Foglio dei Fogli, lunedì 21 novembre 2005, 21 gennaio 2013
Tags : Il processo di Cogne
Inizia il processo d’appello per il delitto di Cogne
Foglio dei Fogli, lunedì 21 novembre 2005
• Stamattina alle 11 riprende nell’Aula 6 del Palazzo di giustizia ”Bruno Caccia” di Torino il processo d’appello ad Annamaria Franzoni, condannata in primo grado a trent’anni per l’omicidio del figlio Samuele Lorenzi, tre anni, colpito da 17 colpi alla testa nel letto dei genitori (a Cogne intorno alle 8 e 25 di mattina del 30 gennaio 2002). [1] Il processo è iniziato mercoledì. Marco Neirotti ha scritto che sembrava di «essere a una protesta contro l’Alta Velocità, di fronte a un gruppo di portoghesi che vogliono entrare allo stadio». [2] Maurizio Crosetti: «Il pubblico, entrando, ha voltato la testa di scatto verso di lei, la star, la famosa, la terribile, la misteriosa, la glaciale Annamaria Franzoni. Parevano tutti pupazzi meccanici». [3]
Note: [1] Marco Neirotti, La Stampa 17/11; Cristina Marrone, Corriere della Sera 17/11; Meo Ponte, la Repubblica 17/11; [2] Marco Neirotti, La Stampa 17/11; [3] Maurizio Crosetti, la Repubblica 17/11; [4] Marco Neirotti, La Stampa 17/11; m.p., la Repubblica 17/11; Massimo Gramellini, La Stampa 17/11; [5] Aldo Grasso, Corriere della Sera 17/11; [6] Curzio Maltese, la Repubblica 17/11; [7] Massimo Gramellini, La Stampa 17/11; [8] Meo Ponte, la Repubblica 20/7/2004; [9] Aldo Grasso, Corriere della Sera 20/7/2004; [10] Chiara Beria di Argentine, La Stampa 16/11; [11] La Stampa 18/11; [12] Marco Imarisio, Corriere della Sera 17/11; [13] Marco Neirotti, La Stampa 18/11; [14] Enrico Martinet, La Stampa 17/11; [15] Pierangelo Sapegno, La Stampa 15/11; [16] La Stampa 15/11; [17] Cristina Marrone, Corriere della Sera 16/11; [18] Stefano Zurlo, Il Giornale 17/11; [19] Meo Ponte, la Repubblica 17/11; [20] Cristina Marrone, Corriere della Sera 19/11; [21] Andrea Camilleri, La Stampa 16/11; [22] Cristina Marrone, Corriere della Sera 17/11.
• Sentite mercoledì in via Cavalli tra la gente in attesa di entrare nell’Aula 6. «E quando tocca a noi?»; «Bisogna pagare per entrare?»; «Dove ci si prenota?»; «Devo entrare. Mi ha invitato Annamaria». [4] Aldo Grasso: «Finisce l’Isola, inizia Cogne, a un reality succede un altro reality». [5] Curzio Maltese: «Nella folla stipata davanti al tribunale di Torino per assistere al processo d’appello per Cogne non c’era posto per uno spillo né per un sentimento. Nessuna rabbia, indignazione, dolore o pietà, soprattutto nessuna pietà. Soltanto curiosità e neppure per la verità sulla morte di Samuele. Una curiosità invadente e veloce, superficiale. In una parola: televisiva». [6] Secondo Massimo Gramellini gli spettatori vogliono capire «se la Cattiva della favola horror, vista da vicino, è davvero così cattiva. E nel farlo è come se riconoscessero finalmente alla realtà un’autorevolezza superiore alla sua rappresentazione televisiva». [7] Neirotti: «Il reality ha fatto il suo tempo, ha autori, registi e gente a caccia di spettatori, ha cadenze e ambizioni e magari accordi, battute, abbandoni a effetto. Ma Annamaria Franzoni è vera, la processano davvero». [1]
• Di quella tragedia ormai conosciamo tutto. Grasso: «L’abbiamo vista in onda sera dopo sera: nei salotti di Maurizio Costanzo, di Irene Pivetti, di Maurizio Belpietro, di mille tv locali, soprattutto di Bruno Vespa, che ha saputo serializzare l’appuntamento». [5] C’è il sole a Cogne la mattina del 30 gennaio 2002. Alle 8.28 la Franzoni telefona al 118 urlando che al figlio Samuele è esplosa la testa. la seconda telefonata che quella mattina arriva alla guardia medica di Aosta da quello chalet in frazione Montroz. Alle 5.45 Stefania Neri, medico di guardia, era corsa fin lì per assistere Annamaria che diceva di sentirsi poco bene. L’autopsia effettuata il giorno dopo accerta che il bimbo è stato ucciso. I sospetti si concentrano subito sulla madre, ma la procura di Aosta, dopo un rapido interrogatorio della donna, preferisce affidarsi alle indagini scientifiche del Ris di Parma. [8]
