14 agosto 2012
Tags : La strage di Bel Air
Cronaca di un massacro in ventimila battute • Parla Sadie (Susan Atkins) • «Come ho conosciuto Charles Manson» • Il gioco di Dio • Il ranch Spahn a Chatsworth • Charles Watson, Linda Kasabian e Patricia Krenwinkel • La casa apparteneva a Terry Melcher, figlio di Doris Day • Tex aveva puntato il fucile su Steven Parent • Voyteck Frykowski dormiva sul divano • Abigail Folger mi sorrise • Sharon stava parlando con Jay Sebring • «Sono il diavolo» • Tex fa girare più volte la corda intorno ai tre corpi • «Dio mio, no!» • «Siete tutti votati alla morte» • Lui mi disse: «Uccidila» • «Porci» • Leno e Rosemary La Bianca
L’Europeo, n.52 del 1969 e n.1 del 1970
• Allora vivevo ad Haight-Ashbury, San Francisco. Vivevo in una casa con un gruppo di giovani. Un giorno arrivò un uomo piccolo e si mise a cantare, accompagnandosi con la chitarra. Prima sentii la sua voce e poi lo vidi. Ero in cucina e lui nell’altra stanza. Cantava una canzone intitolata L’ombra del tuo sorriso. Mi colpi quella voce. A poco a poco ne fui soggiogata. Quando poi vidi l’uomo che cantava fui come ipnotizzata dal suo sguardo. Mi innamorai all’istante di lui e decisi che lo avrei seguito a ogni costo. Più tardi seppi che si chiamava Charles Manson, ma aveva anche altri nomi. Anch’io avrei avuto molti nomi vivendo con lui.
• Charles mi disse che non poteva offrirmi che amore, ma seppe dare anche una risposta a tutte quelle ansiose e confuse domande che si agitavano in testa. Diceva che il mondo non è che un gioco di Dio e che ogni uomo, ogni essere vivente, ogni cosa che sono nel mondo fanno parte di questo gioco. Ma il gioco era ormai alla sua fine. S’avvicinava il giorno del grande giudizio e tutto sarebbe stato travolto e annientato.
• Quella notte la passai ad ascoltare Charles, sempre più ipnotizzata dalle sue parole e dal modo con cui le diceva. Sentivo che aveva ragione, che mi stava svelando un segreto che invano avevo fin’allora inseguito. Non immaginavo in quei momenti dolcissimi ed esaltanti che in quel gioco di Dio già si stesse preparando la morte di Sharon Tate, stretta prigioniera fra le mie braccia.
• Me ne andai con Charles e mi unii al suo gruppo, dominata dalla personalità di Manson. Ci fissammo nel ranch Spahn, a Chatsworth e fu lì, una notte, che Charles ci diede le istruzioni per l’incursione nella villa di Sharon Tate. Charlie parlò a me, a Tex (Charles Watson), a una ragazza che si chiamava Linda (Kasabian) e a Katie (Patricia Krenwinkel).
• Tex e Katie li conoscevo bene, ma Linda era da poco tempo con noi. Non sapevo neppure il suo vero nome, anche se il nome non è importante e va cambiato spesso, come gli abiti. Soltanto chi riesce a cambiare anche nell’aspetto e nel nome può cambiare di dentro. Se un uomo non cambia non è un uomo, è una cosa. Charlie ci diede tutte le istruzioni per andare in quella casa, e ci procurò un’automobile, una “Chevy” nera del ’53, o del ’54. Ci disse anche di prendere due cambi di vestiti, e di scegliere quelli neri. (…)
• I particolari di questa nuova impresa Charlie ce li comunicò attraverso Tex. A me disse solo che avrei dovuto fare tutto quello che Tex mi avrebbe chiesto. Lui ci controllava tutti, ma ci ripeteva sempre: «Voi non siete gente mia. Appartenete a voi stessi e fate tutto quello che desiderate». (…)
• Quella volta ci disse di prendere i vestiti e i coltelli: prendemmo i vestiti e i coltelli e salimmo in quattro sulla macchina. Fu Tex a darci altre spiegazioni, durante il viaggio, ma devo dire che non mi sono ben resa conto di quel che stava succedendo fino a quando arrivammo sul posto. Tex ci disse che lui e Charlie erano già stati in quella casa, ed era questa la ragione per cui l’avevano scelta. La casa, disse, apparteneva a Terry Melcher, il figlio di Doris Day. Ma lui non ci abitava più. Charlie, comunque, aveva deciso di organizzare quella incursione per impaurire Terry Melcher. Terry, infatti, aveva fatto delle promesse ma non le aveva mantenute. E Charlie voleva punirlo, fargli capire che non doveva comportarsi così.
