Corriere della Sera, domenica 10 febbraio 2002, 19 gennaio 2013
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I funerali di Samuele Lorenzi (Articolo del 10/2/2002)
Corriere della Sera, domenica 10 febbraio 2002
Quattro uomini sono fin troppi sotto una bara così piccola. Camminano accostati, dalla piazza del municipio alla chiesa e poi lungo la navata centrale della parrocchia di Sant’Orso, con il feretro leggero di Samuele sulle spalle, ma sembrano schiacciati da un peso insostenibile. Eppure c’è un paese intero a cercare di sorreggerlo. E anche di più: sono in 2500. L’appuntamento è sulla piazza della fontana di ferro. Ci vuole un po’di pazienza per salutare Samuele, perché arrivi per ognuno il turno di sostare qualche secondo davanti alla bara bianca e di sfiorare il legno con un ramoscello d’alloro, la formula locale di congedo dai morti. La coda si allunga invece di ridursi, mentre due paesi si fondono nell’attesa, Cogne e Monteacuto Vallese, la frazione dell’appennino emiliano dove è nata 31 anni fa la madre di Samuele. Tra gente di montagna ci si intende subito e nella piazza affollata e silenziosa è impossibile distinguere i valligiani dai forestieri. Sono tutti lì per lo stesso motivo, nel medesimo stupore, nell’identica incredulità.
Non c’è bisogno di parlare, bastano gli sguardi che incontrano quelli dei genitori, stretti dietro il feretro di Samuele. Il disegno del fratellino Davide, che è in chiesa con gli zii, è appena nascosto da un cuscino di rose pallide: c’è la famiglia al completo e uno sfondo di monti. A fianco dei Lorenzi, vigile e premurosa, c’è Ada Satragni, uno dei medici di base del paese, la prima ad accorrere quel giorno al richiamo della mamma di Samuele. Pochi minuti prima delle 14, l’ora della messa, il canto del coro di Cogne annuncia l’arrivo di una piccola processione: il parroco, don Corrado, è venuto incontro al corteo che scorterà il bambino e i suoi familiari fino all’ingresso della chiesa. Ci sono almeno trecento persone nei banchi di legno, lungo i quali cammina pensieroso un ufficiale dei carabinieri.
I militari, ai quali è giunto un rinforzo di poliziotti dalla questura di Aosta, non hanno però alcun problema di ordine pubblico: le telecamere e le macchine fotografiche sono rimaste fuori, come richiesto. Tranne due, quelle degli inquirenti. Sono appoggiate, nemmeno nascoste, sotto un grande mazzo di rose bianche, sulla mensola di legno sotto l’altare della Pietà, a destra dell’arco trionfale dell’abside. Due gonfaloni oscurano gli obiettivi, puntati verso i fedeli: «Routine», non danno spiegazioni i carabinieri in borghese. Nessuno osa insistere nel «giorno del silenzio», invocato anche dal colonnello Giuseppe Torre, comandante provinciale di Aosta. Sarà una giornata quasi senza notizie dal fronte dell’inchiesta: da Parma il reparto investigazioni scientifiche dell’Arma fa sapere che le tracce di sangue trovate su alcuni oggetti, e in particolare in un blocco di quarzo, non sono l’elemento definitivo per smascherare il colpevole. Il parroco vede oltre: «Nella mano che ha colpito Samuele – afferma dal pulpito –, scopriamo il male che dilaga nel mondo». Non ci sarebbe altro da aggiungere, ma don Corrado sa che questo non può bastare a rassicurare il paese e il Paese: «La risposta che verrà da coloro che hanno il compito di scoprire la verità farà nuovamente sanguinare la ferita – teme –, ma sarà la liberazione da un incubo opprimente». Cogne porterà la sua croce fino in fondo, il parroco sa che può farlo: «Sono fiero che il Signore mi abbia messo alla guida di questa comunità».
È il momento più duro: il direttore della banda municipale di Aosta sceglie la marcia funebre di Chopin per accompagnare la bara al cimitero. Nel loculo qualcuno ha messo un piccolo presepe. Davanti ai cancelli ottocento persone vogliono stringere la mano a mamma e papà Lorenzi, anche se c’è da aspettare due ore nel gelo del piazzale ormai in ombra. Il sole illumina ancora solo le case più in alto, come lo chalet di pietra e legno di Montroz, che ancora custodisce il suo segreto.
