Rassegna, 23 gennaio 2013
Mussari lascia l’Abi per lo scandalo Mps
• Il presidente dell’Abi Giuseppe Mussari si è dimesso «con effetto immediato e in maniera irrevocabile», travolto dallo scandalo delle operazioni in derivati realizzate tra il 2008 e il 2009 dal Monte dei Paschi di Siena, banca di cui lui all’epoca era presidente. Il suo posto sarà preso per ora da Camillo Venesio, il vicepresidente vicario dell’Abi.
• Ecco com’è andata la giornata di ieri: sul Fatto quotidiano è comparsa un’inchiesta che svela un’operazione (in codice Alexandria) di ristrutturazione del debito con la banca d’affari Nomura, costata alla banca senese Mps una prima correzione nel bilancio 2012 di 220 milioni. Ma che secondo il quotidiano porterà a una perdita potenziale che potrebbe salire a 740 milioni. Una nuova tegola che colpisce Mps che negli anni in cui Mussari era presidente aveva siglato tre contratti in derivati con banche d’affari (Deutsche Bank, Jp Morgan e Nomura) per rinviare potenziali perdite che avrebbero avuto un impatto disastroso sul bilancio del Monte. In una nota Nomura afferma che l’operazione Alexandria «è stata completamente esaminata e approvata ai massimi livelli di Mps incluso il cda e anche il presidente avvocato Mussari». Parte il tam-tam dei media, la notizia rimbalza ovunque e il titolo Mps crolla in Borsa (-6,2% in mattinata e a fine seduta -5,6%). Alle 11,30 a Roma comincia, tra qualche imbarazzo, l’incontro in programma tra gli esperti del Fmi e i vertici dell’Abi. Mussari non è presente, c’è invece il direttore generale dell’Abi, Giovanni Sabatini, accompagnato da alcuni tecnici dell’associazione. La riunione è delicata, si discute della salute delle banche italiane e dei metodi per calcolare i crediti deteriorati e la tassazione delle sofferenze. Poi nel pomeriggio Mussari, nonostante la contrarietà di alcuni banchieri del comitato esecutivo, decide di lasciare l’Abi. Intorno alle 20.00 è inviata e poco dopo resa pubblica la lettera di dimissioni di Mussari al vicario Venesio. [Fornovo, Sta]
• Ora si apre la partita per la successione. Le grandi banche potrebbero esprimere il nuovo vertice e tra i papabili potrebbero esserci il consigliere delegato Enrico Cucchiani e l’ad di Unicredit Federico Ghizzoni. Ma Venesio, che rappresenta le banche più piccole, potrebbe anche restare fino all’aprile 2014, quando sarebbe scaduto cioè il mandato di Mussari. [Fornovo, Sta]
• Domani Mps riunisce il Cda e venerdì ci sarà un’infuocata assemblea dei soci chiamati a dare la delega al Consiglio per l’ok all’aumento di capitale da 4,5 miliardi di euro. Circa 3,9 miliardi per i Monti-Bond, più gli interessi da pagare. [Fornovo, Sta] Tra chi ha annunciato interventi in assemblea ci sono Beppe Grillo e Oscar Giannino. Che con ogni probabilità commenteranno anche le condizioni dell’aiuto di Stato, fra le quali un interesse iniziale al 9% che sale fino al 15%, il divieto di fare riferimento nelle pubblicità all’aiuto di Stato o di «intraprendere politiche commerciali aggressive». [Massaro, Cds]
• I Monti bond serviranno a Mps per coprire due miliardi di minor patrimonio determinato dal valore di mercato dei 22 miliardi di Btp che la banca ha in pancia. Btp che peraltro, a causa dei derivati sottoscritti su quegli stessi titoli, rendono appena 60 milioni l’anno. Nelle intenzioni dell’allora presidente Giuseppe Mussari dovevano invece rimpolpare la redditività di una banca azzoppata da un passo rivelatosi più lungo della gamba: l’acquisto di Antonveneta per 9 miliardi dalla spagnola Santander (che l’aveva pagata 6,3 miliardi pochi mesi prima) a fine 2007, alla vigilia della crisi, e costato agli azionisti due aumenti di capitale, il primo da 5 miliardi nel 2008 e l’altro da 2,2 miliardi nel 2011. [Massaro, Cds]
• Fa notare Rizzo sul Cds: «Inutile negarlo, per il Pd la vicenda dei derivati che sarebbero stati sottoscritti “segretamente” nel 2009 dal Monte dei Paschi di Siena, con le conseguenti dimissioni di Giuseppe Mussari dalla presidenza dell’Abi, adesso proprio non ci volevano. Non in piena campagna elettorale. Non quando c’è in ballo pure il voto al Comune di Siena, roccaforte diessina prima e democratica poi, dal mese di giugno 2012 senza giunta dopo che il Pd locale si è dilaniato proprio a causa della banca. (…) La banca senese è controllata da una Fondazione, a sua volta controllata dal Comune, a sua volta feudo Pd: prima appunto che gli ex margheritini e gli ex diessini litigassero ferocemente a proposito del destino del Monte e di certe poltrone. I sindaci che negli ultimi vent’anni hanno preceduto il dimissionario Franco Ceccuzzi, erano anche dipendenti del Monte. A dimostrazione di un rapporto simbiotico fra città, banca e partito».