• Non avevo idea di chi vivesse in quella casa, mentre eravamo in macchina, e continuai a ignorarlo anche dopo.
• In macchina Tex ci fornì tutti i particolari sulla casa verso la quale ci recavamo. Avevamo con noi una serie di grimaldelli, e una corda. Ognuno aveva anche un coltello e Tex un fucile (...).
• Arrivammo con la macchina accanto alla casa e parcheggiammo tra il cancello e una villa vicina. Poi uscimmo e Tex si arrampicò su un palo telefonico e strappò due fili, nella speranza che fossero fili del telefono. Tornammo in macchina e scendemmo fino ai piedi della collina. Parcheggiammo la macchina in modo che non destasse sospetti, come se fosse l’automobile di uno che abitava nei dintorni. Risalimmo alla villa e ci fermammo davanti al cancello di ferro, che era chiuso. Non lo toccammo perché non sapevamo se era o no percorso dall’elettricità. (…)
• Dove la strada saliva c’era una palizzata e noi pensammo che forse si poteva entrare da lì. Ci arrampicammo sul fianco della collina e ci accorgemmo che, in un punto, era facile scavalcare l’ostacolo. Mentre cercavamo il modo di superare la palizzata, vedemmo una luce che saliva lungo la strada. Era un’automobile, e Tex ci disse di sdraiarci pancia a terra e di stare fermi. Noi obbedimmo. Non riuscii a vedere quel che accadeva, anche quando l’automobile giunse di fianco a noi, ma udii Tex che diceva: «Alt! Fermatevi».
• Tex aveva puntato il fucile sul ragazzo (Steven Parent) e io lo udii bisbigliare: «Non colpitemi, vi prego. Non dirò niente a nessuno». Ma il fucile sparò quattro volte. Poi Tex tornò e disse: «Possiamo andare».
• Mentre eravamo nel giardino pensavo al ragazzo ucciso nella macchina e mi sentivo sconvolta per quel che era accaduto. Improvvisamente mi trovai di fronte alla porta centrale ella casa. A destra c’era una finestra: Tex l’aprì, scivolò dentro e ci aprì la porta.
• Non sapevamo quanta gente c’era nella casa. Quando entrammo nel soggiorno vedemmo un uomo (Voyteck Frykowski) che dormiva su un divano. Era vestito alla moda con i pantaloni stretti.
• Tex gli si mise di fianco e l’uomo, svegliandosi, pensò certo che fosse uno dei suoi amici. Chiese: «Che ora è?».
• Tex gli puntò contro il fucile e disse: «Non muoverti o ti ammazzo».
• Poi ci fece segno di metterci di fianco al divano. Eravamo io e Katie, perché Linda era rimasta fuori a sorvegliare. (…)
• Tex, comunque, mi disse di andare nell’atrio e di ispezionare le altre stanze. Quando entrai in una camera da letto una ragazza (Abigail Folger) posò il libro che stava leggendo e mi guardò. Io le sorrisi. Pensò certamente che ero un’amica, una di loro.
• Entrai tranquillamente nell’altra camera da letto e vidi Sharon Tate con un giovanotto piccolo di statura: Jay Sebring. Lei portava una camicia da notte corta e trasparente e sotto aveva una specie di reggiseno. Erano così intenti a parlare che non si accorsero neppure di me.
• Tornai nel soggiorno e dissi a Tex: «Ce ne sono altri tre, in casa».
• Allora mi disse di cercare il bagno e di portare un asciugamano per legare l’uomo sul divano. Quando arrivai con l’asciugamano Tex m’ordinò di legare l’uomo.
• Lui era come impietrito e mi lasciò fare. Alla fine si rivolse a Tex e chiese: «Ma che cosa volete? Chi siete?».
• «Sono il diavolo», rispose Tex, «e sono qui per i miei affari. Vogliamo tutti i vostri soldi. Dove sono?».
• «I miei sono nel portafogli che sta sul tavolo», rispose.
• Tex mi ordinò di guardare, ma non trovai niente.
• «Non c’è nulla qui», dissi.
• «Vai a prendere gli altri, e portali qui», mi ordinò ancora Tex.
