Sette, 25 gennaio 2013, 25 gennaio 2013
Tags : 20020130 Il delitto di Cogne
«Sono le madri che uccidono i bambini» (articolo del 25 gennaio 2013)
Sette, 25 gennaio 2013
Madri «Lo so, sono le madri che uccidono i bambini» (Annamaria Franzoni nel primissimo interrogatorio in caserma).
Samuele Lorenzi Samuele, di anni 3. Riccioluto, figlio di Franzoni Annamaria, di anni 31, casalinga, e di Lorenzi Stefano, di anni 33, elettricista, un fratello, Davide, di anni 6. I genitori, originari della provincia di Bologna, s'erano conosciuti a Cogne, Aosta, dov'erano soliti passare le vacanze. Nel 1993, sposi, s'erano trasferiti lì e avevano costruito da soli uno chalet. Integrati in paese, assidui in chiesa, amanti della compagnia, martedì sera avevano invitato a cena due amici e gustato con loro un ciambellone che la Franzoni, pur debole per via dei frequenti collassi da pressione bassa, aveva preparato con l'aiuto del figlio piccolo. Intorno alle 5 e 45 della mattina dopo la donna chiamò il 118, per via di «dolori in tutto il corpo e mal di testa». Le mandarono il medico del paese, specialista in psichiatria, che andò via dicendo che ”non era niente di grave”. Poco dopo le 7 il Lorenzi uscì per recarsi al lavoro (34 chilometri in macchina fino alle centrali elettriche di Inrod). La Franzoni svegliò e vestì Davide, spostò nel proprio letto Samuele perché era nervoso e piagnucolava. Uscì di casa col figlio più grande, percorse i 250 metri che la separavano dalla statale: il pullman della scuola arrivò puntuale alle 8 e 20. Aiutò il figlio a salire e tornò indietro tranquilla, il bavero alzato e le mani in tasca. Entrò in camera da letto alle 8 e 24: sangue su tende, pareti, soffitto; Samuele, agonizzante sul materasso anch'esso inzuppato, completamente coperto da un piumone. L'autopsia stabilì ch'era stato colpito per diciassette volte, per lo più sulla testa, con una roncola da innesti: mortali i primi due fendenti. In una villetta a due piani in legno e pietra, tegole d'ardesia, altalena in giardino, in cima a Montroz, frazione di Cogne, tranquilla cittadina di 1480 abitanti, 70 chilometri per lo sci di fondo, nota per i pizzi a tombolo e gli scultori del legno, Aosta.
Aiuto Richieste di aiuto di Annamaria subito dopo aver scoperto il figlio Samuele: alla dottoressa Ada Satragni («a Samuele è scoppiata la testa», telefonata delle 8.27); al 118 («Mio figlio vomita sangue», telefonata delle 8.28), ai passanti («Aiutatemi! Samuele sta male!», fuori da casa, ore 8.30).
Segretaria La Franzoni, che alle 8.30 telefonò alla Elecrtrorhemes, dove lavorava Stefano, e alla segretaria chiese di avvisarlo subito ma «mi raccomando, non dica a mio marito che Samuele è morto».
Vivo La testimonianza del dotto Leonardo Iannizzi, che alle 8.51 atterrò nel giardino della villetta di Cogne con l'elicottero per trasportare il piccolo Samuele in ospedale: «Aveva il volto coperto di sangue, si lamentava, emetteva suoni, apriva e chiudeva gli occhi. Gemeva sommessamente, perdendo materia cerebrale dall’orecchio sinistro, ma senza sanguinare dalla bocca».
Morto Samuele Lorenzi fu dichiarato morto alle 9.55 di quella mattina.
Pigiama La Franzoni, indagata quaranta giorni dopo la morte del figlio per omicidio volontario. Tra gli indizi gravi a suo carico il pigiama imbrattato di sangue (era sotto il piumone che copriva Samuele) e la macchia di sangue sui suoi zoccoli bianchi, indossati quella mattina in casa e poi cambiati con degli stivaletti neri per accompagnare l'altro figlio, Davide, allo scuolabus. Sentenza definitiva il 21 maggio 2008: 16 anni di carcere.
Marito «(...) Dopo il fatto io ho pensato a tutto e non ho escluso a priori mia moglie solo perché è mia moglie. Ma ci ho ragionato sopra: i suoi erano ricordi precisi, puntuali, il suo racconto privo di contraddizioni (...) Oggi come allora se avessi il minimo dubbio prenderei subito le distanze da lei e non mi comporterei così. Lei con il fatto non c’entra (...). Ricordo come fosse ora (...) la disperazione che avevamo io e Annamaria, piangevamo tutti e due (...) Annamaria è innocente: io sono ancora alla ricerca della verità [...]» (Stefano Lorenzi, il 31 marzo 2010 durante una testimonianza).
