Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  gennaio 17 Giovedì calendario

L’anno scorso, a metà luglio, Bossi se ne andò a Trescore Comasco per un comizio. Aveva già dovuto mollare la segreteria, venne poca gente ad ascoltarlo e la sera cenò da solo, roba mai vista dato che appena l’anno prima il servizio d’ordine aveva dovuto difendere il suo tavolo a spintoni

L’anno scorso, a metà luglio, Bossi se ne andò a Trescore Comasco per un comizio. Aveva già dovuto mollare la segreteria, venne poca gente ad ascoltarlo e la sera cenò da solo, roba mai vista dato che appena l’anno prima il servizio d’ordine aveva dovuto difendere il suo tavolo a spintoni. Però qualche cronista s’avvicinò lo stesso, con l’idea magari di fare un pezzo di colore malinconico, e lo sentì mormorare: «Meglio così, capirò chi sono i leccaculo…». E poi: «Ho paura che i magistrati mi rompano le palle ad agosto, si stanno dando da fare pure sulle quote latte. Se insistono, andiamo coi trattori davanti ai tribunali…».

Ho sentito in televisione che i magistrati sono arrivati adesso e non mi pate che ci siano trattori davanti ai tribunali. Ho capito male?
Ha capito bene. La finanza, su ordine del pubblico ministero Maurizio Ascione, ha perquisito le sedi leghiste di Milano e Torino. In via Bellerio, a Milano, c’erano anche Maroni, Bossi e Calderoli. Voci insistenti, e piuttosto credibili, sostengono che nelle due sedi qualche impiegato abbia opposto vittoriosamente ai finanzieri la questione dell’immunità parlamentare.

Successe anche con Berlusconi, quando il ragionier Spinelli si vide entrare in casa cinque agenti della Criminalpol che volevano perquisire l’ufficio di Berlusconi e lui, istruito da Ghedini, potè rispondere «È coperto dall’immunità» e respingerli.
Esatto, e infatti in Procura lamentano che si sia potuta acquisire solo una parte della documentazione, e non troppo ricca. Maroni dice che non è vero, che non hanno opposto nessun ostacolo formale: «Se qualcuno lo dice, lo querelo». In ogni caso, la temuta incursione che doveva svolgersi lo scorso agosto è capitata adesso. E i leghisti dicono, naturalmente, che s’è trattato di un’iniziativa ad orologeria, concepita cioè per danneggiarli durante la campagna elettorale. Senta, per esempio, Matteo Salvini: «Maroni è in testa nei sondaggi, la Lega è in crescita, la sinistra che pensava di aver già vinto, inizia invece ad avere paura... E quindi cosa succede? Attaccano la Lega, perquisendo le sedi alla ricerca di qualcosa che non hanno trovato, e che peraltro riguarda una società esterna che non ha niente a che fare con il nostro Movimento. Non gli bastano più i giudici candidati... È una vergogna». Maroni invece si dice sicuro della magistratura, secondo lui non c’è nessun complotto. E, ribadisce, la Lega è completamente innocente. «L’inchiesta riguarda una società che non c’entra niente con la Lega. Non hanno trovato nulla, siamo terzi e quindi la questione è chiusa».

È così?
Mah. Il pm Ascione ieri ha interrogato anche la segretaria di Bossi, Daniela Cantalamessa, e quella di Cota, a Torino, Loredana Zola. Gli inquirenti partono dalla bancarotta della cooperativa “La Lombarda”, saltata per aria con un buco di 80 milioni, e sospettano che dietro o attraverso “La Lombarda” ci sia stato tutto un traffico, con versamenti di mazzette a funzionari pubblici e a uomini politici. Soldi che servivano per ritardare i pagamenti relativi alle eccedenze sulla produzione di latte, fissata dalle quote di ciascuno.

Sa che la storia delle quote latte non l’ho mai capita?
Non è così complicata. All’inizio degli anni Ottanta si decise, a livello europeo, di tenere sotto controllo la produzione del latte, in modo da evitare cadute nei prezzi (incubo degli allevatori del Nord Europa). Si assegnò dunque ad ogni paese una quota di produzione, che a sua volta sarebbe stata divisa tra tutti gli allevatori. La storia è esemplare della mediocrità assoluta della nostra classe dirigente, mediocrità che non riguarda solo il nostro tempo. Il ministro dell’agricoltura era Filippo Maria Pandolfi, e si lasciò imporre dai paesi nordici una quota pari a meno della metà di quella che era la produzione nazionale di latte  in quel momento. Oggi ci permettono una quota di circa 10 milioni di tonnellate, ripartite tra 40 mila allevatori, i quali al 99 per cento rispettano il limite o, se vanno oltre, pagano senza fiatare i 27 euro previsti per ogni quintale in più. C’è un piccolo gruppo però – 561 produttori in tutto – che non ha mai voluto pagare né il tributo delle eccedenze né le relative multe, e io mi sono sempre chiesto come mai Bossi si sia sputtanato per difendere questa minoranza non solo truffaldina, ma numericamente insignificante e quindi politicamente inesistente.

Delle multe s’è fatto carico lo Stato.
Sì, per 1,87 miliardi di euro. Micciché, il capo di Grande Sud, sostiene che Tremonti tolse quei soldi al Mezzogiorno con l’argomentazione: «Tanto voi non li sapete spendere» (accusa che Micciché respinge). L’ottobre scorso il consiglio dei ministri ha deciso di usare, con gli allevatori truffaldini, la mano dura. Interverrà Equitalia per riscuotere il dovuto. Non ho idea, tuttavia, in che modo questa vicenda, tutta politica ed esemplare del modo con cui è stato governato il Paese, entri nell’indagine del pm Ascione, in corso da più di un anno.