la Repubblica, sabato 9 febbraio 2002, 19 gennaio 2013
Tags : I funerali di Samuele Lorenzi
La chiusura della bara di Samuele Lorenzi (Articolo del 9 febbraio 2002)
la Repubblica, sabato 9 febbraio 2002
«Bambino mio, bambino mio». Un grido, poi il silenzio del cimitero. «Samuele, amore mio, voglio morire con te, Samuele non andare via, ti prego, non ti lascio solo, vengo dove sei tu». Il pianto, poi il mormorare di una preghiera. «Sì, aprite, voglio vedere ancora una volta il mio bambino». Un urlo, il più forte di tutti, poi il rumore secco della piccola bara che si chiude. «Coprite, coprite non ce la faccio».
Sono da poco passate le tre del pomeriggio all’obitorio di Aosta e c’è un po’di sole nella stanza dove riposa Samuele. Annamaria Lorenzi insieme al marito Stefano scende dall’auto guidata dal fratello Saverio: per la prima volta, dopo tanti giorni non si copre il volto, e ha un mazzo di fiori tra le mani, un bouquet di rose e margherite bianche, come si usa, in queste valli, per la Prima Comunione. Stefano la protegge, la sorregge: a nove giorni dal delitto, a poco più di una settimana da quando Samuele è stato massacrato mentre riposava nel letto dei genitori, Annamaria e Stefano Lorenzi sono venuti a salutare il loro bambino, ricomposto nella cassa di legno chiaro con una tutina di pile bianco e rosso e un cappellino che copre le ferite alla testa. Colpi tremendi, e il sospetto di quei colpi pesa come una montagna proprio su Annamaria che varca la soglia della morgue, e appena vede i fiori e i peluche che centinaia di persone hanno portato a Samuele, grida, si piega su se stessa, si aggrappa a Stefano. Assomigliano così tanto ai giocattoli dei suoi figli, il trattore, le macchinette, le biglie, gli orsi, la zebra, e il pallone, abbandonato adesso nel cortile della villa di Montroz sotto sequestro.
È un giorno triste, ma l’aria è limpida e non fa feddo. Arrivano, in processione, gli otto fratelli di Annamaria, con mogli e mariti, ognuno con un mazzetto di fiori di campo in mano, arrivano i nonni, curvi, schiacciati da qualcosa che sembrano non capire. La famiglia si riunisce attorno alla bara di Samuele. Il pianto di Annamaria si sente fino fuori dall’obitorio, una folla con piccoli doni in mano attende in silenzio di entrare nella camera ardente, dentro il nonno, il padre di Stefano, chiede a tutti di pregare e figli, generi, cognati recitano «L’eterno riposo» e il «Padre Nostro». Annamaria accarezza la bara e parla con Samuele: «Voglio venire dove sei tu, voglio morire anch’io». Ma poi quando il nonno suggerisce di aprire la bara, lei aspetta un momento, vede sollevare il coperchio, c’è ancora una lamiera di zinco che la separa dal suo bambino, ma dice «no, non ce la faccio».
Oggi Samuele verrà sepolto, a Cogne, e Annamaria si porterà negli occhi come ultima immagine il bambino ferito che lotta contro la morte sull’elicottero del 118.
Sono le cinque e 10 minuti del pomeriggio. La mamma di Samuele, sospettata di infanticidio, esce dall’obitorio. L’emozione spezza la resistenza. Annamaria sviene. Cade per terra poco lontano dal tavolo dei giocattoli. I parenti la soccorrono con acqua e zucchero. Non basta. Annamaria si rialza e cade di nuovo. Tra la gente si cerca un dottore. Non c’è. I guardiani del cimitero chiamano l’ambulanza, e Stefano accompagna la moglie in ospedale.