• Presi il coltello e andai da Abigail Folger, che era ancora sul letto. Le dissi: «Andate in soggiorno. E non fate domande». Poi andai nella stanza di Sharon Tate e ordinai a lei e all’uomo di fare altrettanto. Erano così terrorizzati per quel che stava accadendo che obbedirono senza opporre resistenza.
• Da quel momento fu un succedersi di scene terrificanti. Non riesco a ricordare esattamente la successione dei fatti. Ho negli occhi una serie di immagini staccate, come lampi, come un film ridotto a brandelli.
• E in questi frammenti di film vedo me stessa, come se fossi un’altra persona. Rivedo Tex che lega insieme tre persone: Sebring, Sharon e la signorina Folger. Fa girare la corda più volte attorno ai tre corpi, poi fa passare, buttandola, la corda sopra una trave. «Prendi il capo della corda», mi dice, «e tira, che non si possano muovere». Ricordo subito dopo Sebring che riesce a liberarsi dai lacci e va verso Tex gridando: «Si può sapere che cosa fate?».
• E ricordo il lampo della fucilata di Tex, e Sebring cadere a terra, sul fianco, in una pozza di sangue.
• Non dimenticherò mai l’espressione disperata di terrore che apparve sul volto di Sharon. La rivedo mentre grida: «Dio mio, no!», e rivedo la Folger impietrita, immobile, silenziosa.
• Credo che sia stato a questo punto che l’uomo che avevo legato sul divano abbia incominciato a divincolarsi per liberarsi dall’asciugamano che gli serrava i polsi. Non l’avevo stretto bene, forse perché dentro di me desideravo che potesse liberarsi. Tex gridò: «Dove sono i soldi?». Una voce di donna disse: «Nel portafogli», e Tex mi ordinò di cercare il portafogli. Non lo trovai. Allora Tex urlò di nuovo: «Dove sono i soldi?». Mi disse anche di slegare la Folger perché ci mostrasse dov’erano i soldi. La donna mi condusse nella stanza da letto e tolse da un borsellino settantadue o settantatre dollari. «È tutto quello che ho», disse. E aggiunse: «Volete anche le mie carte di credito?». Le risposi di no e la ricondussi in soggiorno. La legai di nuovo e di nuovo feci passare la corda sopra la trave.
• Una delle donne gridò: «Ma che cosa volete farci?». Tex disse freddamente: «Siete tutti votati alla morte».
• Ci fu un’ondata di panico e Tex mi ordinò di uccidere l’uomo che stava sul divano. Andai verso di lui e sollevai il pugnale, ma esitai. In quell’attimo lui si sollevò, mi afferrò per i capelli e cominciò a tirarli. Allora dovetti lottare per la vita. Cercava di afferrarmi, e io lo colpivo a calci. (…) Dovevo difendermi e affondai cinque o sei volte il coltello nella sua gamba. Era un’autodifesa, ripeto, e per fortuna avevo il pugnale perché l’uomo era grosso e forte e avrebbe potuto stendermi con un pugno.
• Mentre ero così impegnata, Abigail era riuscita a liberarsi dalla corda e si azzuffava con Katie. Linda, che aveva udito dei rumori, era uscita di nuovo e si era seduta nella macchina, abbandonandoci con le spalle scoperte. C’era una grande confusione, tanto che non ricordo bene tutto quello che accadde. Mi accorsi solo che l’uomo che avevo colpito cercava di uscire dalla casa. Gridava e tentava di salvarsi. Non sapevo che cosa fare e gridai anch’io: «Tex, aiutami. Fai qualcosa».
• In mezzo a quella confusione mi pare che Tex gli abbia sparato nella schiena mentre cercava di uscire. Poi lo ha inseguito e lo ha colpito sulla testa col calcio del fucile, con tale forza che il calcio si è rotto e l’arma è diventata inservibile. Tex ha tirato fuori il pugnale e ha cominciato a colpirlo ripetutamente come un matto e non capisco come mai nessuno dei vicini abbia sentito. L’uomo rimase riverso, moribondo, sulla soglia, prima di poter raggiungere il giardino.
• Anche Sharon, mentre la ragazza Folger lottava con Katie, era riuscita a liberarsi dalla corda. Io stavo lì a guardare: non sapevo cosa fare perché non riuscivo a trovare il coltello. A un certo punto mi avvicinai a Sharon e la immobilizzai in una stretta. Non oppose resistenza e tenerla ferma mi parve una cosa molto facile.