Quattro uomini sono fin troppi sotto una bara così piccola. Camminano accostati, dalla piazza del municipio alla chiesa e poi lungo la navata centrale della parrocchia di Sant’Orso, con il feretro leggero di Samuele sulle spalle, ma sembrano schiacciati da un peso insostenibile. Eppure c’è un paese intero a cercare di sorreggerlo. E anche di più: sono in 2500. L’appuntamento è sulla piazza della fontana di ferro. Ci vuole un po’di pazienza per salutare Samuele, perché arrivi per ognuno il turno di sostare qualche secondo davanti alla bara bianca e di sfiorare il legno con un ramoscello d’alloro, la formula locale di congedo dai morti. La coda si allunga invece di ridursi, mentre due paesi si fondono nell’attesa, Cogne e Monteacuto Vallese, la frazione dell’appennino emiliano dove è nata 31 anni fa la madre di Samuele. Tra gente di montagna ci si intende subito e nella piazza affollata e silenziosa è impossibile distinguere i valligiani dai forestieri. Sono tutti lì per lo stesso motivo, nel medesimo stupore, nell’identica incredulità.
Non c’è bisogno di parlare, bastano gli sguardi che incontrano quelli dei genitori, stretti dietro il feretro di Samuele. Il disegno del fratellino Davide, che è in chiesa con gli zii, è appena nascosto da un cuscino di rose pallide: c’è la famiglia al completo e uno sfondo di monti. A fianco dei Lorenzi, vigile e premurosa, c’è Ada Satragni, uno dei medici di base del paese, la prima ad accorrere quel giorno al richiamo della mamma di Samuele. Pochi minuti prima delle 14, l’ora della messa, il canto del coro di Cogne annuncia l’arrivo di una piccola processione: il parroco, don Corrado, è venuto incontro al corteo che scorterà il bambino e i suoi familiari fino all’ingresso della chiesa. Ci sono almeno trecento persone nei banchi di legno, lungo i quali cammina pensieroso un ufficiale dei carabinieri.
I militari, ai quali è giunto un rinforzo di poliziotti dalla questura di Aosta, non hanno però alcun problema di ordine pubblico: le telecamere e le macchine fotografiche sono rimaste fuori, come richiesto. Tranne due, quelle degli inquirenti. Sono appoggiate, nemmeno nascoste, sotto un grande mazzo di rose bianche, sulla mensola di legno sotto l’altare della Pietà, a destra dell’arco trionfale dell’abside. Due gonfaloni oscurano gli obiettivi, puntati verso i fedeli: «Routine», non danno spiegazioni i carabinieri in borghese. Nessuno osa insistere nel «giorno del silenzio», invocato anche dal colonnello Giuseppe Torre, comandante provinciale di Aosta. Sarà una giornata quasi senza notizie dal fronte dell’inchiesta: da Parma il reparto investigazioni scientifiche dell’Arma fa sapere che le tracce di sangue trovate su alcuni oggetti, e in particolare in un blocco di quarzo, non sono l’elemento definitivo per smascherare il colpevole. Il parroco vede oltre: «Nella mano che ha colpito Samuele – afferma dal pulpito –, scopriamo il male che dilaga nel mondo». Non ci sarebbe altro da aggiungere, ma don Corrado sa che questo non può bastare a rassicurare il paese e il Paese: «La risposta che verrà da coloro che hanno il compito di scoprire la verità farà nuovamente sanguinare la ferita – teme –, ma sarà la liberazione da un incubo opprimente». Cogne porterà la sua croce fino in fondo, il parroco sa che può farlo: «Sono fiero che il Signore mi abbia messo alla guida di questa comunità».
È il momento più duro: il direttore della banda municipale di Aosta sceglie la marcia funebre di Chopin per accompagnare la bara al cimitero. Nel loculo qualcuno ha messo un piccolo presepe. Davanti ai cancelli ottocento persone vogliono stringere la mano a mamma e papà Lorenzi, anche se c’è da aspettare due ore nel gelo del piazzale ormai in ombra. Il sole illumina ancora solo le case più in alto, come lo chalet di pietra e legno di Montroz, che ancora custodisce il suo segreto.
Elisabetta Rosaspina