È iniziato così il lunghissimo funerale di Samuele Lorenzi, con la camera ardente aperta nel cimitero di Aosta, e la salma che verrà trasportata oggi a Cogne, dalla piazza del municipio partirà un corteo funebre fino alla chiesa di Sant’Orso dove il parroco celebrerà i funerali «ufficiali». Ma la famiglia il suo rito funebre, il suo dolore corale che fa pensare ad una tragedia di Euripide, l’ha celebrato ieri pomeriggio nella morgue di Aosta, quando nessuno si aspettava più che i genitori arrivassero al cimitero, protetti dai carabinieri sì, ma per mano, a viso scoperto. Sulla bara bianca di Samuele, lunga soltanto un metro e trenta, la madre e il padre hanno lasciato due disegni di Davide, il fratellino di sette anni a cui i nonni hanno detto che Samuele è diventato un angelo. Due disegni a pennarello, pieni di colore. «Caro Samuele, lassù non fare il birichino con Gesù, ti saluto e non ti dimenticherò mai». Firmato: Mami, Papi, Davide, gli zii e i nonni. Sotto, su un altro foglio di album da disegno, Davide ha raccontato tutta la famiglia, così com’era fino a nove giorni fa, indicando con un freccetta e in ordine di grandezza Samuele, Davide, Mamma e Papà. Lei è nel centro, con un grande cuore rosa là dove a Davide le maestre hanno raccontato che il cuore batte. Alla veglia in chiesa però Stefano e Annamaria, tornata a casa dopo un breve passaggio in ospedale, non sono andati. C’era tutto il paese invece e la piccola cattedrale ad una navata sola, era piena da scoppiare, piena di adulti e bambini, con candele schermate in mano. Il parroco, don Corrado, ha letto i passaggi del Vangelo in cui si parla della passione di Cristo, del dolore della Croce. Ma ha letto anche brani di perdono e compassione, e di riscatto in una vita futura per Samuele, «morto prematuramente a tre anni», ha detto, usando le stesse parole dei manifesti a lutto. Poi, verso la fine della veglia di preghiera, ha ripetuto le parole della prima messa celebrata per il bambino ucciso: «Speriamo che Dio illumini la coscienza dell’assassino».
La gente del paese all’uscita della chiesa si è scambiata una stretta di mano, un «segno di pace» come si fa durante la messa. Nessuno quasi ha più voglia di parlare e fare commenti, nessuno azzarda più ipotesi di colpevolezza e di innocenza. Mario, il nonno, che sembra portare su di sé tutto il peso della tragedia, l’unico ad aver visto Samuele prima che la bara fosse chiusa, si ferma, un momento, nel buio, sul sagrato. E’gentile. «Annamaria si è ripresa, il suo svenimento è stato causato dall’emozione di trovarsi di fronte al suo bambino...Vi chiedo comprensione, il nostro dolore è troppo grande. Sono venuto qui per pregare, perché spero in Dio che gli inquirenti trovino la verità. Noi siamo a disposizione. Siamo dentro un incubo e non possiamo fare altro che aspettare».
«Bambino mio, bambino mio». Un grido, poi il silenzio del cimitero. «Samuele, amore mio, voglio morire con te, Samuele non andare via, ti prego, non ti lascio solo, vengo dove sei tu». Il pianto, poi il mormorare di una preghiera. «Sì, aprite, voglio vedere ancora una volta il mio bambino». Un urlo, il più forte di tutti, poi il rumore secco della piccola bara che si chiude. «Coprite, coprite non ce la faccio».
Sono da poco passate le tre del pomeriggio all’obitorio di Aosta e c’è un po’di sole nella stanza dove riposa Samuele. Annamaria Lorenzi insieme al marito Stefano scende dall’auto guidata dal fratello Saverio: per la prima volta, dopo tanti giorni non si copre il volto, e ha un mazzo di fiori tra le mani, un bouquet di rose e margherite bianche, come si usa, in queste valli, per la Prima Comunione. Stefano la protegge, la sorregge: a nove giorni dal delitto, a poco più di una settimana da quando Samuele è stato massacrato mentre riposava nel letto dei genitori, Annamaria e Stefano Lorenzi sono venuti a salutare il loro bambino, ricomposto nella cassa di legno chiaro con una tutina di pile bianco e rosso e un cappellino che copre le ferite alla testa. Colpi tremendi, e il sospetto di quei colpi pesa come una montagna proprio su Annamaria che varca la soglia della morgue, e appena vede i fiori e i peluche che centinaia di persone hanno portato a Samuele, grida, si piega su se stessa, si aggrappa a Stefano. Assomigliano così tanto ai giocattoli dei suoi figli, il trattore, le macchinette, le biglie, gli orsi, la zebra, e il pallone, abbandonato adesso nel cortile della villa di Montroz sotto sequestro.