• Lei cominciò a pregarmi di lasciarla andare, a dirmi che doveva nascerle un bambino. Mi accorsi che era in stato interessante. Intanto anche Katie invocava aiuto perché Abigail era più grande di lei e l’aveva afferrata per i capelli.
• Chiamai Tex perché facesse qualcosa. Lui tornò nella stanza e alzò il pugnale verso la Folger che gridò: «Non farlo! Mi arrendo!». Ma lui la colpì ugualmente e la ragazza cadde al suolo. Penso che l’abbia ferita allo stomaco, perché si teneva le mani strette davanti. Tex corse di nuovo fuori, dove l’uomo strisciava sul prato chiedendo aiuto, e si rimise a colpirlo.
• Tenevo ancora stretta Sharon quando Tex rientrò e mi disse di farla sedere. La trascinai verso il divano e le feci piegare le ginocchia. Lei disse: «Voglio solo avere il mio bambino». Capii che dovevo dirle qualcosa, prima che venisse presa da una crisi isterica. E mentre le parlavo, capii che stavo parlando a me stessa.
• Non a lei rivolgevo la parola, ma a me. «Donna, non ho nessuna pietà di te», dissi, ed ero io che parlavo a me stessa.
• In quel momento la Folger cercò di scappare fuori e Tex e Katie la inseguirono. Non sono sicura, però, se Katie uscì.
• Quando Tex tornò dentro ero ancora là che tenevo ferma Sharon. Lui mi disse: «Uccidila». Disse proprio cosi: «Uccidila».
• Quello fu certo il momento più spaventoso, anche se non ricordo quasi nulla di ciò che pensavo e provavo. Sharon era immobile, come abbandonata. Fissava Tex con gli occhi sbarrati e io sentivo la sua pelle ghiacciata. Non tremava neppure. Soltanto impietrita. Avrei certo potuto liberare una mano e colpirla, come Tex e Katie mi incitavano a fare. Serrai più forte le braccia di Sharon.
• Dissi: «Tex, non posso, devo tenerla ferma. Uccidila tu». Tex venne avanti, adagio, con il coltello in pugno. Sharon non ebbe alcuna reazione: lo fissava e basta. Non sentii neppure irrigidirsi in uno sforzo disperato di sopravvivenza i muscoli delle braccia che tenevo ferme. Così Tex la colpì. Diritto al cuore. Poi la colpì ancora. Continuò a colpirla.
• Quando lasciai la presa il corpo di Sharon scivolò giù. Gettai l’asciugamano sulla sua testa. Lo gettai senza guardare. Sharon era rattrappita accanto al divano, in una pozza di sangue, e la sua testa giaceva accanto a quella di Jay Sebring.
• Ricordo che mi giunse come da lontano, da una terribile distanza, la voce di Tex. Disse: «E adesso andiamocene». Niente altro. Quanto tempo eravamo rimasti là? Cinque minuti? Venti minuti? Ma che senso ha il tempo? (…).
• Katie e io corremmo fuori, chiamando Linda. Ma non gridammo molto forte per paura di essere sentite dai vicini. In quel momento Tex mi ordinò: «Sadie, torna indietro e scrivi qualcosa sulla porta». Non avevo nessuna voglia di tornare in quella casa, ma qualcosa, dentro di me, mi spinse a farlo. Fu sempre qualcosa dentro di me che mi spinse verso il corpo di Sharon Tate. Rimasi come folgorata: c’era un essere che viveva ancora dentro di lei. Per quanto lo desiderassi intensamente, però, non riuscii a tagliarle il ventre e a estrarre il bambino. Eppure sapevo che era vivo, e che sarebbe morto se non fossi intervenuta.
• Sentivo gorgogliare il sangue che sgorgava dal suo corpo, e non era davvero un suono piacevole. Adesso so che cosa vuol dire la morte del topo. Volgendo la testa per non vederla, intinsi nel sangue l’asciugamano e mi avvicinai alla porta. L’unica cosa che ricordavo era che Tex mi aveva ordinato di scrivere “porci”.
• Con uno sforzo alzai la mano e con l’asciugamano intriso di sangue scrissi “porci”. Poi lo buttai di nuovo e corsi fuori. Sono stata l’ultima a lasciare la casa. Corsi al cancello e vi trovai Tex e Katie. Andammo insieme alla macchina ma non riuscimmo a vedere Linda.
