Rassegna, 8 gennaio 2013
Pechino chiude i campi di rieducazione
• Dopo 55 anni la Cina ha deciso di chiudere i campi di rieducazione, dove al momento 250 mila persone, fra oppositori e semplici «disturbatori» della quiete del regime, vengono rimesse in riga attraverso il lavoro. Spiega la Sala sulla Sta: «I campi di rieducazione tramite il lavoro, o Rtl, godono giustamente di pessima reputazione, e molti in Cina trovano che danneggino inutilmente l’immagine del Paese, come anche molte Ong – che considerano il laojiao una violazione dei diritti umani – non mancano di sottolineare: vi si finisce senza processo, dietro sanzione amministrativa, e vi si può trascorrere fino a quattro anni, rinnovabili a discrezione delle autorità. Un sistema detentivo ingiusto e aperto a ogni tipo di abuso, copiato dall’ex Unione Sovietica, che prevede che i cittadini non scontino semplicemente una pena, ma vengano anche “riplasmati” nel pensiero, per uscirne come “uomini nuovi” fedeli al Partito».
• Racconta la Pisu su Rep che «ha destato scandalo in tutto il Paese, nel mese di agosto, la condanna a otto anni, per decisione amministrativa degli organi di polizia, di una donna che aveva osato protestare contro la pena di appena sette anni, troppo lieve secondo lei, inflitta all’uomo che aveva rapito, violentato e indotto alla prostituzione la sua bambina di 11 anni. Ma come? Sette anni per il crimine e otto per chi lo contesta? La mobilitazione in favore della condannata è stata unanime e dopo una settimana la donna è tornata in libertà».