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 2013  gennaio 26 Sabato calendario

La storia del Monte dei Paschi è troppo ghiotta perché i partiti in campagna elettorale se la lascino sfuggire

La storia del Monte dei Paschi è troppo ghiotta perché i partiti in campagna elettorale se la lascino sfuggire. Abbiamo così assistito, ieri, a due tipi di attacchi: attacchi da Monti e dal centro-destra al Pd, perché Mps fa parte del sistema di potere della sinistra, gli uomini che hanno governato la fondazione proprietaria della banca sono tutti democratici, la città è governata dai democratici e insomma Mps ha indubbiamente un profilo rosso; attacchi a Monti dal centro-destra, da Ingroia e da Di Pietro perché lo scandalo esplode mentre Monti è ancora al governo e dal novembre 2011 a oggi siu direbbe che i tecnici se ne sono infischiati di quello che capitava a Siena, combinazione l’Imu ha reso quattro miliardi di euro che è più o meno la somma che lo Stato si accinge a prestare a Mps, quindi i detrattori fanno presto a coniare il seguente ragionamento: Monti ha tolto dalle tasche degli italiani la somma sufficiente per salvare la banca.

Ragionamento farlocco?
Abbastanza farlocco. Di quei tre miliardi e 900 milioni che entreranno nel capitale del Monte, 1,9 provengono da Tremonti, cioè sono stati veicolati attraverso i Tremonti bond al tempo del governo Berlusconi. Monti tirerà fuori, attraverso i Monti bond, gli altri due miliardi, ma sarà bene ricordare che non si tratta di miliardi a fondo perduto, bensì di un prestito al 9%, che diventerà del 9,5 tra due anni, del 10 tra quattro e così via, con uno 0,5 in più a ogni biennio fino a un massimo del 15%. Il tasso è nettamente superiore a quello di mercato, condizione indispensabile per ottenere il via libera dalla Ue (altrimenti si sarebbe trattato di aiuti di stato). I bond di Monti, e prima quelli di Tremonti, vanno direttamente in capitale e non peggiorano il bilancio della banca, se non per l’esborso annuale di 350 milioni. Lo Stato ci guadagna bene. Comprerei anch’io, se avessi i soldi, un po’ di quel prestito al 9%.  

Cioè, lei comprerebbe nel senso che si fida, nonostante tutto, della solidità del Monte?
E certo. Ieri il titolo è schizzato dell’11%, si tratta probabilmente di ricoperture (comprano quelli che nei giorni scorsi avevano venduto allo scoperto) o forse, come si sussurra, è Unicredit che si prepara a fare dell’istituto senese un sol boccone. Ieri c’è anche stata l’assemblea dei soci, che ha approvato l’aumento di capitale di 4,5 miliardi. Ha parlato cinque minuti anche Grillo, niente di che, abbiamo assistito a performance più convincenti. Sostiene che il Monte ha un buco di 14 miliardi, alla domanda del presidente Profumo su dove avesse preso questo numero 14 ha svicolato («se non sono 14, saranno 13,8»). Oscar Giannino propone di nazionalizzare la banca, risanarla e poi rivenderla, una via che farebbe fuori l’odiata Fondazione. Era presente anche Gianpiero Samorì, che guida un piccolo partito coalizzato con Berlusconi (il Mir, Moderati in Rivoluzione) e a un certo punto s’è addormentato. Ma ha comunque esposto concetti simili a quelli di Giannino.  

Possibile che a quelli che hanno combinato questo casino non succeda niente?
Sul versante penale si parla di un’azione di responsabilità, che può essere promossa solo dai soci o dai loro rappresentanti e che verrebbe intentata contro Mussari e i vecchi vertici. Altro provvedimento alle viste, stavolta per iniziativa dei giudici: un procedimento, sempre contro i vecchi amministratori, per falso in bilancio. Il trucchetto di Alexandria, con cui s’è venduta una perdita a breve per incamerare una perdita ancora più pesante ma a lungo termine, è difficile da mandar giù.  

Che mi dice della storia secondo cui il Pd sarebbe responsabile di tutto?
Lo ha detto, e anche con una certa foga, Monti a Radio anch’io
. Aprendo contemporaneamente a un Pdl privo di Berlusconi. È una tattica facile da leggere e coerente con le mosse iniziali della salita in campo: Monti vorrebbe prendere di qua e di là in modo da garantirsi una sorta di terzietà anche dopo essersi sporcato le mani con la politica. Gli hanno risposto duramente sia da sinistra che da destra. Sul merito della questione, stabilito che il Pd non può dirsi innocente, c’è il fatto che qui la responsabilità è soprattutto dei democratici locali. L’ex presidente della Fondazione voleva diventare anche presidente della banca e dar luogo a un conflitto d’interessi quasi berlusconiano: gli fu impedito dall’allora ministro delle Finanze, Vincenzo Visco. È tuttavia indubbio che il Pd nazionale, che continua disperatamente a chiamarsi fuori, ha fatto buon viso a cattivo gioco invece di partire da casa propria per rendere possibile una pulizia generale, che togliesse di mezzo il sinedrio delle Fondazioni, rendesse le banche scalabili e punibili i manager corrotti o incapaci (in Mps e altrove). Il Pd ha contribuito a rendere il sistema bancario italiano mummificato, in modo che al suo interno potessero giocarsela i soliti noti e il mercato fosse tenuto il più lontano possibile.  

• Grillo ha detto ieri di aver incontrato una sola volta Mussari, che è un avvocato, e di aver capito che costui di banche non capisce niente, al punto di avere difficoltà anche a compilare un bonifico.
Temo che abbia ragione.