• Per giorni i tg aprono con la notizia del bambino assassinato nel suo letto. Grasso: «Cogne si trasforma presto in un set televisivo: parabole, telecamere, microfoni, cronisti ma anche dicerie, pettegolezzi, sussurri. Sembra la scena di un film, qualcosa a metà tra L’asso nella manica e il Truman show tanto che il sindaco Osvaldo Ruffier vorrebbe smantellare quell’improvvisato teatro di posa: ”Basta citarci come il paese del delitto, è tempo di turismo!”. Già perché, intanto, l’unica indagata è proprio la mamma di Samuele e l’idea che una madre abbia potuto uccidere il proprio figlioletto è così aberrante che quelle immagini si imprimono nella memoria di tutti: la villetta isolata, i carabinieri che entrano ed escono dalla casa, i giocattoli abbandonati nel cortile, gli zoccoli, il pigiama». [9]
• Nel marzo 2002 la Franzoni si concede alle telecamere di Studio aperto (piange con disperazione). Quattro mesi dopo è al Costanzo show. Grasso: «Guardando in macchina, si rivolge direttamente all’ignoto assassino: ”Tu che l’hai fatto devi dire che sei stato tu...”. La trasmissione decide che la Franzoni è innocente: ”Se recita, recita così bene che la voglio scritturare”, dichiara il conduttore. Da un punto di vista mediatico, la Franzoni viene dunque assolta. vero che in cambio deve dare una notizia in esclusiva (l’annuncio di una nuova maternità), concedersi alla morbosità del pubblico, mettere in mostra angoscia e orrore, ”recitare la parte” ma questo fa parte del gioco, del reality appunto». [9] Il 14 marzo il gip Fabrizio Gandini emette l’ordinanza di custodia cautelare che permette l’arresto della Franzoni. Il 30 marzo il tribunale del riesame di Torino accoglie le tesi dell’allora legale della donna, l’avvocato Carlo Federico Grosso e del suo consulente scientifico, professor Carlo Torre, e ordina a sorpresa la scarcerazione dell’imputata. Il 3 luglio 2003 la procura di Aosta chiude le indagini chiedendo il rinvio a giudizio per omicidio volontario. Il 16 settembre il gup Eugenio Gramola dispone una perizia sull’analisi delle tracce di sangue. Il 26 aprile 2004 lo scontro tra periti si conclude con la vittoria delle tesi dell’accusa: l’assassino indossava almeno i pantaloni del pigiama. Il 19 luglio 2004 arriva la condanna. [8]
• «Prima che dal giudice sono stata condannata dai mass media, dall’opinione pubblica. Ora accetterò di difendermi davanti a questo tribunale del popolo. Il silenzio che qualcuno ci ha imposto e che io accettavo per pudore non ha portato a nulla. Mio malgrado sono diventata un personaggio pubblico e in pubblico devo portare il mio dolore. Dirò quello che non vogliono che dica, le verità che tengono nascoste»: sono parole della Franzoni, in un’intervista dello scorso febbraio. Ma da allora non sono emerse ”verità nascoste” in grado di dare un nuovo corso al processo. [10] I finali possibili sono quattro: 1) la Franzoni viene assolta: annullata la condanna a trent’anni, l’accusa potrebbe ricorrere in Cassazione ed ottenere un nuovo processo; 2) la Franzoni viene condannata senza l’attenuante specifica della infermità di mente totale o parziale: la pena potrebbe essere uguale o lievemente inferiore a quella stabilita in primo grado (non superiore per via del rito abbreviato). La difesa potrebbe ricorrere in Cassazione; 3) la perizia psichiatrica certifica che la Franzoni ha un disturbo della personalità non lieve: questa condizione può essere sufficiente per far scattare la semi-infermità mentale. Ne consegue che la pena può essere ridotta sensibilmente, ma non annullata. possibile il ricorso in Cassazione (ma solo per un difetto di motivazione della sentenza); 4) La perizia psichiatrica stabilisce la totale infermità mentale della Franzoni, che in questo caso non sarebbe punibile. [11]
