La Gazzetta dello Sport, 31 dicembre 2012
Ieri è morta Rita Levi Montalcini. Era a casa sua con alcune persone care, e s’è sentita male. Quando sono arrivati quelli del 118 era già finita
Ieri è morta Rita Levi Montalcini. Era a casa sua con alcune persone care, e s’è sentita male. Quando sono arrivati quelli del 118 era già finita. Gli amici speravano di trasferirla in tempo a Villa Margherita. Abitava a Roma, in via di Villa Massimo. Strada elegante, raccolta, molto simile a lei. Aveva 103 anni
• Mi immagino un subisso di telegrammi e dichiarazioni.
Sì, glieli risparmio tutti. Voglio citare invece l’amaro commento di un collega, giornalista e scrittore, che si chiama Massimiliano Parente. Sulla sua bacheca di Facebook ha postato questo commento: «Tutti su Twitter a piangere #RitaLeviMontalcini per sentito dire, nel paese in cui Le Scienze ha 6.500 followers e Selvaggia Lucarelli 120.000». Su Twitter, tra l’altro, molti l’hanno confusa con Maria Montessori, hanno pianto la signora delle mille lire.
• Com’è la sua storia?
Era nata a Torino il 22 aprile del 1909. Il padre era un’ingegnere elettronico, la madre, da cui aveva preso il cognome Montalcini, una pittrice. Il padre, un tipo molto duro: quando Rita aveva tre anni volle un cappello, ma al padre non piaceva e glielo buttò via. In quel momento (a tre anni!) la bambina decise che non si sarebbe mai sposata e mai avrebbe avuto figli. Raccontava questa storia lei stessa e giurava che era vera. Questo padre, che peraltro invitava i suoi figli a non farsi condizionare dal prossimo, a tenere sempre vigile e critica la mente, non voleva che andasse all’università, parendogli quella carriera poco adatta alle donne. Rita si impose, e si iscrisse a Medicina. Ci sono episodi famosi. Dopo le leggi razziali (era ebrea), che la escludevano dall’università, si fece un laboratorio in camera da letto. Evitò i rastrellamenti andando a Firenze. Dopo la guerra eccola in America, dove rimase per 26 anni.
• C’è la scoperta che poi le avrebbe fruttato il Nobel.
Sì, era il 1951, Rita si trovava alla Washington University di St Louis e osservò per la prima volta l’effetto esercitato dal trapianto di un tumore di topo sul sistema nervoso dell’embrione di un pulcino. Vide allora quel fenomeno che poi sarebbe stato battezzato Nerve Growth Factor. «Ci arrivai con la fortuna e l’istinto – raccontò poi – Conoscevo in tutti i dettagli il sistema nervoso dell’embrione e ho capito che quello che stavo osservando al microscopio non rientrava nelle norme. Una vera rivoluzione: andava infatti contro l’ipotesi che il sistema nervoso fosse statico e rigidamente programmato dai geni. Per questo decisi di non mollare».
• Il Nobel arrivò trent’anni dopo.
Nel 1986. «Abitavo già a Roma. Ricordo che era quasi notte quando mi telefonarono per darmi la notizia. Stavo leggendo un giallo di Agatha Christie. Lo rammento perché è raro che io legga romanzi, prediligo i saggi di filosofia. Ho fatto eccezione per Tolstoj, Michael Chrichton e Agatha Christie, appunto. La cerimonia della consegna del Nobel a Stoccolma non fu particolarmente eccitante, piuttosto una specie di grande festival». La Montalcinini era così un po’ su tutte le cose. A un tratto gelida se si esagerava in complimenti, l’understatement fatto persona, visse persino le persecuzioni fasciste come un fastidio per il quale non valeva la pena di sprecare troppo tempo.
• Sarà anche per questo che non si sarà sposata.
«La mia vita è stata ricca di ottime relazioni umane, lavoro e interessi. Non ho mai sperimentato cosa volesse dire la solitudine». Era totalmente atea. «Invidio chi ha la fede. Io non credo in dio. Non posso credere in un dio che ci premia e ci punisce, in un dio che ci vuole tenere nelle sue mani. Ognuno di noi può diventare un santo o un bandito, ma ciò dipende dai nostri primi tre anni di vita, non da dio. È una legge di una scienza che si chiama epigenetica, in altre parole si può definire il risultato del dialogo che si instaura tra i nostri geni e l’ambiente familiare e sociale nel quale cresciamo».
• Poi ci fu l’esperienza in Senato.
Ciampi la nominò senatore a vita nel 2001. Nella legislatura di Prodi si trascinava fino a Palazzo Madama per sostenere, con i suoi sei colleghi senatori a vita, il governo di centro-sinistra. In quell’occasione si attirò critiche feroci. Storace arrivò a dire qualcosa come: le porteremo le stampelle a casa. Non fece troppo caso neanche a questo e, relativamente alle sue condizioni, pronunciò la famosa frase: «Il mio corpo vada dove vuole, quello che conta è la mia mente». I suoi familiari dicono che ancora sabato scorso studiava. Era cieca e ormai anche sorda. La seppelliranno nel cimitero monumentale di Torino, accanto all’adorata sorella Paola. [Giorgio Dell’Arti, La Gazzetta dello Sport 31 dicembre 2012] [Leggi anche la biografia di Rita Levi Montalcini]