La Repubblica, 27 marzo 2007 , 19 gennaio 2013
Tags : Il processo di Cogne
Cogne: il pg Vittorio Corsi chiede 30 anni per la Franzoni (Articolo del 27/3/2007)
La Repubblica, 27 marzo 2007
«Annamaria Franzoni ha perso la testa» al momento dell’omicidio del figlio, ma i quindici specialisti che si sono occupati della sua salute mentale «hanno fornito tante risposte non univoche». Così si è espresso il procuratore generale Vittorio Corsi durante la requisitoria al processo d’appello contro la donna, chiedendo la conferma della condanna a trent’anni stabilita in primo grado. Accuse alle quali la Franzoni - in aula insieme al marito Stefano, al suocero, Mario Lorenzi, al suo legale Paola Savio - ha reagito con grande emotività: «Volevo soltanto dire che non ho ucciso Samuele», ha detto, tra le lacrime.
L’appuntamento ora è per lunedì per l’arringa della difesa, e il legale della Franzoni, Paola Savio, ha commentato così la conclusione della requisitoria: «Sulle richieste del pg non dico nulla, era assolutamente normale che succedesse un po’ di tutto questa mattina. Dalla richiesta di una riduzione della pena alla richiesta di conferma della condanna di primo grado».
Omicidio per ira. L’omicidio di Samuele Lorenzi è il prodotto di un «tremendo scatto d’ira non controllato», e non di una patologia. Così durante la requisitoria il pg Corsi ha spiegato il perché non ha chiesto lo sconto di pena per la seminfermità mentale. Per il magistrato «è stato lo scontro fra due testardaggini, quella di un bimbo che piangeva e quello di una madre che non stava bene e che ha perso la testa».
Ci dica dov’è l’arma. «Per l’ultima volta la invito a dire quale oggetto ha usato»: ha chiesto Corsi, rivolgendosi ad Annamaria Franzoni, in chiusura della requisitoria. «Senza risposta – ha aggiunto – non posso chiedere sconti di pena. Una pena più bassa, che comunque sarebbe più adeguata per rispetto al dolore di una madre».
La seminfermità. Il magistrato ha spiegato anche che alla fine dell’ultimo esame, disposto durante il processo d’appello, «c’è stata convergenza sulla seminfermità». «In ogni caso - ha detto ancora - seguii quell’udienza con un senso di magone, per non avere ottenuto una risposta senza ‘se’, e per non non avere ottenuto un racconto sincero da Annamaria». La donna aveva rifiutato di sottoporsi al test.
Il calzino mancante. Corsi ha anche parlato del mistero legato al ritrovamento di un calzino spaiato di Annamaria Franzoni: l’altro calzino potrebbe essere stato usato per cancellare delle macchie di sangue o addirittura per nascondere l’oggetto usato per uccidere Samuele Lorenzi. «Che fine ha fatto l’altro calzino? È stato usato per pulire o per nascondere il pentolino di rame?»
L’arma, un mestolo o un pentolino. Corsi è tornato anche a parlare dell’arma: «Può essere stato un mestolo, una mestola come dice il papà di Annamaria, o un pentolino. Ripeto: “può” essere. Non posso dirlo con esattezza. Del resto, Carlo Torre (consulente della difesa) non esclude un pentolino di rame. Ma una scarpa o un sabot dotato di carrarmato non possono essere stati usati: nelle ferite non ci sono tracce di terra».
Il pigiama non lavato. Dopo avere ucciso il figlio, Annamaria Franzoni «non ha potuto lavare il pigiama o nasconderlo». Per questo l’indumento imbrattato di sangue è stato gettato sul letto, ha detto ancora Corsi durante la requisitoria. «Un’arma puoi lavarla subito - ha aggiunto Corsi - ma un pigiama no. Perché non lo ha portato nel bagno quando si è cambiata? Perché avrebbe dovuto dare troppe spiegazioni».
«Buona madre», una figura costruita dalla famiglia. «La figura di Annamaria Franzoni è stata costruita dalla famiglia», secondo Corsi. «A mio avviso è una donna che quel giorno, anche se solo per venti minuti, perse la testa. Ma esaminando le intercettazioni ambientali, e leggendo il libro che ha pubblicato, si scopre che la famiglia ha voluto costruirvi un personaggio: quello della buona madre. Una madre colpevole non può non crollare. Io, ripete Annamaria, invece non crollo. Ricordo tutto, sono sana. E quindi non posso avere ucciso Sammy».
Si è cacciata in un vicolo cieco. «Forse Anna Maria non vuole tornare indietro ma andare avanti e battere la testa in fondo al tunnel tenendo la mano a Stefano e alla sua famiglia»: è sempre il procuratore Corsi a parlare nella parte finale della sua requisitoria. «Anna Maria si è cacciata in un vicolo cieco, lei e la sua famiglia. In particolare il marito e il papà. Vedo soprattutto il marito subordinato al padre». E ha ancora aggiunto: «Anna Maria Franzoni non ha fatto nulla in più di quello che avrebbe potuto fare. È ancora in tempo. Il suo comportamento dopo il reato non le giova».