• Charlie, lo seppi da Tex, aveva ordinato di recarci nella casa dei vicini e di agire nello stesso modo. Cercammo il pulsante che apriva il cancello di quella villa e Tex lo premette. Non ricordo perché non entrammo. Prendemmo i vestiti di ricambio, che avevamo lasciato accanto al cancello, e ci avviammo di nuovo verso la macchina. Scoprimmo che dentro c’era Linda, che si era già cambiata i vestiti. Stava per mettere in moto ma Tex le ordinò di aspettare. Lei disse: «Che cosa cavolo dobbiamo fare, adesso?».
• Entrammo in macchina e ci lasciammo andare, esausti. Eravamo tutti insanguinati e ci cambiammo. Io ero sul sedile posteriore, e Tex prese lui il volante. Andammo a cercare un posto per liberarci degli abiti neri intrisi di sangue e giungemmo a un argine che sprofondava sul fianco della strada. Io ero riversa sul sedile dietro, e non ricordo dove eravamo. Ho in mente soltanto il fianco di una montagna, e la strada. Linda aveva raccolto tutte le armi sul sedile davanti.
• Ci fermammo e Linda, uscita dalla macchina, fece precipitare giù dall’argine i vestiti sporchi di sangue, i coltelli e il fucile di Tex. Tutto rotolò giù, in una specie di slavina.
• La macchina continuò a procedere e a un certo punto ci trovammo in una zona residenziale: penso fossimo vicini al Sunset Boulevard. Ci infilammo in una viuzza laterale e cercammo una casa buia. Quando ne trovammo una scendemmo dalla macchina. Cercavamo un posto per lavarci via il sangue dalle mani e dalla faccia.
• Ricordo che la casa aveva una siepe davanti al giardino. Cercammo il tubo per annaffiare, lo srotolammo e ne portammo la estremità sulla strada, dove cominciammo a lavarci.
• Tutto questo accadde spontaneamente. Non l’avevamo neppure pensato di pulirci così.
• Improvvisamente un vecchio e una vecchia apparvero sulla soglia della casa. «Che cosa state facendo?», gridarono. E continuarono il loro bla bla. Poi la donna gridò: «II mio giardiniere è una guardia giurata dello sceriffo, e vado a dirgli tutto, Che cosa state facendo?».
• Tex gettò un’occhiata ai due vecchi, sorrise, e disse con grande freddezza: «Stiamo bevendo un goccio d’acqua. Ci spiace di avervi disturbati». Il vecchio disse: «È vostra quella macchina là?». «No, stiamo facendo quattro passi», disse Tex. Come sapeva controllarsi! A noi disse, a bassa voce, di rifugiarci nell’auto, e noi corremmo via. I due vecchi si fecero avanti e la donna disse: «Prendi il numero della targa». Ma il vecchio non aveva nulla su cui scrivere. Anche Tex balzò verso la macchina ma l’uomo lo seguì per cercare di impadronirsi delle chiavi. Evidentemente gli era nato qualche sospetto. Tex accese il motore e partì di scatto. Penso che abbia addirittura spaccato la mano a quell’uomo.
• Davvero avevamo scelto la casa giusta, pensai. Ma già eravamo arrivati sulla strada principale e, dopo un po’ di giri, ci fermammo a una stazione di servizio.
• Ci era rimasta poca benzina e mentre Tex ne comperava un po’ noi ragazze ci recammo a turno nella toilette per vedere se avevamo ancora tracce di sangue. Anche Tex infine, fece la stessa cosa.
• Quando però ripartimmo per tornare al ranch mi accorsi che sulla macchina c’erano macchie di sangue e mi augurai che nessuno le avesse viste. Quando fummo a casa, andai in cucina, presi uno straccio e ripulii accuratamente tutta la macchina dal sangue. In particolare ne trovai sul volante, e sulle maniglie delle porte. In quel momento arrivò Charlie, che ci apostrofò: «Che cosa fate a casa cosi presto?».
• Noi ragazze ci recammo in quella che chiamavamo la stanza delle cuccette e vi trovammo Brenda (Nancy Pittman). Poco dopo arrivarono anche Charlie e Tex, e ci sedemmo tutti.
• Mi sentivo assente, come in trance. Cercavo di prestare attenzione a quel che Charlie stava dicendo ma non riuscivo ad afferrare i concetti. Mi lasciai scivolare a terra e mi pareva di essere sul punto di venire uccisa.
