, Pdl, Lega picchiano sul Monte per ferire il Pd che ha sempre avuto molta influenza nella banca senese. Mussari capisce che la sua testa sta già rotolando e in serata scrive la lettera di dimissioni da presidente dell’Abi per non creare imbarazzo e «nocumento» all’associazione. [2] Poi scende nel silenzio e inizia il finimondo.

Quaglio: «Certamente i dieci anni di Mussari ai diversi piani della Rocca sono stati fra i più turbolenti in 538 anni di storia». [3]

Diego della Valle in una famosa intervista all’Espresso del marzo 2011 dove invitava alla rottamazione di Geronzi & C.: «È il momento di decidere chi sta con la modernizzazione e chi no. Per esempio, il mondo delle banche. Ci sono alcuni banchieri, definiamoli giovani, di prim’ordine, penso a Mussari, Passera, Pagliaro, Nagel, Gallia ed altri. Loro per fortuna marcano – eccome – la differenza tra passato e presente». [4]

Madre senese, ostetrica, padre di Catanzaro, cardiologo. «Faccia da cow boy buono» (Statera), «sempre elegante nei suoi abiti in tasmania, energetico, di bell’aspetto, lo hanno paragonato addirittura a un Alain Delon» (Cingolani), a Siena lo chiamavano «belli capelli» (Cazzullo). Arriva in Toscana dalla Calabria per cambiare aria dopo la morte della giovane fidanzata. Inizia Medicina poi passa a Legge. «È entrato subito nella Fgci, se lo ricordano in molti per il suo marcato accento calabrese, l’eskimo, la kefiah, il capello lungo, dentro l’università occupata, quando il rettore era Luigi Berlinguer». [5] Si laurea nel 1988. Iscritto all’albo degli avvocati, «comincia a farsi le ossa nelle cooperative, come si confà al sistema di potere post comunista». [6]

Paolucci: «Ha tra i suoi primi clienti Franco Masoni, editore di una tv locale ma soprattutto personaggio molto introdotto negli ambienti che contano. È lui che porta il brillante legale nei salotti cittadini, che lo presenta ai notabili senesi». [7] Adesso i due non sono più in buoni rapporti anche perché nel frattempo Mussari si è sposato con l’ex moglie di Masoni, Luisa Stasi.

La Stasi, qualche anno più grande di Mussari, con già tre figli dal precedente matrimonio, gestisce due alberghi in città, Hotel Garden e Hotel Italia, e un agriturismo appena fuori, Villa Agostoli. Mario Gerevini ha scoperto che ha un’esposizione con Mps di 13 milioni: «Nulla di preoccupante perché sono posizioni create da tempo, sono mutui fondiari con garanzie reali sugli immobili. Però non sfugge l’anomalia di una concentrazione del rischio: il 100% dell’esposizione della signora e dei suoi hotel è con il Monte dei Paschi. E anche quando non c’è un’attività imprenditoriale alla base del prestito, è sempre e solo la banca senese o una sua controllata a prestare soldi alla Stasi». [8] Nessuna diversificazione: i dipendenti Mps sanno che l’imprenditrice è Mps-dipendente. Dunque è interesse anche della banca che gli hotel di Luisa Stasi siano sempre pieni. Difatti sono sempre pieni di montepaschini in trasferta a Siena per motivi di lavoro (corsi, riunioni, ecc.) a cui, ovviamente, la banca rimborsa le spese di alloggio.

Altro ex amico è Pierluigi Piccini, sindaco di Siena dal 1990 al 2001. Mussari è il suo consigliere più ascoltato. E Piccini lo sceglie come membro della Deputazione, l’organo di governo della Fondazione Mps che a sua volta controlla la banca e dove in appena qualche mese diventa, nel 2001, il numero uno. Solo che lì voleva andarci Piccini. [7] Raffaele Ascheri: «Mussari era in vacanza in Sardegna con la moglie. Gli telefonano e gli dicono che deve fare il presidente della Fondazione al posto di Piccini, scaricato da D’Alema e dal partito. Nonostante l’amicizia, Mussari accetta. E così inizia la sua carriera di banchiere per caso, senza una formazione di finanza, senza neppure conoscere l’inglese. Di banche ne sapeva quanto chiunque abbia un conto corrente». [5]

Quando arriva Mussari Mps è ancora sotto l’effetto del ciclone provocato da De Bustis, il banchiere finito poi in Deutsche Bank che aveva nel 1999 portato a Siena la Banca del Salento (ribattezzata Banca 121) piena di derivati e prodotti tossici dai nomi hollywoodiani (MyWay, 4You). Ma la Fondazione senese è potente. Cingolani: «Qui si fanno i sindaci, i presidenti della provincia, i segretari di partito. Ha un valore stimato di 3 miliardi e 330 milioni, un miliardo in più della Compagnia Sanpaolo di Torino, con la differenza che a Siena vivono 50 mila persone, a Torino un milione e mezzo. Il consiglio di amministrazione è la stanza di compensazione di tutti i poteri forti locali, compresa la Curia e l’Università che hanno un proprio rappresentante». [6]