«Annamaria Franzoni ha perso la testa» al momento dell’omicidio del figlio, ma i quindici specialisti che si sono occupati della sua salute mentale «hanno fornito tante risposte non univoche». Così si è espresso il procuratore generale Vittorio Corsi durante la requisitoria al processo d’appello contro la donna, chiedendo la conferma della condanna a trent’anni stabilita in primo grado. Accuse alle quali la Franzoni - in aula insieme al marito Stefano, al suocero, Mario Lorenzi, al suo legale Paola Savio - ha reagito con grande emotività: «Volevo soltanto dire che non ho ucciso Samuele», ha detto, tra le lacrime.
L’appuntamento ora è per lunedì per l’arringa della difesa, e il legale della Franzoni, Paola Savio, ha commentato così la conclusione della requisitoria: «Sulle richieste del pg non dico nulla, era assolutamente normale che succedesse un po’ di tutto questa mattina. Dalla richiesta di una riduzione della pena alla richiesta di conferma della condanna di primo grado».
Omicidio per ira. L’omicidio di Samuele Lorenzi è il prodotto di un «tremendo scatto d’ira non controllato», e non di una patologia. Così durante la requisitoria il pg Corsi ha spiegato il perché non ha chiesto lo sconto di pena per la seminfermità mentale. Per il magistrato «è stato lo scontro fra due testardaggini, quella di un bimbo che piangeva e quello di una madre che non stava bene e che ha perso la testa».
Ci dica dov’è l’arma. «Per l’ultima volta la invito a dire quale oggetto ha usato»: ha chiesto Corsi, rivolgendosi ad Annamaria Franzoni, in chiusura della requisitoria. «Senza risposta – ha aggiunto – non posso chiedere sconti di pena. Una pena più bassa, che comunque sarebbe più adeguata per rispetto al dolore di una madre».
La seminfermità. Il magistrato ha spiegato anche che alla fine dell’ultimo esame, disposto durante il processo d’appello, «c’è stata convergenza sulla seminfermità». «In ogni caso - ha detto ancora - seguii quell’udienza con un senso di magone, per non avere ottenuto una risposta senza ‘se’, e per non non avere ottenuto un racconto sincero da Annamaria». La donna aveva rifiutato di sottoporsi al test.
Il calzino mancante. Corsi ha anche parlato del mistero legato al ritrovamento di un calzino spaiato di Annamaria Franzoni: l’altro calzino potrebbe essere stato usato per cancellare delle macchie di sangue o addirittura per nascondere l’oggetto usato per uccidere Samuele Lorenzi. «Che fine ha fatto l’altro calzino? È stato usato per pulire o per nascondere il pentolino di rame?»
L’arma, un mestolo o un pentolino. Corsi è tornato anche a parlare dell’arma: «Può essere stato un mestolo, una mestola come dice il papà di Annamaria, o un pentolino. Ripeto: “può” essere. Non posso dirlo con esattezza. Del resto, Carlo Torre (consulente della difesa) non esclude un pentolino di rame. Ma una scarpa o un sabot dotato di carrarmato non possono essere stati usati: nelle ferite non ci sono tracce di terra».
Il pigiama non lavato. Dopo avere ucciso il figlio, Annamaria Franzoni «non ha potuto lavare il pigiama o nasconderlo». Per questo l’indumento imbrattato di sangue è stato gettato sul letto, ha detto ancora Corsi durante la requisitoria. «Un’arma puoi lavarla subito - ha aggiunto Corsi - ma un pigiama no. Perché non lo ha portato nel bagno quando si è cambiata? Perché avrebbe dovuto dare troppe spiegazioni».
«Buona madre», una figura costruita dalla famiglia. «La figura di Annamaria Franzoni è stata costruita dalla famiglia», secondo Corsi. «A mio avviso è una donna che quel giorno, anche se solo per venti minuti, perse la testa. Ma esaminando le intercettazioni ambientali, e leggendo il libro che ha pubblicato, si scopre che la famiglia ha voluto costruirvi un personaggio: quello della buona madre. Una madre colpevole non può non crollare. Io, ripete Annamaria, invece non crollo. Ricordo tutto, sono sana. E quindi non posso avere ucciso Sammy».
Si è cacciata in un vicolo cieco. «Forse Anna Maria non vuole tornare indietro ma andare avanti e battere la testa in fondo al tunnel tenendo la mano a Stefano e alla sua famiglia»: è sempre il procuratore Corsi a parlare nella parte finale della sua requisitoria. «Anna Maria si è cacciata in un vicolo cieco, lei e la sua famiglia. In particolare il marito e il papà. Vedo soprattutto il marito subordinato al padre». E ha ancora aggiunto: «Anna Maria Franzoni non ha fatto nulla in più di quello che avrebbe potuto fare. È ancora in tempo. Il suo comportamento dopo il reato non le giova».
La redazione