• Vittorio Corsi di Bosnasco, il sostituto procuratore generale che rappresenta l’accusa, è la prima persona a parlare della Franzoni come di una donna «con un forte disturbo della personalità»: una recente sentenza della Cassazione , ricorda, stabilisce che questi «disturbi» possono influire sull’imputabilità di una persona. Demolita la perizia psichiatrica ufficiale che aveva sancito la capacità di intendere e volere di Annamaria, ne chiede una nuova. Marco Imarisio: « la via d’uscita per tutti, la possibile seminfermità come conclusione di una indagine imperfetta e logica, qualcosa che anche la difesa desidera ma non può chiedere, perché la madre di Samuele non vuole, e neppure Carlo Taormina può forzarla». [12] Corsi si è lamentato per «il rifiuto alla videoregistrazione delle sedute», tecnica che «avrebbe permesso di fissare soprattutto il non verbale» e di eseguire una serie di test importanti come la Hrsd (potrebbe dire molto sulla depressione) o il T.A.T (eseguito in un secondo tempo, specchio di senso della vita e aggressività). [13] Per dimostrare possibili disturbi della personalità della Franzoni, l’accusa elenca malori e malesseri, manifestati vuoi la sera prima del delitto, vuoi la mattina successiva. Ricorda che la salute di Samuele era per lei un cruccio (diceva che aveva la testa «sempre calda», subito dopo la tragedia disse che forse era scoppiata perché aveva «chiamato troppo forte la sua mamma»). Secondo l’accusa la Franzoni si confronta con una madre, la sua, «che ha allevato 11 figli splendidamente e forse non si sente all’altezza». [14]
• Tra i colpevolisti ci sono molte donne. L’imputata: «Lo immagino, sono mamme. Io comunque non mi nascondo dietro a un paio di occhiali scuri o nel ritocco di un lifting. Per strada c’è chi ammicca e dice: guarda chi è quella. Una donna ha mangiato un dolce con la mia marmellata e lo ha sputato: è sangue della Franzoni, ha detto. Ma io tiro diritto per la mia strada. Quello che mi interessa è la verità». [15] Il Dvd che verrà mostrato oggi in aula sarebbe la prima tappa del percorso di riabilitazione. Vi compare più volte il medico Ada Satragni, testimone chiave del processo per due motivi: è stata fra le prime persone ad arrivare a casa Lorenzi, chiamata da Annamaria qualche minuto dopo la scoperta del figlio agonizzante; in due occasioni ha detto agli inquirenti che la Franzoni calzava stivaletti neri quando era accanto al bimbo in agonia, smentendo così quanto dichiarato dalla mamma di Samuele. [16]
• Il particolare, ripetuto da altri due testimoni, fa parte dei dieci indizi gravi e concordanti indicati dal giudice di Aosta Eugenio Gramola nella sentenza di condanna del processo di primo grado. Annamaria aveva sostenuto che, rientrando in casa dopo aver accompagnato allo scuolabus il primogenito Davide, aveva tolto gli stivaletti e indossato gli zoccoli bianchi. L’indizio è importante perché su una suola è stato trovata una macchia di sangue di Samuele: se Annamaria li avesse calzati per rientrare in casa, aveva scritto il giudice nella sentenza di condanna, si sarebbero macchiati quando entrò nella stanza e trovò Samuele agonizzante: «In questo caso - scriveva il giudice - tale sangue avrebbe dovuto macchiare quanto meno le porzioni del pavimento percorse dalla Franzoni uscendo dalla camera per telefonare». I consulenti dell’accusa, i carabinieri del Ris di Parma, non avevano però individuato alcuna traccia di sangue, neppure con la prova del reagente luminol. [16]
