La Gazzetta dello Sport, 3 novembre 2012
Gli italiani mettono in croce Marchionne, il presidente Obama lo adopera invece in uno spot cruciale, uno degli ultimi prima del voto di martedì prossimo
Gli italiani mettono in croce Marchionne, il presidente Obama lo adopera invece in uno spot cruciale, uno degli ultimi prima del voto di martedì prossimo. È andata così: Romney ha gridato che col sistema Obama, che vuole far entrare lo Stato nelle cose americane, «finiremo come l’Italia». E che cosa sono gli italiani, secondo lui? Gente che prenderà le fabbriche della Chrysler e le porterà in Cina, togliendo lavoro agli operai americani. Colpire Marchionne significa colpire Obama, dato che il presidente ha affidato proprio al manager italo-canadese la salvezza della Chrysler e, con la Chrysler, la salvezza dell’intera industria automobilistica Usa finita a un passo dal fallimento. Quindi, il colpo di Romney era stato ben studiato. Senonché Marchionne ha smentito subito la notizia che le Chrysler saranno fabbricate in Cina e Obama ne ha immediatamente approfittato per confezionare uno spot in cui la comunicazione di Romney si definisce “inaccurate” e si conclude la propaganda con un pugno che timbra il bollo “Romney style!”.
• Parliamoci chiaro, in America portano Marchionne in palmo di mano.
Lei sa le ultime vicende, qui, con la Fiat?
• Vagamente.
Tra gli assunti di Pomigliano non c’era neanche un iscritto Fiom e il tribunale, con l’aiuto di un consulente esperto in statistica, constatò che un’eventualità di questo genere si sarebbe potuto verificare per caso solo una volta su parecchi milioni. Quindi la Fiat, nell’assumere gli operai a Pomigliano, aveva evidentemente discriminato, cioè tenuto fuori volontariamente gli iscritti alla Fiom. Lei ricorderà che la Fiom è il sindacato metalmeccanico della Cgil, fiero nemico di tutto ciò che Marchionne ha fatto finora in Italia, nemico soprattutto dell’accordo capestro che Marchione ha preteso dagli assunti di Pomigliano, poi approvato a maggioranza dai lavoratori al termine di un referendum condotto sotto la spada di Damocle: «Se non dite di sì, levo le tende e me ne torno in America».
• Sì, però tutto le corrispondenze che ho letto da Pomigliano mostrano una fabbrica d’avanguardia e una condizione del lavoro per niente infelice.
In ogni caso, la Fiom ha deciso di resistere a Marchionne ricorrendo al tribunale. Un po’ di cause le ha perse, un po’ le ha vinte, però ha vinto questa, decisiva, sulla discriminazione. Il tribunale ha ordinato alla Fiat di assumere 145 operai con la tessera Fiom, in modo da far cessare ogni discriminazione e mantenere gli stessi rapporti tra Cgil, Cisl e Uila che c’erano prima che si avviasse questa operazione. Un primo gruppo di 19 operai va assunto subito, per gli altri si aspetteranno sei mesi. Che cosa ha risposto però la Fiat? Bene – ha risposto – se il tribunale mi ordina di assumere questi 19, io ne licenzierò altri 19, perché la crisi non mi permette di avere neanche un operaio in più di quelli calcolati nella pianta organica. Si può immaginare quello che è successo, e le contumelie di cui è stato ricoperto l’amministratore delegato.
• C’è anche questo fatto però: che la Fiat non permette alla Fiom di avere una sua rappresentanza in fabbrica.
Questo però è in linea con quanto stabilito dall’articolo 19 dello Statuto dei lavoratori: i sindacati che non hanno firmato almeno un contratto nazionale, non hanno diritto alla rappresentanza in azienda. Il governo ha alzato la voce, Passera ha detto che, pur senza ficcare il naso nelle faccende di un’azienda privata, la contromossa Fiat non gli è piaciuta, Della Valle è tornato all’attacco chiedendo a Napolitano e Monti di proteggerci dagli Agnelli e da Marchionne, la Fornero ha esortato il Lingotto a non mettersi a fare a braccio di ferro con i lavoratori. È un orecchio, però, dal quale Marchionne non ci sente. Voglio dire: si tratta per tutt’e due, è chiaro, di valori non negoziabili.
• Una soluzione ci deve essere, anche perché il giudice sicuramente respingerà il nuovo licenziamento di 19 lavoratori.
Pietro Ichino, il giuslavorista del Pd che una parte dei suoi compagni di partito vede come il fumo negli occhi, ha detto che la sentenza è “inappropriata”: il giudice, invece di ordinare la riassunzione, avrebbe dovuto prevedere un risarcimento congruo per gli operai rimasti fuori. Adesso – dice – bisognerebbe che almeno la Fiom firmasse l’accordo di Pomigliano, eventualità che permetterebbe al sindacato di riavere la sua rappresentanza in fabbrica. E la Fiat, a sua volta, dovrebbe rinunciare alla pratica dei licenziamenti collettivi e risolvere le eccedenze di organico con dei contratti di solidarietà.
[Giorgio Dell’Arti, La Gazzetta dello Sport 3 novembre 2012]