Rassegna, 24 gennaio 2013
«Sesso con trans in cambio di favori»: magistrato in cella
• Il pubblico ministero romano Roberto Staffa, 55 anni, originario di Napoli, sposato, padre, è stato arrestato ieri per concussione, corruzione e rivelazione del segreto d’ufficio per ordine del gip Carla Giangamboni. In cambio di favori avrebbe chiesto prestazioni sessuali, anche a trans. Spiega Haver sul Cds: «Le accuse contenute nelle 93 pagine dell’ordinanza non sembrano comunque lasciare scampo a Staffa. Oltre a una serie di intercettazioni telefoniche, le microspie e una telecamera sistemate nel suo ufficio hanno registrato e filmato colloqui e incontri sessuali. Staffa – secondo l’accusa – barattava il suo lavoro in cambio di sesso. In cambio di informazioni su procedimenti di cui si stava occupando (per otto anni – il limite massimo consentito dalle norme – è stato uno dei pm di punta della Direzione distrettuale antimafia di Roma). In cambio di permessi di colloquio con i detenuti (un video lo ritrae mentre ha un rapporto sessuale con una donna che voleva incontrare un parente rinchiuso in cella). In cambio di permessi di soggiorno per “motivi di giustizia” ad alcuni trans. Gli accertamenti sono partiti proprio su input della Procura capitolina un anno e mezzo fa e hanno avuto un’accelerazione negli ultimi tempi: a mettere sulla strada giusta gli inquirenti è stato, inizialmente, proprio un trans».
• Scrive Bonini (Rep): «Dicono ora alcuni dei suoi colleghi che il destino di Staffa fosse a suo modo segnato. E non tanto per i pettegolezzi che avevano preso ad assediarlo dal Natale scorso, quando il suo incarico alla Dda non era stato rinnovato dal procuratore Pignatone, e si continuava a vociferare nei corridoi della Procura del singolare via-vai notturno di convocati e convocate nel suo ufficio. Ma perché Staffa “era un pm regolarmente sopra le righe”, “clamorosamente free”, “un narciso animato da un eccesso di confidenza e in perenne ostentazione della propria originalità”. Non certo quella del tutto innocua e goliardica che lo vedeva “voce” dei Dura Lex, band di avvocati e giornalisti che settimanalmente suonava nei locali di Roma del “Revival italiano ‘70-’80”. Ma quella, per dirne una, che, agli inizi della carriera, gli era costata il trasferimento di ufficio disposto dal Csm da Trieste (dove aveva cominciato come pm nel ’77) a Venezia. Perché sorpreso a intrupparsi con la sua firma in un affidavit firmato dai notabili del circolo del Tennis di Trieste a garanzia del buon nome di Alessandro Moncini, industriale arrestato e condannato negli Stati Uniti per pedo-pornografia».