• Su quel che mostra il video si sa già tutto. Cristina Marrone: «Schizzi di sangue ovunque, sulle lampade del comodino, su una foto gigante di Sammy appesa al muro, sul piumone, che copre quasi del tutto il pigiama. (...) ci sono macchie di sangue da schizzo e da gocciolamento. Dappertutto. Ed è su questo punto che tornano i veleni. L’avvocato Carlo Taormina è pronto a dare battaglia. Vuole chiedere di riaprire il dibattimento portando quelle che lui ritiene, appunto, ”nuove prove” che l’accusa giudica ”irrilevanti”: il dvd con il video e due cd con le fotografie della stessa scena. probabile che la Corte decida per una nuova perizia sulle tracce sul pavimento». [17] A suo tempo il perito Hermann Schmitter aveva detto: «Per me l’assassino indossava i pantaloni del pigiama, ma se mi dimostrate che il pavimento era sporco di sangue sono pronto a ricredermi». Il Dvd svelerebbe appunto che il pavimento era macchiato e che i pantaloni potrebbero essersi sporcati a terra. In quel caso cadrebbe un pilastro dell’accusa, tutto tornerebbe in discussione e la pista alternativa acquisirebbe credibilità. [18]
• Secondo la difesa il killer di Samuele ha avuto cinque minuti e dieci secondi per uccidere senza essere visto. [19] Per dimostrarlo è stato girato un video nel quale il padre della vittima interpreta l’assassino. Marrone: «’Come il vero assassino” gli hanno spiegato i detective che hanno raccolto in un dossier i 69 punti contro un vicino di casa. ”Devi muoverti come lui, fingere di essere lui”. Così Stefano Lorenzi non si è tirato indietro e ha rivestito la parte di protagonista in questo film sull’omicidio. Fa l’assassino. L’assassino di suo figlio». Francesco Viglino, il medico legale che eseguì l’autopsia su Samuele: «Sotto certi profili è qualcosa di sconvolgente questo video. Lorenzi l’ho visto sempre tranquillo. Freddo. Non so perché l’abbia fatto, forse non c’era altro modo, non c’era nessun altro. Non riesco a valutarlo. Certo in questa storia il buon gusto manca da parte di tutti». [20]
• Scriveva Montaigne: «La verità e la menzogna hanno un aspetto conforme, il portamento, il gusto e l’andatura simili. Noi le guardiamo col medesimo occhio». Andrea Camilleri: «È vero, e forse nemmeno nel leggere tutte le carte processuali si riesce ad avere due sguardi diversi, uno per la verità e uno per la menzogna». [21] Don Marco Borroncini, parroco di Ripoli Santa Cristina, il paesino emiliano in cui vive la famiglia Franzoni: «Io nel giudizio mi limito alle carte. Le ho lette attentamente. E sono convinto che i documenti delle indagini non dimostrano la colpevolezza di Annamaria. Con quelle carte non esiste una condanna per nessuno. Poi, se mi chiedete un giudizio su di lei, è un’altra cosa. Ne posso parlare come una fedele. Non come una imputata». [15] Taormina: «Abbiamo a che fare con una giuria che vuole capire. Ma quando mi trattano meglio è quando temo di più, soprattutto quando si parla di magistrati». [22]
Note: (Tutti i giornali sono del 2005) [1] Marco Neirotti, La Stampa 17/11; Cristina Marrone, Corriere della Sera 17/11; Meo Ponte, la Repubblica 17/11; [2] Marco Neirotti, La Stampa 17/11; [3] Maurizio Crosetti, la Repubblica 17/11; [4] Marco Neirotti, La Stampa 17/11; m.p., la Repubblica 17/11; Massimo Gramellini, La Stampa 17/11; [5] Aldo Grasso, Corriere della Sera 17/11; [6] Curzio Maltese, la Repubblica 17/11; [7] Massimo Gramellini, La Stampa 17/11; [8] Meo Ponte, la Repubblica 20/7/2004; [9] Aldo Grasso, Corriere della Sera 20/7/2004; [10] Chiara Beria di Argentine, La Stampa 16/11; [11] La Stampa 18/11; [12] Marco Imarisio, Corriere della Sera 17/11; [13] Marco Neirotti, La Stampa 18/11; [14] Enrico Martinet, La Stampa 17/11; [15] Pierangelo Sapegno, La Stampa 15/11; [16] La Stampa 15/11; [17] Cristina Marrone, Corriere della Sera 16/11; [18] Stefano Zurlo, Il Giornale 17/11; [19] Meo Ponte, la Repubblica 17/11; [20] Cristina Marrone, Corriere della Sera 19/11; [21] Andrea Camilleri, La Stampa 16/11; [22] Cristina Marrone, Corriere della Sera 17/11.