È un giorno triste, ma l’aria è limpida e non fa feddo. Arrivano, in processione, gli otto fratelli di Annamaria, con mogli e mariti, ognuno con un mazzetto di fiori di campo in mano, arrivano i nonni, curvi, schiacciati da qualcosa che sembrano non capire. La famiglia si riunisce attorno alla bara di Samuele. Il pianto di Annamaria si sente fino fuori dall’obitorio, una folla con piccoli doni in mano attende in silenzio di entrare nella camera ardente, dentro il nonno, il padre di Stefano, chiede a tutti di pregare e figli, generi, cognati recitano «L’eterno riposo» e il «Padre Nostro». Annamaria accarezza la bara e parla con Samuele: «Voglio venire dove sei tu, voglio morire anch’io». Ma poi quando il nonno suggerisce di aprire la bara, lei aspetta un momento, vede sollevare il coperchio, c’è ancora una lamiera di zinco che la separa dal suo bambino, ma dice «no, non ce la faccio».
Oggi Samuele verrà sepolto, a Cogne, e Annamaria si porterà negli occhi come ultima immagine il bambino ferito che lotta contro la morte sull’elicottero del 118.
Sono le cinque e 10 minuti del pomeriggio. La mamma di Samuele, sospettata di infanticidio, esce dall’obitorio. L’emozione spezza la resistenza. Annamaria sviene. Cade per terra poco lontano dal tavolo dei giocattoli. I parenti la soccorrono con acqua e zucchero. Non basta. Annamaria si rialza e cade di nuovo. Tra la gente si cerca un dottore. Non c’è. I guardiani del cimitero chiamano l’ambulanza, e Stefano accompagna la moglie in ospedale.
È iniziato così il lunghissimo funerale di Samuele Lorenzi, con la camera ardente aperta nel cimitero di Aosta, e la salma che verrà trasportata oggi a Cogne, dalla piazza del municipio partirà un corteo funebre fino alla chiesa di Sant’Orso dove il parroco celebrerà i funerali «ufficiali». Ma la famiglia il suo rito funebre, il suo dolore corale che fa pensare ad una tragedia di Euripide, l’ha celebrato ieri pomeriggio nella morgue di Aosta, quando nessuno si aspettava più che i genitori arrivassero al cimitero, protetti dai carabinieri sì, ma per mano, a viso scoperto. Sulla bara bianca di Samuele, lunga soltanto un metro e trenta, la madre e il padre hanno lasciato due disegni di Davide, il fratellino di sette anni a cui i nonni hanno detto che Samuele è diventato un angelo. Due disegni a pennarello, pieni di colore. «Caro Samuele, lassù non fare il birichino con Gesù, ti saluto e non ti dimenticherò mai». Firmato: Mami, Papi, Davide, gli zii e i nonni. Sotto, su un altro foglio di album da disegno, Davide ha raccontato tutta la famiglia, così com’era fino a nove giorni fa, indicando con un freccetta e in ordine di grandezza Samuele, Davide, Mamma e Papà. Lei è nel centro, con un grande cuore rosa là dove a Davide le maestre hanno raccontato che il cuore batte. Alla veglia in chiesa però Stefano e Annamaria, tornata a casa dopo un breve passaggio in ospedale, non sono andati. C’era tutto il paese invece e la piccola cattedrale ad una navata sola, era piena da scoppiare, piena di adulti e bambini, con candele schermate in mano. Il parroco, don Corrado, ha letto i passaggi del Vangelo in cui si parla della passione di Cristo, del dolore della Croce. Ma ha letto anche brani di perdono e compassione, e di riscatto in una vita futura per Samuele, «morto prematuramente a tre anni», ha detto, usando le stesse parole dei manifesti a lutto. Poi, verso la fine della veglia di preghiera, ha ripetuto le parole della prima messa celebrata per il bambino ucciso: «Speriamo che Dio illumini la coscienza dell’assassino».
La gente del paese all’uscita della chiesa si è scambiata una stretta di mano, un «segno di pace» come si fa durante la messa. Nessuno quasi ha più voglia di parlare e fare commenti, nessuno azzarda più ipotesi di colpevolezza e di innocenza. Mario, il nonno, che sembra portare su di sé tutto il peso della tragedia, l’unico ad aver visto Samuele prima che la bara fosse chiusa, si ferma, un momento, nel buio, sul sagrato. E’gentile. «Annamaria si è ripresa, il suo svenimento è stato causato dall’emozione di trovarsi di fronte al suo bambino...Vi chiedo comprensione, il nostro dolore è troppo grande. Sono venuto qui per pregare, perché spero in Dio che gli inquirenti trovino la verità. Noi siamo a disposizione. Siamo dentro un incubo e non possiamo fare altro che aspettare».
Maria Novella de Luca