Madri «Lo so, sono le madri che uccidono i bambini» (Annamaria Franzoni nel primissimo interrogatorio in caserma).
Samuele Lorenzi Samuele, di anni 3. Riccioluto, figlio di Franzoni Annamaria, di anni 31, casalinga, e di Lorenzi Stefano, di anni 33, elettricista, un fratello, Davide, di anni 6. I genitori, originari della provincia di Bologna, s'erano conosciuti a Cogne, Aosta, dov'erano soliti passare le vacanze. Nel 1993, sposi, s'erano trasferiti lì e avevano costruito da soli uno chalet. Integrati in paese, assidui in chiesa, amanti della compagnia, martedì sera avevano invitato a cena due amici e gustato con loro un ciambellone che la Franzoni, pur debole per via dei frequenti collassi da pressione bassa, aveva preparato con l'aiuto del figlio piccolo. Intorno alle 5 e 45 della mattina dopo la donna chiamò il 118, per via di «dolori in tutto il corpo e mal di testa». Le mandarono il medico del paese, specialista in psichiatria, che andò via dicendo che ”non era niente di grave”. Poco dopo le 7 il Lorenzi uscì per recarsi al lavoro (34 chilometri in macchina fino alle centrali elettriche di Inrod). La Franzoni svegliò e vestì Davide, spostò nel proprio letto Samuele perché era nervoso e piagnucolava. Uscì di casa col figlio più grande, percorse i 250 metri che la separavano dalla statale: il pullman della scuola arrivò puntuale alle 8 e 20. Aiutò il figlio a salire e tornò indietro tranquilla, il bavero alzato e le mani in tasca. Entrò in camera da letto alle 8 e 24: sangue su tende, pareti, soffitto; Samuele, agonizzante sul materasso anch'esso inzuppato, completamente coperto da un piumone. L'autopsia stabilì ch'era stato colpito per diciassette volte, per lo più sulla testa, con una roncola da innesti: mortali i primi due fendenti. In una villetta a due piani in legno e pietra, tegole d'ardesia, altalena in giardino, in cima a Montroz, frazione di Cogne, tranquilla cittadina di 1480 abitanti, 70 chilometri per lo sci di fondo, nota per i pizzi a tombolo e gli scultori del legno, Aosta.
Aiuto Richieste di aiuto di Annamaria subito dopo aver scoperto il figlio Samuele: alla dottoressa Ada Satragni («a Samuele è scoppiata la testa», telefonata delle 8.27); al 118 («Mio figlio vomita sangue», telefonata delle 8.28), ai passanti («Aiutatemi! Samuele sta male!», fuori da casa, ore 8.30).
Segretaria La Franzoni, che alle 8.30 telefonò alla Elecrtrorhemes, dove lavorava Stefano, e alla segretaria chiese di avvisarlo subito ma «mi raccomando, non dica a mio marito che Samuele è morto».
Vivo La testimonianza del dotto Leonardo Iannizzi, che alle 8.51 atterrò nel giardino della villetta di Cogne con l'elicottero per trasportare il piccolo Samuele in ospedale: «Aveva il volto coperto di sangue, si lamentava, emetteva suoni, apriva e chiudeva gli occhi. Gemeva sommessamente, perdendo materia cerebrale dall’orecchio sinistro, ma senza sanguinare dalla bocca».
Morto Samuele Lorenzi fu dichiarato morto alle 9.55 di quella mattina.
Pigiama La Franzoni, indagata quaranta giorni dopo la morte del figlio per omicidio volontario. Tra gli indizi gravi a suo carico il pigiama imbrattato di sangue (era sotto il piumone che copriva Samuele) e la macchia di sangue sui suoi zoccoli bianchi, indossati quella mattina in casa e poi cambiati con degli stivaletti neri per accompagnare l'altro figlio, Davide, allo scuolabus. Sentenza definitiva il 21 maggio 2008: 16 anni di carcere.
Marito «(...) Dopo il fatto io ho pensato a tutto e non ho escluso a priori mia moglie solo perché è mia moglie. Ma ci ho ragionato sopra: i suoi erano ricordi precisi, puntuali, il suo racconto privo di contraddizioni (...) Oggi come allora se avessi il minimo dubbio prenderei subito le distanze da lei e non mi comporterei così. Lei con il fatto non c’entra (...). Ricordo come fosse ora (...) la disperazione che avevamo io e Annamaria, piangevamo tutti e due (...) Annamaria è innocente: io sono ancora alla ricerca della verità [...]» (Stefano Lorenzi, il 31 marzo 2010 durante una testimonianza).
Lucrezia Dell’Arti