• Stamattina alle 11 riprende nell’Aula 6 del Palazzo di giustizia ”Bruno Caccia” di Torino il processo d’appello ad Annamaria Franzoni, condannata in primo grado a trent’anni per l’omicidio del figlio Samuele Lorenzi, tre anni, colpito da 17 colpi alla testa nel letto dei genitori (a Cogne intorno alle 8 e 25 di mattina del 30 gennaio 2002). [1] Il processo è iniziato mercoledì. Marco Neirotti ha scritto che sembrava di «essere a una protesta contro l’Alta Velocità, di fronte a un gruppo di portoghesi che vogliono entrare allo stadio». [2] Maurizio Crosetti: «Il pubblico, entrando, ha voltato la testa di scatto verso di lei, la star, la famosa, la terribile, la misteriosa, la glaciale Annamaria Franzoni. Parevano tutti pupazzi meccanici». [3]
Note: [1] Marco Neirotti, La Stampa 17/11; Cristina Marrone, Corriere della Sera 17/11; Meo Ponte, la Repubblica 17/11; [2] Marco Neirotti, La Stampa 17/11; [3] Maurizio Crosetti, la Repubblica 17/11; [4] Marco Neirotti, La Stampa 17/11; m.p., la Repubblica 17/11; Massimo Gramellini, La Stampa 17/11; [5] Aldo Grasso, Corriere della Sera 17/11; [6] Curzio Maltese, la Repubblica 17/11; [7] Massimo Gramellini, La Stampa 17/11; [8] Meo Ponte, la Repubblica 20/7/2004; [9] Aldo Grasso, Corriere della Sera 20/7/2004; [10] Chiara Beria di Argentine, La Stampa 16/11; [11] La Stampa 18/11; [12] Marco Imarisio, Corriere della Sera 17/11; [13] Marco Neirotti, La Stampa 18/11; [14] Enrico Martinet, La Stampa 17/11; [15] Pierangelo Sapegno, La Stampa 15/11; [16] La Stampa 15/11; [17] Cristina Marrone, Corriere della Sera 16/11; [18] Stefano Zurlo, Il Giornale 17/11; [19] Meo Ponte, la Repubblica 17/11; [20] Cristina Marrone, Corriere della Sera 19/11; [21] Andrea Camilleri, La Stampa 16/11; [22] Cristina Marrone, Corriere della Sera 17/11.
• Sentite mercoledì in via Cavalli tra la gente in attesa di entrare nell’Aula 6. «E quando tocca a noi?»; «Bisogna pagare per entrare?»; «Dove ci si prenota?»; «Devo entrare. Mi ha invitato Annamaria». [4] Aldo Grasso: «Finisce l’Isola, inizia Cogne, a un reality succede un altro reality». [5] Curzio Maltese: «Nella folla stipata davanti al tribunale di Torino per assistere al processo d’appello per Cogne non c’era posto per uno spillo né per un sentimento. Nessuna rabbia, indignazione, dolore o pietà, soprattutto nessuna pietà. Soltanto curiosità e neppure per la verità sulla morte di Samuele. Una curiosità invadente e veloce, superficiale. In una parola: televisiva». [6] Secondo Massimo Gramellini gli spettatori vogliono capire «se la Cattiva della favola horror, vista da vicino, è davvero così cattiva. E nel farlo è come se riconoscessero finalmente alla realtà un’autorevolezza superiore alla sua rappresentazione televisiva». [7] Neirotti: «Il reality ha fatto il suo tempo, ha autori, registi e gente a caccia di spettatori, ha cadenze e ambizioni e magari accordi, battute, abbandoni a effetto. Ma Annamaria Franzoni è vera, la processano davvero». [1]
• Di quella tragedia ormai conosciamo tutto. Grasso: «L’abbiamo vista in onda sera dopo sera: nei salotti di Maurizio Costanzo, di Irene Pivetti, di Maurizio Belpietro, di mille tv locali, soprattutto di Bruno Vespa, che ha saputo serializzare l’appuntamento». [5] C’è il sole a Cogne la mattina del 30 gennaio 2002. Alle 8.28 la Franzoni telefona al 118 urlando che al figlio Samuele è esplosa la testa. la seconda telefonata che quella mattina arriva alla guardia medica di Aosta da quello chalet in frazione Montroz. Alle 5.45 Stefania Neri, medico di guardia, era corsa fin lì per assistere Annamaria che diceva di sentirsi poco bene. L’autopsia effettuata il giorno dopo accerta che il bimbo è stato ucciso. I sospetti si concentrano subito sulla madre, ma la procura di Aosta, dopo un rapido interrogatorio della donna, preferisce affidarsi alle indagini scientifiche del Ris di Parma. [8]
