La Gazzetta dello Sport, 24 novembre 2012
I 27 paesi della Ue si guardano di nuovo in cagnesco e per evitare di litigare in modo definitivo hanno rinviato la discussione intorno alle loro faccende all’anno prossimo, forse gennaio, più probabilmente febbraio
I 27 paesi della Ue si guardano di nuovo in cagnesco e per evitare di litigare in modo definitivo hanno rinviato la discussione intorno alle loro faccende all’anno prossimo, forse gennaio, più probabilmente febbraio. Pomo della discordia il bilancio settennale dell’Unione.
• Bilancio? L’Unione ha un bilancio? Che cosa intendiamo per “bilancio” in questo caso? E come mai settennale?
Beh, si tratta in definitiva di una cosa molto semplice. Bisogna decidere quanti soldi mettere nella cassa comune europea. E come suddividerli poi tra tutti quanti. Il bilancio è per tradizione settennale, e nel 2013 si chiuderà il ciclo cominciato nel 2007. Si tratta di prendere decisioni relative ai sette anni che vanno dal 2014 (incluso) al 2020. La cifra di partenza è di mille miliardi di euro, che ha fatto strillare parecchio, specialmente gli inglesi. Cioè: se si fosse già trovato l’accordo i 27 si sarebbero dovuti impegnare a mettere nelle casse dell’Unione, nei prossimi sette anni, mille miliardi. Lei capisce che in tempi di crisi non sono scherzi.
• Le casse dell’Unione europea si riempiono solo per mezzo di questo contributo?
No. L’Unione si fa pagare una tassa su tutte le importazioni agricole da paesi extra Ue (è, nello stesso tempo, una protezione dei prodotti locali). Ci sono poi una serie di dazi e di diritti anche sulle importazioni non agricole da paesi extra Ue. Ogni paese girà poi alla comunità circa l’1% dell’Iva (e la nostra grande evasione di questa imposta, specie al Sud, è per l’Europa un problema). Infine, quarta risorsa, ci sono questi contributi dagli stati membri, fissati fin dal 1988 e proporzionali al Pil di ciascun paese. All’inizio l’1,15% del Pil, poi l’1,27, infine, per i sette anni che stanno scadendo l’1,24%, cioè un po’ meno. Per noi tutto questo si traduce in un contributo di circa 12 miliardi. E ce ne restituiscono circa 9. Cioè diamo più di quanto prendiamo.
• Non è folle?
Grillo ci ha montato su, qualche giorno fa, uno dei suoi attacchi. «…I soldi dell’Europa, mitici e inesistenti. I fondi europei, grande presa per i fondelli…». Eccetera. In realtà, non siamo solo noi a rimetterci: dànno più di quanto prendono Regno Unito, Germania, Olanda, Finlandia, Svezia, Francia. Prendono più di quanto dànno: Spagna, Portogallo, Grecia, Polonia e i paesi dell’Est. Se ci pensa, però, è ovvio: ammassare denari al centro per poi redistribuirli è il principio fondante dei sistemi socialisti, che vogliono diminuire le distanze tra ricchi e poveri. A cavallo tra Settecento e Ottocento lo predicava Filippo Buonarroti (un nemico di ogni federalismo) e all’alba dell’Europa lo sosteneva Jacques Delors. Sarebbe del resto impossibile, versando ognuno una quota, che tutti ricevessero più soldi di quelli che dànno. Il problema è dunque se si accetta oppure no l’idea di Europa. O anche: se si accetta oppure no l’idea di Europa così com’è.
• In che consistono i contrasti?
Gli inglesi, con l’appoggio di olandesi, finlandesi, svedesi giudicano i mille miliardi di euro troppi. Chiedono un taglio dei contributi. Herman Van Rompuy ha offerto di scendere di 80 miliardi. Cameron, il premier inglese, ha risposto: è poco. Tutti considerano molto pericoloso che Cameron si rifiuti di firmare l’accordo sul bilancio, come ha minacciato. D’altra parte in Gran Bretagna il malumore verso l’Unione europea è a livelli di guardia. I sondaggi assegnano all’Ukip – partito dell’indipendenza capeggiato da Nigel Farage – un bacino elettorale dell’11-16% con un potenziale del 25% alle prossime elezioni europee. Cento deputati tories hanno poi minacciato un referendum sull’addio alla Ue. Cameron, cioè, sull’Europa, ha problemi di consenso molto seri, i suoi partner europei lo sanno e ieri non hanno tirato la corda per dar tempo all’Inghilterra di prepararsi e restare nel gioco.
• La nostra posizione?
La diminuita capacità di spesa europea inciderebbe soprattutto sull’agricoltura, che verrebbe meno finanziata di prima. Per noi e per la Francia i fondi agricoli sono essenziali e Monti è per ora attestato su un “no” al pacchetto che è stato presentato. C’è lo stesso problema anche per i cosiddetti “fondi di coesione”, quelli cioè che finanziano interventi sui trasporti e sull’ambiente (si suppone che trasporti e ambiente siano alla base della coesione tra i popoli). Anche questa, per noi, è una voce di finanziamento importante, alla quale, a quanto pare, non intendiamo rinunciare. Monti s’è detto tuttavia ottimista: «Era in corso una tendenza a ridurre considerevolmente di più il budget e una tendenza a finire con un compromesso al ribasso, tendenza a cui noi ci siamo opposti. Il fatto che oggi non si sia arrivati a un accordo non è sorprendente. È già successo. C’è un sufficiente potenziale di convergenza tra i Ventisette, possiamo guardare a un accordo sul bilancio per gli inizi del prossimo anno».
[Giorgio Dell’Arti, La Gazzetta dello Sport 24 novembre 2012]