Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  novembre 28 Mercoledì calendario

La partita dell’Ilva di Taranto si gioca intorno a questi due opposti punti di vista: è possibile bonificare l’ambiente e continuare a lavorare; oppure: l’ambiente è talmente avvelenato che bisogna fermare tutto, bonificare e poi, casomai, riprendere le lavorazioni

La partita dell’Ilva di Taranto si gioca intorno a questi due opposti punti di vista: è possibile bonificare l’ambiente e continuare a lavorare; oppure: l’ambiente è talmente avvelenato che bisogna fermare tutto, bonificare e poi, casomai, riprendere le lavorazioni. Quest’ultimo è il punto di vista dei magistrati, i quali avevano imposto la sospensione di ogni attività già l’estate scorsa. L’acciaieria ha invece continuato a funzionare, protetta da uno schieramento che comprende i lavoratori, i sindacati, le forze politiche locali e nazionali, il governo. L’affondo giudiziario dell’altro giorno, con i sette ordini di cattura, è dovuto all’indifferenza con cui è stata sostanzialmente accolta la posizione dura degli inquirenti. La reazione dell’azienda – chiudere tutto, mandare in ferie forzate cinquemila dipendenti, disattivare i badge – rappresenta il tentativo di rispondere alla forza con la forza. Tentativo subito fallito: i badge ieri sono stati riattivati, non ci sono stati blocchi stradali ma solo l’occupazione da parte di un centinaio di operai della palazzina che ospita gli uffici della direzione, più lo sciopero proclamato dai sindacati e che s’è svolto senza incidenti. Mario Monti è salito da Napolitano per discutere il da farsi, domani intanto le parti andranno a trattare col ministro Clini qualcosa su cui sono sostanzialmente d’accordo. Mancherà al tavolo, invece, la vera controparte di tutti quanti, che è la Procura della città.

Che cosa può mai decidere in un frangente come questo un governo?
È difficile rispondere. C’è di mezzo l’indipendenza della magistratura, che è un potere autonomo e intoccabile. Clini, ministro dell’Ambiente, ieri ha rilasciato questa dichiarazione: «Contiamo di uscire con un provvedimento, lavoriamo a un decreto per l’applicazione dell’Aia. Stiamo lavorando con Monti e i ministri ad una soluzione per l’applicazione dell’Aia, unica strada per il risanamento. Le normative nazionali ed europee stabiliscono che per l’esercizio di questo tipo di impianti è necessaria l’Aia che è l’unico documento legale che ne regola l’attività. Il problema, oggi, è creare le condizioni di agibilità per cui l’azienda possa rispettarla rigorosamente. Siamo di fronte ad una situazione paradossale: c’è un rischio di convergenza di interessi per cui fra l’iniziativa della magistratura e l’interesse dell’azienda a non investire, avremmo il risultato pratico di un’area inquinata pericolosa e la perdita di lavoro per migliaia di persone. Questa convergenza negativa va spezzata».  

Che cos’è l’Aia?
“Autorizzazione Integrata Ambientale”. Cioè un pezzo di carta. Probabilmente sancirà che l’Ilva avvelena sì, ma non fino al punto che si debba chiudere. Questo documento potrà davvero far ripartire l’azienda? Ne dubito. I magistrati si fanno forti delle loro perizie, secondo le quali i tumori nell’area sono il 15% in più che nel resto della Puglia. I tumori al polmone sono il 30% in più. Nelle 300 pagine che stanno all’origine di questa battaglia c’è poi la lista di mesoteliomi pleurici, neoplasie epatiche e polmonari, linfomi, demenze, ischemie cardiache diffuse nel Tarantino e specialmente nel quartiere Tamburi. Tutto provocato dall’acciaieria. Il governo finora ha stanziato 329 milioni, che il gip Patrizia Todisco ha giudicato del tutto insufficienti. È probabile che dopo la riunione di domani e il consiglio dei ministri di venerdì si emani un decreto che mette in gioco altri soldi. Dovrebbe decidersi a investire anche il patron Emilio Riva, che profitti con l’acciaio ne ha fatti.  

Ci sono le intercettazioni, dalle quali si capisce che i Riva hanno unto le ruote per addomesticare perizie e documenti dell’Arpa, l’Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale.
I magistrati pensano che Nichi Vendola abbia tenuto in mano la questione politica, agevolando il trasferimento di funzionari troppo severi con l’acciaieria e dandosi da fare perché i posti di lavoro non venissero messi in pericolo. I magistrati non gli hanno mandato nessun avviso di garanzia. Non ci dimentichiamo, dopo aver dato tanto spazio al problema dei veleni, del problema dei posti di lavoro.  

Quanti posti di lavoro sono a rischio?
Comprendendo l’indotto e gli altri stabilimenti Ilva sparsi per l’Italia ventimila.  

E non si tratta solo di questo, vero? La chiusura di Taranto avrebbe ben altre conseguenze.
Senza l’Ilva dovremmo cominciare a comprare all’estero anche i cinque milioni di tonnellate che adesso le industrie prendono dall’Ilva. Fa un danno di 2,5-3,5 miliardi (dati Federacciai). Le mancate esportazioni ci costeterebbero 1,2-2 miliardi l’anno. La bilancia commerciale peggiorerebbe di 3,7-5,5 miliardi. I nuovi costi per la logistica e gli oneri finanziari, per gli ammortizzatori sociali, il calo dei consumi dovuto al tracollo dei redditi, più lo spopolamento della citta, destinata a scendere da poco meno di 200 mila abitanti a 30 mila, valgono ancora un danno di altri 4-5 miliardi.
[Giorgio Dell’Arti, La Gazzetta dello Sport 28 novembre 2012]