Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  gennaio 16 Mercoledì calendario

L’altra notte i francesi hanno bombardato senza tregua la città di Diabaly, nel Mali occidentale, per indurre i ribelli islamisti, che la occupano da una settimana, ad andarsene

L’altra notte i francesi hanno bombardato senza tregua la città di Diabaly, nel Mali occidentale, per indurre i ribelli islamisti, che la occupano da una settimana, ad andarsene. Non pare che l’impresa sia riuscita, anche se cinque ribelli sono stati ammazzati e testimoni sostengono di averne visti parecchi altri in fuga. Ma chi può dire che questi ultimi siano davvero ribelli e che siano in fuga? Da quando è cominciato l’attacco francese, lo scorso 12 gennaio, l’esodo di popolazioni che cercano scampo dalla miseria e dai massacri s’è intensificato e in questo momento, secondo dati Onu, un fiume di sfollati cerca di abbandonare il Nord del Paese, dove sono in corso i combattimenti, e di rifugiarsi al Sud. Il totale di quelli che hanno abbandonato le loro abitazioni è di 230 mila persone, e di queste 30 mila sono scappate dopo l’intervento di Parigi. Altri 144 mila si sono rifugiati in Mauritania, Niger, Burkina Faso. Nella sola città di Mopti, intorno alla quale è cominciato il conflitto, ci sono 41 mila sfollati.

Tutta questa tragedia perché poi? E che cosa ci vanno a fare i francesi in un posto tanto sperduto?
È forse sperduto, e deserto, ma è anche pieno di uranio, bauxite, gas, petrolio, fosfati. In Francia ci sono 58 centrali nucleari, l’uranio gli serve come il pane. Nuovi giacimenti di uranio e bauxite sono stati scoperti proprio nel Mali, a Faléa, Gao e Adrar. Teniamo conto del fatto che Areva, la compagnia statale francese che si occupa di queste cose dall’inizio alla fine, cioè dall’estrazione allo smaltimento dei rifiuti, è prima al mondo nel settore. La vendita di energia è tra le voci più importanti dell’export francese.

Il Mali non era una colonia francese? Grazie a questo, Parigi non ha mantenuto un certo controllo della situazione, continuando a sfruttare i giacimenti e il resto? Chi gli ha messo i bastoni tra le ruote?
Gli islamisti, che reclamano l’indipendenza della parte settentrionale del Paese. Anzi: il Nord del Paese se lo sono già preso. Nel marzo del 2011 islamisti e tuareg hanno preso il controllo di una regione che si chiama Azawad e comprende le città di Timbuctu, Gao e Kidal. L’11 aprile di quell’anno hanno proclamato la secessione e instaurato un regime islamico, dove vige la sharia. Una quantità di armi e di guerrieri sono arrivati dalla Libia. Gli arsenali di Gheddafi sono stati saccheggiati, le milizie ancora assetate di bottini si sono riversate quaggiù. L’Onu, allertata un po’ da tutti, ha cercato di negoziare attraverso gli algerini e quelli del Burkina Faso. Il capo dei ribelli, che si chiama Iyad al Ghali, ne ha approfittato per rinforzarsi militarmente.  E alla fine, lo scorso 7 gennaio, ha lanciato una nuova offensiva. L’intenzione è annettersi anche il Sud e arrivare fino alla capitale, Bamako. È per impedire questo che Hollande ha deciso di intervenire. Due C-160 hanno sbarcato truppe nell’aeroporto di Sévaré, due droni modello Male Harfang erano già stati spostati in ottobre dall’Afghanistan al Niger, in Ciad sono appostati quattro Mirage e nel Burkina Faso ci sono gli elicotteri. I tecnici dicono che gli interventi dal cielo non basteranno. Ci vogliono anche le truppe di terra.

Di che effettivi stiamo parlando?
Sono piccole cifre. Gli islamisti saranno 5-7000. I francesi hanno cominciato con un contingente di 600 uomini, portato poi a 2.500. Parigi si aspetta aiuti dai paesi dell’area, e a quanto pare li avrà. La Nigeria fornirà 600 uomini, il Niger, il Burkina Faso, il Togo e il Senegal 500 ciascuno e 300 il Benin.

Il mondo è d’accordo con l’intervento?
Sì, perché se gli islamici arrivassero a Bamako avrebbero a disposizione per la prima volta in Africa un’intera nazione. E in Africa si fanno concorrenza europei, americani, russi e cinesi nessuno dei quali vuole avere tra i piedi i fondamentalisti. Con due risoluzioni (12 ottobre e 20 dicembre scorsi, risoluzioni 2071 e 2085) il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha approvato all’unanimità l’intervento militare in Mali. Si tratta di mettere insieme 3.300 caschi blu, tutti forniti da paesi africani, con 300 militari francesi addetti a compiti di addestramento. Solo che i tempi delle Nazioni Unite sono infiniti e i caschi blu non saranno pronti prima di settembre. Quindi la Francia, con l’assenso di tutti, ha deciso di intervenire. Gli americani hanno risposto positivamente a una richiesta di aiuto: forniranno droni di sorveglianza non armati, velivoli spia, aerei cisterna per rifornire in volo i caccia francesi. Gli inglesi hanno messo a disposizione grandi aerei da trasporto e altri droni.

È una guerra facile? Durerà molto?
Ieri Hollande ha detto: «I nostri soldati lasceranno il Mali solo quando ci saranno autorità legittime, un processo elettorale e la minaccia dei ribelli sarà finita». Però quasi tutti la giudicano una guerra disperata. Il Mali è grande quattro volte l’Italia, e si tratta di combattere nel deserto, cioè in un ambiente assai difficile. Ci vorrebbe l’aiuto dei tuareg. Ma i tuareg – almeno per ora - stanno con i ribelli.