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 2012  novembre 08 Giovedì calendario

La vittoria di Obama si porta dietro una caduta generale delle Borse mondiali e una difficile situazione in Parlamento: la Camera (rinnovata per intero) è più repubblicana di prima, mentre il Senato (sono cambiati un terzo dei parlamentari) è rimasto a maggioranza democratica

La vittoria di Obama si porta dietro una caduta generale delle Borse mondiali e una difficile situazione in Parlamento: la Camera (rinnovata per intero) è più repubblicana di prima, mentre il Senato (sono cambiati un terzo dei parlamentari) è rimasto a maggioranza democratica. Gli appelli a lavorare insieme non sono retorici: se tra il presidente e i due schieramenti non si arriverà a un accordo…

Che rischi si corrono?
Il famoso “fiscal cliff”, “baratro fiscale”. Ricorda la situazione in cui gli Stati Uniti si trovarono l’anno scorso? Il loro sistema prevede un tetto all’indebitamento, per superare il quale ci vuole una legge. I repubblicani tentarono già nell’estate del 2011 di mettere Obama in difficoltà chiudendo alla possibilità che il tetto fosse alzato. Si arrivò alla fine a un compromesso: il tetto venne innalzato e in cambio Obama concordò che dal 1° gennaio 2013, in assenza di nuovi accordi, sarebbero scattati automaticamente aumenti delle tasse e tagli della spesa sociale. Si tratta di una mannaia da 600 miliardi di dollari, che significa una flessione del 2,9% dell’attività economica nel primo semestre del 2013, entrate fiscali maggiorate del 19,6%, un aggravio di costi per la famiglia americana di 3.500 dollari di imposte, reddito disponibile ridotto del 6,2%, con effetti devastanti sui consumi. È uno spauracchio anche per i repubblicani, alla fine. Ieri John Boehner, speaker dei repubblicani alla Camera, ha lanciato un appello per una soluzione condivisa, «altrimenti gli Stati Uniti rischiano di finire in recessione». La cosa non riguarda solo l’America: una caduta della domanda americana e una caduta della domanda cinese possono avere conseguenze gravissime anche sull’Eurozona.  

È per questo che ieri le Borse sono andate giù?
Sì, a parte il fatto che la finanza – cioè Wall Street – preferiva Romney e le sue promesse di sgravi fiscali. Milano ha perso il 2,5, Londra l’1,58, Parigi l’1,99. Mentre scriviamo, Wall Street è ancora aperta. Ma sta scendendo con decisione.  

Che idee ha, a questo punto, Obama?
Come lei sa, non si può essere rieletti per la terza volta, e questo dovrebbe permettere al presidente di muoversi con più decisione e meno paura di scelte impopolari. Distinguerei tra quello che Barack ha detto in campagna elettorale e i veri dossier che dovrà affrontare. In teoria, Obama si propone di ridurre del 50% le importazioni di petrolio entro il 2020, vuole tagliare le emissioni di carbone e mercurio, tagliare il debito pubblico a 4 mila miliardi in dieci anni (a fine 2012 il debito pubblico americano sarà di 11.360 miliardi di dollari, non lontano dal 90 per cento del Pil), regolarizzare le situazioni dei figli degli immigrati e dei gay, affermare con più forza la libertà della donna in tema di aborto e contraccezioni, una posizione che aveva schierato la Chiesa col mormone Romney. Dieci miliardi di investimenti sull’istruzione nei prossimi dieci anni. Opposizione a qualunque iniziativa di Israele contro l’Iran (anche Tel Aviv tifava per Romney), taglio alla Difesa di 500 miliardi entro il 2020-2022. Tutta da capire la politica verso l’Europa.  

Perché?
La Casa Bianca è preoccupata per un’eventuale cambio della politica cinese. Si teme che i nuovi dirigenti, che vengono nominati oggi, puntino più sulla domanda interna che su quella estera, e comprino di conseguenza con meno entusiasmo il debito americano. In questo momento lo spread tra i titoli Usa e Bund tedeschi è pari a zero. Ma che accadrà se Pechino smetterà di acquistare i bond Usa? Le preoccupazioni sull’Europa sono strettamente connesse con quelle relative alla situazione cinese. Gli americani sperano in una politica espansiva dell’Eurozona, perché solo una politica espansiva dal nostro lato del mondo aiuterebbe la loro economia. Come sappiamo, è un orecchio dal quale la Merkel non ci sente. Senonché l’interscambio Europa-Usa è di molto superiore a quello con Cina e Giappone combinati: 636 miliardi di dollari nel 2011 (+14%), un giro d’affari da 5000 miliardi di dollari che dà lavoro a 15 milioni di persone. Un patrimonio che sarebbe drammatico intaccare.  

Ieri si votavano anche un mucchio di referendum.
174 referendum in 37 stati. Ne esce, in generale, un’America piuttosto liberale. Il Maine e il Maryland hanno dato il via libera ai matrimoni gay – a questo punto ammessi in otto stati – Washington e Colorado hanno detto sì alla marijuana per uso ricreativo, la Florida ha respinto il taglio dei fondi destinati all’aborto, ha fatto notizia anche l’elezione in Senato della prima lesbica dichiarata, Tammy Baldwin, eletta in Wisconsin. Non è passato invece il referendum in California sull’abrogazione della pena di morte.
[Giorgio Dell’Arti, La Gazzetta dello Sport 8 novembre 2012]