• Per giorni i tg aprono con la notizia del bambino assassinato nel suo letto. Grasso: «Cogne si trasforma presto in un set televisivo: parabole, telecamere, microfoni, cronisti ma anche dicerie, pettegolezzi, sussurri. Sembra la scena di un film, qualcosa a metà tra L’asso nella manica e il Truman show tanto che il sindaco Osvaldo Ruffier vorrebbe smantellare quell’improvvisato teatro di posa: ”Basta citarci come il paese del delitto, è tempo di turismo!”. Già perché, intanto, l’unica indagata è proprio la mamma di Samuele e l’idea che una madre abbia potuto uccidere il proprio figlioletto è così aberrante che quelle immagini si imprimono nella memoria di tutti: la villetta isolata, i carabinieri che entrano ed escono dalla casa, i giocattoli abbandonati nel cortile, gli zoccoli, il pigiama». [9]
• Nel marzo 2002 la Franzoni si concede alle telecamere di Studio aperto (piange con disperazione). Quattro mesi dopo è al Costanzo show. Grasso: «Guardando in macchina, si rivolge direttamente all’ignoto assassino: ”Tu che l’hai fatto devi dire che sei stato tu...”. La trasmissione decide che la Franzoni è innocente: ”Se recita, recita così bene che la voglio scritturare”, dichiara il conduttore. Da un punto di vista mediatico, la Franzoni viene dunque assolta. vero che in cambio deve dare una notizia in esclusiva (l’annuncio di una nuova maternità), concedersi alla morbosità del pubblico, mettere in mostra angoscia e orrore, ”recitare la parte” ma questo fa parte del gioco, del reality appunto». [9] Il 14 marzo il gip Fabrizio Gandini emette l’ordinanza di custodia cautelare che permette l’arresto della Franzoni. Il 30 marzo il tribunale del riesame di Torino accoglie le tesi dell’allora legale della donna, l’avvocato Carlo Federico Grosso e del suo consulente scientifico, professor Carlo Torre, e ordina a sorpresa la scarcerazione dell’imputata. Il 3 luglio 2003 la procura di Aosta chiude le indagini chiedendo il rinvio a giudizio per omicidio volontario. Il 16 settembre il gup Eugenio Gramola dispone una perizia sull’analisi delle tracce di sangue. Il 26 aprile 2004 lo scontro tra periti si conclude con la vittoria delle tesi dell’accusa: l’assassino indossava almeno i pantaloni del pigiama. Il 19 luglio 2004 arriva la condanna. [8]
• «Prima che dal giudice sono stata condannata dai mass media, dall’opinione pubblica. Ora accetterò di difendermi davanti a questo tribunale del popolo. Il silenzio che qualcuno ci ha imposto e che io accettavo per pudore non ha portato a nulla. Mio malgrado sono diventata un personaggio pubblico e in pubblico devo portare il mio dolore. Dirò quello che non vogliono che dica, le verità che tengono nascoste»: sono parole della Franzoni, in un’intervista dello scorso febbraio. Ma da allora non sono emerse ”verità nascoste” in grado di dare un nuovo corso al processo. [10] I finali possibili sono quattro: 1) la Franzoni viene assolta: annullata la condanna a trent’anni, l’accusa potrebbe ricorrere in Cassazione ed ottenere un nuovo processo; 2) la Franzoni viene condannata senza l’attenuante specifica della infermità di mente totale o parziale: la pena potrebbe essere uguale o lievemente inferiore a quella stabilita in primo grado (non superiore per via del rito abbreviato). La difesa potrebbe ricorrere in Cassazione; 3) la perizia psichiatrica certifica che la Franzoni ha un disturbo della personalità non lieve: questa condizione può essere sufficiente per far scattare la semi-infermità mentale. Ne consegue che la pena può essere ridotta sensibilmente, ma non annullata. possibile il ricorso in Cassazione (ma solo per un difetto di motivazione della sentenza); 4) La perizia psichiatrica stabilisce la totale infermità mentale della Franzoni, che in questo caso non sarebbe punibile. [11]