Duro, intelligente, legatissimo alla famiglia e abile nel costruirsi solide relazioni trasversali. [9] Spende sapientemente la notizia mai ufficiale dell’alto patrocinio di D’Alema. Lubrifica il suo potere finanziando personalmente, per 673 mila euro in dieci anni, i Ds e poi il Pd. [10] E, al di là delle cattiverie da città di provincia («A Siena aveva due amici, di uno ne ha sposato la moglie e dell’altro ne ha preso la poltrona»), di amici Mussari ne ha parecchi. Comunione e liberazione, Opus Dei (e non potrebbe mancare il sussurro che lo vede vicino alla Massoneria). [11] «Tanti anche i rapporti fatti di reciproca stima, come quello con Giuseppe Guzzetti della Fondazione Cariplo. O ancora con Francesco Gaetano Caltagirone, con il quale condivide una riservatezza quasi assoluta e la capacità di non perdonare (quasi) mai un torto subìto. Ma anche, in perfetto stile bipartisan, con Turiddo Campaini, il “monaco rosso” che guida Unicoop Firenze, la faccia pulita della Coop anche lui tra gli azionisti della banca senese». [7]. Mussari è oramai diventato il dominus di Siena: in città non si muoveva foglia senza il suo parere. [5]
Nel 2006, fa un nuovo salto e diventa presidente di Banca Monte dei Paschi. Paolucci: «Che allora, malgrado una serie di errori strategici e gestionali, non se la passava troppo male. Certo, tutto intorno le banche si fondevano e Mps restava sempre lì, chiusa dentro le mura, costretta a non crescere per non perdere la senesità» [9]. È in questo contesto di ambizione mista alla paura di essere scalati che viene partorita l’operazione Antonveneta. Mussari svolge le trattative nel silenzio con gli spagnoli di Santander (subentrati ad Abn) e si aggiudica con un blitz l’istituto veneto a un prezzo già all’epoca giudicato elevato: 10,3 miliardi contro i 6,6 pagati da Emilio Botin qualche mese prima. [12]

«Non abbiamo pagato un prezzo caro per Antonveneta», afferma all’epoca Mussari agli investitori nella conference call e anche l’attuale presidente del Monte Alessandro Profumo si complimenta con lui: «è stata una bella operazione». [12] Alle prime perplessità Mussari ci tiene a precisare che «l’operazione su Antonveneta è stata fatta senza furbi, furbetti e furbacchioni». [11] A Cazzullo: «Da quando sono qui (Siena, ndr), processi per corruzione e concussioni non ce ne sono mai stati. Di soldi ne sono girati tanti, però tra persone normali, che non vanno al mare ai Caraibi ma a Follonica, che non hanno la Ferrari ma la Panda. Io vado in ufficio in motorino». [13]

Nel 2010, passa all’Abi. Un «normale ricambio», pare sollecitatissimo da Bankitalia. [9] «Lascio la banca in mani solide e capaci, con qualche rimpianto ma nessun rimorso». Statera: «Nonostante i disastri evidenti e il vulnus reputazionale, Mussari viene eletto presidente della potente Associazione Bancaria, pare con scarse opposizioni, tra le quali – a quel che si disse – quella del presidente del consiglio di sorveglianza di Intesa San Paolo, Giovanni Bazoli». [11]

In Abi piace il suo stile aggressivo nel difendere il sistema dalle crescenti ondate di impopolarità: in Italia (quando fa dimettere la presidenza Abi in polemica con il governo Monti sulle commissioni) o quando attacca frontalmente l’Eba dopo lo stress test di fine 2011. [3] Malgrado sia costretto ad assistere alla tempesta giornaliera che si abbatte sulla sua ex banca e allo stillicidio di rivelazioni sulla «passata gestione» dell’istituto, nell’estate 2012 è riconfermato alla guida dell’associazione. Scelta opportunistica, si disse allora, nata come compromesso tra le spinte delle grandi banche e i desideri delle piccole. [9]

Solo pochi mesi, un articolo di giornale su un intricato contratto di cdo sintetici (49 pagine in inglese), e opportunistico diverrà scaricare tutte le responsabilità su di lui. Ma Mussari non sapeva nulla di inglese e pochissimo di finanza?

Note: [1] Marco Lillo, il Fatto 22/1; [2] Asca 22/1; [3] Antonio Quaglio, Il Sole 24 Ore 23/1; [4] Denise Pardo, l’Espresso 3/3/2011; [5] Stefano Feltri, il Fatto 26/1; [6] Stefano Cingolani, Il Foglio 10/7/2010; [7] Gianluca Paolucci, La Stampa 9/11/2007; [8] Mario Gerevini, Corriere della Sera 25/1; [9] Gianluca Paolucci, La Stampa 23/1/2013; [10] Giorgio Meletti, il Fatto Quotidiano 23/01; [11] Alberto Statera, la Repubblica 24/1; [12] Ansa 23/1; [13] Aldo Cazzullo, Corriere della Sera 30/1/2012.
Emma Ontani