• Charlie e Tex, infatti, mi dissero che mi avrebbero uccisa se li avessi traditi. Charlie mi ripeté più volte: «Due anni che stiamo insieme, Sadie. È un periodo molto lungo. Se cerchi di scappare ti impiccherò fuori dalla porta e ti taglierò la gola, perché tu serva da esempio agli altri». Questo non m’impressionò. Charlie era me, ed io ero Charlie. Tutti eravamo come una sola persona, nel ranch. Charlie non parlò di quello che era accaduto a Sharon. Lui è il tipo che vive ogni secondo della sua vita e che non bada a quello che può capitare due secondi dopo. Così di Sharon non si disse nulla e io andai a dormire. Prima, però, devo aver fatto all’amore con Clem (Gary Tufts). Non sono sicura che si trattasse proprio di lui, e non sono neppure sicura di aver fatto all’amore.
• Quando mi svegliai, però, ero preoccupata. Volevo vedere la televisione, perché certo avrebbe parlato di quel fatto, e mi recai in una specie di capanno vicino alla casa dove c’era il televisore. Accesi e vidi che si stava proprio trasmettendo un servizio sull’accaduto. Corsi fuori a chiamare Katie, e poi invitai anche Linda e Tex a vedere la trasmissione. Chiamai anche Clem, che sapeva tutto perché era nella stanza delle cuccette quando eravamo tornati.
• Non svegliammo, invece, Charlie.
• Seguimmo tutto il notiziario, che mi aiutò a capire che si trattava di gente importante, molto conosciuta. Questo mi colpì profondamente. Non facemmo molti commenti. Qualcuno disse che l’Anima (Charlie) aveva azzeccato giusto, quella volta. Gli era capitata proprio Sharon Tate, un’attrice del cinema, e il fatto era diventato così di importanza nazionale, anzi internazionale, come nessuno avrebbe potuto sperare.
• Quel che è accaduto, disse ancora uno di noi, è servito benissimo al nostro scopo. Il nostro scopo: incutere terrore nell’Uomo, nell’Uomo stesso, e a quello che viene chiamato establishment. Avevamo agito proprio per questo. Per creare terrore, per causare sconvolgimento. E anche per mostrare all’uomo nero come deve comportarsi con l’uomo bianco.
• Cercavo di apparire normale, e facevo i lavori che mi erano assegnati nel ranch. Ma bastava che guardassi Katie, e che Katie guardasse me, perché ci si chiarisse quel che stava nascosto dentro di noi, quel che non potevamo cancellare. Una cosa che era lì, che non si muoveva. Allora guardavo Charlie e lui mi strizzava l’occhio, per dirmi okay, per assicurarmi che tutto sarebbe andato bene. (…)
• La notte seguente la passammo tutti insieme: fumammo un po’ di marijuana e cantammo canzoni. Poi tutto ricominciò. Non ricordo con precisione, ma mi pare che Charlie mi ordinasse di prepararmi due abiti da cambiare e di munirmi di un coltello. Dovevamo andarlo a fare di nuovo ma questa volta, disse, nel modo giusto, senza panico e senza pasticci. Lui stesso sarebbe venuto con noi, per mostrarci come si doveva fare. Lo disse agli altri e chiese: «Provate dei rimorsi?».
• Risposero di no, ma era chiaro che ne avevano, e lui lo sapeva. Anch’io sentivo i rimorsi e lui non poteva ignorarlo perché mi conosceva bene, dentro.
• Comunque radunammo tutto il necessario: abiti, coltelli e un fucile, forse due. Salimmo in macchina e partimmo. Eravamo in sette, questa volta. C’erano Linda e Katie, Clem, Tex e Leslie (Van Houten).
• Ci dirigemmo verso l’oceano e poi verso Pasadena. Charlie parlò per tutto il viaggio, ma ho dimenticato quel che diceva. Parlava per tenerci su, perché non pensassimo a quel che stavamo per fare. Voleva che fossimo su di giri, privi di ogni timore.
• Lungo la strada ci fermammo fra due case. Una però non la ricordo: ero stanchissima e dormivo. Charlie scese dalla macchina e andò a guardare attraverso i vetri della prima casa. Noi girammo intorno all’isolato e poi Charlie ci raggiunse e sali di nuovo a bordo. Disse: «C’erano fotografie di bambini, in quella casa. E allora ho pensato che era meglio non farlo».