• Vittorio Corsi di Bosnasco, il sostituto procuratore generale che rappresenta l’accusa, è la prima persona a parlare della Franzoni come di una donna «con un forte disturbo della personalità»: una recente sentenza della Cassazione , ricorda, stabilisce che questi «disturbi» possono influire sull’imputabilità di una persona. Demolita la perizia psichiatrica ufficiale che aveva sancito la capacità di intendere e volere di Annamaria, ne chiede una nuova. Marco Imarisio: « la via d’uscita per tutti, la possibile seminfermità come conclusione di una indagine imperfetta e logica, qualcosa che anche la difesa desidera ma non può chiedere, perché la madre di Samuele non vuole, e neppure Carlo Taormina può forzarla». [12] Corsi si è lamentato per «il rifiuto alla videoregistrazione delle sedute», tecnica che «avrebbe permesso di fissare soprattutto il non verbale» e di eseguire una serie di test importanti come la Hrsd (potrebbe dire molto sulla depressione) o il T.A.T (eseguito in un secondo tempo, specchio di senso della vita e aggressività). [13] Per dimostrare possibili disturbi della personalità della Franzoni, l’accusa elenca malori e malesseri, manifestati vuoi la sera prima del delitto, vuoi la mattina successiva. Ricorda che la salute di Samuele era per lei un cruccio (diceva che aveva la testa «sempre calda», subito dopo la tragedia disse che forse era scoppiata perché aveva «chiamato troppo forte la sua mamma»). Secondo l’accusa la Franzoni si confronta con una madre, la sua, «che ha allevato 11 figli splendidamente e forse non si sente all’altezza». [14]
• Tra i colpevolisti ci sono molte donne. L’imputata: «Lo immagino, sono mamme. Io comunque non mi nascondo dietro a un paio di occhiali scuri o nel ritocco di un lifting. Per strada c’è chi ammicca e dice: guarda chi è quella. Una donna ha mangiato un dolce con la mia marmellata e lo ha sputato: è sangue della Franzoni, ha detto. Ma io tiro diritto per la mia strada. Quello che mi interessa è la verità». [15] Il Dvd che verrà mostrato oggi in aula sarebbe la prima tappa del percorso di riabilitazione. Vi compare più volte il medico Ada Satragni, testimone chiave del processo per due motivi: è stata fra le prime persone ad arrivare a casa Lorenzi, chiamata da Annamaria qualche minuto dopo la scoperta del figlio agonizzante; in due occasioni ha detto agli inquirenti che la Franzoni calzava stivaletti neri quando era accanto al bimbo in agonia, smentendo così quanto dichiarato dalla mamma di Samuele. [16]
• Il particolare, ripetuto da altri due testimoni, fa parte dei dieci indizi gravi e concordanti indicati dal giudice di Aosta Eugenio Gramola nella sentenza di condanna del processo di primo grado. Annamaria aveva sostenuto che, rientrando in casa dopo aver accompagnato allo scuolabus il primogenito Davide, aveva tolto gli stivaletti e indossato gli zoccoli bianchi. L’indizio è importante perché su una suola è stato trovata una macchia di sangue di Samuele: se Annamaria li avesse calzati per rientrare in casa, aveva scritto il giudice nella sentenza di condanna, si sarebbero macchiati quando entrò nella stanza e trovò Samuele agonizzante: «In questo caso - scriveva il giudice - tale sangue avrebbe dovuto macchiare quanto meno le porzioni del pavimento percorse dalla Franzoni uscendo dalla camera per telefonare». I consulenti dell’accusa, i carabinieri del Ris di Parma, non avevano però individuato alcuna traccia di sangue, neppure con la prova del reagente luminol. [16]
