la Repubblica, 1 febbraio 1991
Tags : La svolta della Bolognina
L’ultima notte da comunisti
Rimini. È l’una e trenta del mattino in una stanza dell’hotel Ambasciatori, i muscoli delle gambe fanno male per la prolungata immobilità di uomini da ore incollati alle sedie, la relazione di Achille Occhetto è un ventaglio di fogli sparsi ma finalmente distillati, approvati, buoni per l’uso. In quella pila di carte ci sono migliaia di parole, frutto di una prolungata caccia all’aggettivo giusto, di una al tempo stesso spontanea e maniacale cura dei dosaggi, degli effetti, dei significati. Tutto viene riletto e rivagliato: è finita, va bene e probabilmente nessuno dà peso al fatto che il termine comunista compaia solo due volte. Solo per dire della feconda presenza dell’idealità comunista contraddetta e calpestata dall’esperienza storica del comunismo internazionale. Comunismo: un ricordo, una traccia, non un dolore e neanche un rimpianto. Qualcosa che scivola via e che non ingombra l’ultima notte di quello che fu il Partito comunista italiano. Poche ore dopo, stavolta forse volutamente, alla prima occasione per menzionare il suo partito, Occhetto dirà: Ma di quale salto all’indietro del Pds si parla.... Pds dunque, e così sia. È stata una notte senza brindisi e senza lacrime, il comunismo non esigeva più nemmeno addii. Qualcuno, giorni fa, aveva pensato e proposto di salutare il Pci che se n’è andato, di rendere esplicito il funerale e il battesimo. Era stata immaginata una scenografia col simbolo della falce e martello che si allontanava e quello della quercia che prendeva il campo, una sorta di ammaina e alzabandiera. Non se ne farà nulla perché sarebbe stato a suo modo un film doloroso e perché, a giudizio di Occhetto e dei suoi, non ce n’è bisogno: per i fondatori del Pds il comunismo è entrato nella storia e non soltanto da stanotte. E allora è inutile rimuovere davanti alla platea i vecchi simboli, anzi l’indicazione che viene da Botteghe Oscure è di conservarli, sia pure in bacheca. Come quella bandiera della Comune di Parigi che sta senza stonare nella sede nazionale del partito ora anche gli emblemi di settanta anni potranno restare nelle sezioni, negli uffici, nei corridoi. Pezzi di storia sottratti al tribunale della politica, oggetti di memoria e non di culto. Non ci sarà bisogno di regalarsi a Natale, come pure è già avvenuto, falci e martelli e i vecchi simboli e cimeli non finiranno nel circuito commerciale del collezionismo un po’ politico e un po’ morboso. Così almeno vuole Botteghe Oscure: appendere alle pareti quel che è stato, senza passioni. E tra la gamma dei sentimenti che accompagnano l’ultima notte comunista del segretario non c’è neanche melanconia, l’indugio di uno sguardo all’indietro. La tv è accesa a basso volume nell’ansia di notizie che arrivino dal fronte di guerra, l’attesa è per come verrà accolta l’indomani la professione di pacifismo di governo che Occhetto ha appena finito di mettere su carta. Un pacifismo rivendicato con orgoglio e nel quale, almeno nelle sue motivazioni esplicite, è arduo rintracciare qualcosa di quello che fu la lettura comunista della pace e della guerra. Nel mondo che Occhetto dipinge sull’orlo del baratro non ci sono nazioni patria dei circoli militari e imperialistici e neanche fedeltà internazionali. Ci sono soprattutto uomini di buona volontà e perciò Wojtyla appare come l’interlocutore più immediato. Così come non ci sono proletari e capitalisti a spingere o a frenare sulla strada della giustizia sociale. L’universo del Pds conosce soprattutto cittadini in cerca della realizzazione concreta dei loro diritti. Quando, alle due del mattino, quella luce si spegne nella stanza d’albergo diventa perfino scorretto annotare che il comunismo non c’è più: nelle pagine e nella mente di Occhetto il comunismo non c’è e basta. Ha ragione il segretario del partito che nasce a non temere nemmeno l’impatto emotivo del partito che è morto. In questa notte quelli che non sono convinti del suo Pds dibattono e riflettono sul come dimostrarne la fragilità del programma, l’approssimazione delle alleanze. S’ingegnano gli uomini e le donne del no ad Occhetto a garantirsi la possibilità di fare la loro politica all’interno del Pds. Perfino coloro che non vogliono stare un minuto in questo partito non più comunista non gridano al tradimento nella notte di Rimini, piuttosto all’errore, al colpevole sbaglio nella scelta dei valori. E non ci sono concitate rincorse ma solo tranquilli percorsi sui lungomare appena sporcati di nebbia. E neppure tribuni in sale fumose e vibranti, solamente cene in cui soltanto la topografia dei posti a tavola denuncia le differenze politiche. Nessuno tira l’alba in questa notte, non il segretario del Pds che chiude la sua fatica constatando come tutti i nodi siano stati tagliati e come ormai sia davvero tempo di vedere se la nuova barca cammina e non di che materiale sia fatta. Occhetto ha pensato ai cattolici, ai socialisti, ai giovani, ai verdi, alle donne. Verso ognuno c’è una scommessa e una speranza, da ognuno Occhetto in questa notte si augura applausi e teme sordità. Quella del Pds sarà una strada piena di ostacoli dolorosi, ma una ferita non c’è o, se mai c’è stata, è già rimarginata: quella della rinuncia al comunismo. Hanno detto ad Occhetto che il congresso sarà aperto dalle note dell’Internazionale: nessun problema, quell’inno non evocherà nulla che non sia più compatibile con la nuova creatura politica. Non ci saranno in sala né patemi né sussulti, al massimo il Pds si ricorderà di avere una storia su cui affacciarsi. Trascorre così l’ultima notte comunista del partito di Togliatti, Longo e Berlinguer: senza le gramaglie di un funerale, i furori di un abbandono, il dolore di una perdita. E al massimo Occhetto si sveglia, riguarda la sua relazione, aggiunge un aggettivo dimenticato a spiegare la natura del suo pacifismo, cambia una parola per rendere più stringente il suo invito al governo a ritirare le truppe italiane nel Golfo, forse neanche si sofferma su quel comunismo che nella sua relazione sopravvive ormai più come vittima che come protagonista di questo secolo, e infine si tuffa in un congresso che, in perfetta sintonia con lui, comunista non è più, anzi comunista non è.