La Gazzetta dello Sport, 19 novembre 2012
Il premier ieri ha fatto arrabbiare Vendola e Di Pietro dicendo a un’agenzia del Kuwait, paese dove si trova in visita, di «non poter garantire per il futuro»
Il premier ieri ha fatto arrabbiare Vendola e Di Pietro dicendo a un’agenzia del Kuwait, paese dove si trova in visita, di «non poter garantire per il futuro». «Chi governerà deve avere come obbiettivo quello di continuare a garantire crescita, giustizia, lotta a corruzione e lotta all’evasione».
• Mi pare una frase innocentissima, che serve solo a tenerlo fuori dalla campagna elettorale appena iniziata.
Vendola e Di Pietro la leggono come un avvertimento di questo tipo: solo io (cioè Monti) posso garantire su «crescita, giustizia, lotta a corruzion e lotta all’evasione». Forse il presidente del Consiglio è stato un po’ imprudente, ma i due oppositori del governo, uno dei quali non sta neanche in Parlamento, hanno forzato il senso della frase: come potrebbe, non dico Monti, ma chiunque di noi garantire che il prossimo governo produrrà «crescita, giustizia, lotta a corruzione e evasione»? Monti ha raccolto adesso in un bel libro quanto ha scritto negli ultimi vent’anni sul “Corriere della Sera”. Leggendolo si capisce che gli errori o l’incapacità dei politici italiani data da sempre. Chi se la sente di giurare su quelli che verranno, che poi sono quasi sempre o gli stessi che scorrazzavano per il campo della politica già vent’anni fa oppure i loro degni eredi diretti?
• Ma Monti sarà o no al governo nella prossima legislatura? Ho letto di questo endorsement straordinario che gli ha fatto sabato scorso Montezemolo…
Lei si è innamorato di questa parola, “endorsement”, e me la propina ogni volta che può. Chiariamola per i lettori che non hanno confidenza con l’inglese né con il gergo politico: significa “appoggio esplicito”, sostegno convinto, convintissimo, quasi trionfale. E in effetti sabato scorso Montezemolo, in una kermesse organizzata dal suo movimento nei vecchi studi cinematografici della De Paolis, è stato molto chiaro: «Noi non stiamo più in tribuna, ma scendiamo in campo per la ricostruzione del Paese: Monti può fare il lavoro di ricostruzione in Italia e in Europa meglio di chiunque altro. Ammetterlo non è un segno di debolezza ma un’assunzione di responsabilità. Chi meglio del premier? [Noi siamo qui] per dare fondamento democratico ed elettorale al percorso iniziato dal governo Monti». A queste parole entusiaste, ieri ha risposto Casini, montiano fin dal primo secondo: «Da Montezemolo parole di buonsenso condivisibili, l’Italia ha bisogno in tutti i campi di più concorrenza. Ieri (cioè sabato – ndr) sono uscite proposte serie, ragionamenti pacati di persone perbene che vogliono contribuire al rinnovamento politico e dell’Italia. Ho trovato molta sintonia».
• Però non parla di convergenza. Scalfari ha commentato: «
Casini vuole il Monti-bis, Montezemolo e Riccardi pure. Ma chi si intesterà quell’icona? Chi sarà al timone e chi ai remi? I remi non piacciono a nessuno, il timone piace a tutti ma ce n’è uno solo». È la lotta per la leadership, che ha già contribuito a mandare in frantumi il Pdl, dato che Casini e Fini non sopportavano l’ombra di Berlusconi.
D’altra parte Monti non si sbilancia. Non solo ieri ha detto che sul futuro non si pronuncia, ma sabato, parlando alla Bocconi, proprio mentre Montezemolo lo incensava e i centri sociali si picchiavano con la polizia fuori dell’Università, ha messo tra virgolette queste parole: «Nessuno mi domanda impegni oggi, e oggi non do nessun impegno». Vede, io però faccio il ragionamento all’incontrario: con tutto il traffico che c’è intorno a lui, se si volesse tirar fuori gli basterebbe dire: «Mi sono stancato, non sono disponibile a niente». Se non lo dice è perché è disponibile a qualcosa. Ma è chiaro che vuole, per quanto possibile, mantenere il profilo di “terzo”, che non intende sporcarsi le mani né con questi né con quelli.
• Che cos’è questa storia del libro?
Si intitola Le parole e i fatti, l’ha pubblicato Rizzoli. Leggendolo – per quanto ci riguarda lo abbiamo divorato – si scopre che il nostro uomo diceva vent’anni fa le stesse cose di adesso. Senta, per esempio, questa sui sindacati, che risale al 1993: «I sindacati dei lavoratori (confederali o autonomi) e degli imprenditori (industriali, bancari eccetera) potranno essere ascoltati , ma non devono partecipare alla formulazione della politica di bilancio, fiscale, finanziaria eccetera, che è di competenza esclusiva dei pubblici poteri». Bonanni ha fatto male a prendersela quando non è stato convocato per le pensioni. Era tutto già scritto. E senta quest’altra sulle famose stangate del passato, scritta nel 1994: ««Se dopo quindici anni di “stangate” e di “manovre” abbiamo il più alto debito pubblico tra i Paesi industriali, non si dev’essere trattato né di vere stangate né di vere manovre». Cioè i partiti, gli stessi che adesso si arrabbiano perché lui non garantisce, si assicuravano la pace sociale col debito, fidando sul fatto che i cittadini non si sarebbero accorti troppo presto dell’aumento del carico fiscale (e la cosa, per i lavoratori dipendenti, è purtroppo vera) e che la cosa sarebbe in ogni caso stata pagata dai loro figli.
• Dal libro si capisce se resterà a Palazzo Chigi?
A Federico Fubini, che lo intervista nelle prime pagine, dice a un certo punto che, secondo lui, il Paese chiede non meno governance, ma più governance. È un modo per dire a che condizioni è disposto a tornare. Alla domanda se sia o no infamante farsi prestare soldi dal fondo Esm, il premier risponde: «La prova del budino è nel mangiarlo». Secondo me è una frase buona anche per capire la faccenda di Palazzo Chigi.
[Giorgio Dell’Arti, La Gazzetta dello Sport 19 novembre 2012]