• Su quel che mostra il video si sa già tutto. Cristina Marrone: «Schizzi di sangue ovunque, sulle lampade del comodino, su una foto gigante di Sammy appesa al muro, sul piumone, che copre quasi del tutto il pigiama. (...) ci sono macchie di sangue da schizzo e da gocciolamento. Dappertutto. Ed è su questo punto che tornano i veleni. L’avvocato Carlo Taormina è pronto a dare battaglia. Vuole chiedere di riaprire il dibattimento portando quelle che lui ritiene, appunto, ”nuove prove” che l’accusa giudica ”irrilevanti”: il dvd con il video e due cd con le fotografie della stessa scena. probabile che la Corte decida per una nuova perizia sulle tracce sul pavimento». [17] A suo tempo il perito Hermann Schmitter aveva detto: «Per me l’assassino indossava i pantaloni del pigiama, ma se mi dimostrate che il pavimento era sporco di sangue sono pronto a ricredermi». Il Dvd svelerebbe appunto che il pavimento era macchiato e che i pantaloni potrebbero essersi sporcati a terra. In quel caso cadrebbe un pilastro dell’accusa, tutto tornerebbe in discussione e la pista alternativa acquisirebbe credibilità. [18]
• Secondo la difesa il killer di Samuele ha avuto cinque minuti e dieci secondi per uccidere senza essere visto. [19] Per dimostrarlo è stato girato un video nel quale il padre della vittima interpreta l’assassino. Marrone: «’Come il vero assassino” gli hanno spiegato i detective che hanno raccolto in un dossier i 69 punti contro un vicino di casa. ”Devi muoverti come lui, fingere di essere lui”. Così Stefano Lorenzi non si è tirato indietro e ha rivestito la parte di protagonista in questo film sull’omicidio. Fa l’assassino. L’assassino di suo figlio». Francesco Viglino, il medico legale che eseguì l’autopsia su Samuele: «Sotto certi profili è qualcosa di sconvolgente questo video. Lorenzi l’ho visto sempre tranquillo. Freddo. Non so perché l’abbia fatto, forse non c’era altro modo, non c’era nessun altro. Non riesco a valutarlo. Certo in questa storia il buon gusto manca da parte di tutti». [20]
• Scriveva Montaigne: «La verità e la menzogna hanno un aspetto conforme, il portamento, il gusto e l’andatura simili. Noi le guardiamo col medesimo occhio». Andrea Camilleri: «È vero, e forse nemmeno nel leggere tutte le carte processuali si riesce ad avere due sguardi diversi, uno per la verità e uno per la menzogna». [21] Don Marco Borroncini, parroco di Ripoli Santa Cristina, il paesino emiliano in cui vive la famiglia Franzoni: «Io nel giudizio mi limito alle carte. Le ho lette attentamente. E sono convinto che i documenti delle indagini non dimostrano la colpevolezza di Annamaria. Con quelle carte non esiste una condanna per nessuno. Poi, se mi chiedete un giudizio su di lei, è un’altra cosa. Ne posso parlare come una fedele. Non come una imputata». [15] Taormina: «Abbiamo a che fare con una giuria che vuole capire. Ma quando mi trattano meglio è quando temo di più, soprattutto quando si parla di magistrati». [22]
Note: (Tutti i giornali sono del 2005) [1] Marco Neirotti, La Stampa 17/11; Cristina Marrone, Corriere della Sera 17/11; Meo Ponte, la Repubblica 17/11; [2] Marco Neirotti, La Stampa 17/11; [3] Maurizio Crosetti, la Repubblica 17/11; [4] Marco Neirotti, La Stampa 17/11; m.p., la Repubblica 17/11; Massimo Gramellini, La Stampa 17/11; [5] Aldo Grasso, Corriere della Sera 17/11; [6] Curzio Maltese, la Repubblica 17/11; [7] Massimo Gramellini, La Stampa 17/11; [8] Meo Ponte, la Repubblica 20/7/2004; [9] Aldo Grasso, Corriere della Sera 20/7/2004; [10] Chiara Beria di Argentine, La Stampa 16/11; [11] La Stampa 18/11; [12] Marco Imarisio, Corriere della Sera 17/11; [13] Marco Neirotti, La Stampa 18/11; [14] Enrico Martinet, La Stampa 17/11; [15] Pierangelo Sapegno, La Stampa 15/11; [16] La Stampa 15/11; [17] Cristina Marrone, Corriere della Sera 16/11; [18] Stefano Zurlo, Il Giornale 17/11; [19] Meo Ponte, la Repubblica 17/11; [20] Cristina Marrone, Corriere della Sera 19/11; [21] Andrea Camilleri, La Stampa 16/11; [22] Cristina Marrone, Corriere della Sera 17/11.