Rassegna, 6 dicembre 2012
Berlusconi: «Paese nel baratro, pronto a tornare»
• Dopo un lungo vertice a Palazzo Grazioli con i big del Pdl, in cui era ormai sembrato convinto a fare un passo indietro, Silvio Berlusconi ieri sera ha spiazzato tutti: «Leggo su un’agenzia una frase a me attribuita, del tutto inventata e addirittura surreale: “Io non mi candido perché non mi volete”, frase che avrei rivolto ai miei colleghi del Popolo della libertà. La realtà è l’opposto: sono assediato dalle richieste dei miei perché annunci al più presto la mia ridiscesa in campo alla guida del Pdl». È seguita, verso le dieci e mezzo di sera, una lunga nota: «La situazione oggi è ben più grave di un anno fa, quando lasciai il governo per senso di responsabilità e per amore del mio Paese. Oggi l’Italia è sull’orlo del baratro. L’economia è allo stremo, un milione di disoccupati in più, il debito che aumenta, il potere d’acquisto che crolla, la pressione fiscale a livelli insopportabili. Le famiglie italiane angosciate perché non riescono a pagare l’Imu. Le imprese che chiudono, l’edilizia crollata, il mercato dell’auto distrutto. Non posso consentire che il mio Paese precipiti in una spirale recessiva senza fine. Non è più possibile andare avanti così. Sono queste le dolorose constatazioni che determineranno le scelte che tutti insieme assumeremo nei prossimi giorni». [Piccolillo, Cds]
• Angelino Alfano, palesemente imbarazzato, ha cercato di spiegare che bisogna leggere le parole dell’ex premier, oltre che come l’annuncio di una sua ridiscesa in campo, anche come «una tendenziale sfiducia al governo Monti». [Piccolillo, Cds]
• Sul ritorno di Berlusconi e sul Pdl scrive De Bortoli in prima pagina sul Cds: «La saggezza dovrebbe indurlo a fare un passo indietro. A garantire un’evoluzione dell’intero movimento – che a lui si richiama e continuerà a richiamarsi – verso il Partito popolare europeo, lasciando perdere tentazioni lepeniste e antieuropee. (…) Ma qui si affaccia nel centrodestra il discorso più delicato. Se c’è, come crediamo, un gruppo dirigente liberale e democratico all’altezza del compito, ma soprattutto responsabile, deve avere la forza di separare il proprio destino politico dalla deriva solitaria e resistenziale del proprio capo. Appoggiando subito la riforma della legge elettorale. E mostrando coraggio nel non candidare chi è stato condannato in modo definitivo».