• Ci spiegò che sarebbe venuto il momento in cui avrebbe dovuto anche uccidere dei bambini. Ma adesso era prematuro.
• Ricominciò a guidare e io caddi di nuovo addormentata. Ero davvero esausta, e quando mi ridestai eravamo di nuovo fermi.
• Mi guardai intorno e riconobbi il posto. Pochi mesi prima avevo partecipato, con Charlie, le ragazze e gente che abitava in una casa di quella zona, a una a “seduta” con la droga. Non lo ricordai a Charlie in quel momento, ma glielo dissi più tardi.
• Charlie lasciò la macchina ed entrò in una casa (la residenza di Leno e Rosemary La Bianca, nel centro di Los Angeles) imbracciando un fucile e noi ce ne rimanemmo tranquilli nell’auto, senza far rumore, accendendo le sigarette e fumando. Di nuovo mi assopii e feci un sogno. Era un sogno molto vivido e rappresentava quel che stava accadendo nella casa. Vedevo Charlie che legava l’uomo e poi gli parlava. In seguito legava anche la donna.
• Poi Charlie tornò alla macchina e io mi ridestai. Mi disse che era strisciato dentro nella casa col fucile e più tardi mi raccontò (e così ebbi la prova che il mio sogno rappresentava una cosa reale) che si era rivolto all’uomo e alla donna dicendo: «Non sono qui per farvi del male. State calmi. Tutto andrà bene. Sedetevi e state buoni».
• Poi li legò con delle strisce di cuoio che portava intorno al collo. E quando tornò nella macchina, e io mi svegliai, sentii che diceva a Tex: «L’ultima volta avete sbagliato tutto perché avete fatto spaventare la gente. Non bisogna spaventarla, invece. Bisogna invece far credere loro che tutto va bene. Così, almeno, se ne andranno in pace».
• Adesso era lui che dirigeva l’operazione, con tutta la freddezza possibile. Ci spiegò che Tex, a casa Tate, aveva detto alla gente: «Dovete morire».Questo li aveva terrorizzati, aveva creato le scene di panico.
• «Questa volta invece», aggiunse, «tutto andrà liscio. Siate gentili con loro, non spaventateli più di quel che già lo sono. Lasciate che vivano in pace nell’infinito».
• A questo punto ordinò a Katie e a Leslie di entrare nella casa insieme a Tex. Speravo che non lo avrebbe ordinato anche a me, ed evidentemente riuscì a captare i miei pensieri, perché non lo fece. Katie, Tex e Leslie entrarono nella casa e sulla macchina restammo io e Linda, Clem e Charlie. Charlie, mentre dava le ultime istruzioni a quelli che dovevano entrare nella casa, disse che sarebbe andato con me, Clem e Linda in un’altra abitazione. Ma poi non lo fece. Forse nessuna delle case attorno gli parve adatta. Io però ero stanca e stavo per addormentarmi di nuovo.
• Prima di ripiombare nel sonno gli dissi: «Charlie, non è questa la casa dove abbiamo “consumato” qualche tempo fa?».
• «No», mi rispose, «è quella accanto».
• Nessuno dei tre che erano entrati aveva un fucile, ma solo i coltelli. Il fucile se lo era tenuto Charlie. Katie raccontò poi che quando erano entrati in casa avevano trovato i due legati e avevano portato la donna nella camera da letto. L’avevano messa sul letto, l’avevano legata ancora più saldamente e le avevano messo sulla testa un cappotto, o qualcosa di simile.
• Poi le avevano detto che tutto andava per il meglio, che non le sarebbe successo nulla di male. Katie mi confessò poi che mentre diceva queste cose in realtà parlava a se stessa, non alla donna. Proprio come avevo fatto io con Sharon Tate. Parlando a quella donna cercava di convincere se stessa che tutto andava bene, che tutto era perfetto.
• Tex era rimasto nel soggiorno con l’uomo e a un tratto la donna si accorse che Tex lo stava uccidendo.
• Allora fu presa dal panico, cominciò a contorcersi e diede un calcio a una lampada. Mentre lottava come poteva, gridò: «Che cosa state facendo a mio marito? Che cosa state facendo a mio marito?».
• Allora Katie cominciò a pugnalarla mentre Leslie cercava di tenerla ferma. Non ricordo quante volte Katie mi ha detto di averla colpita, ma forse nemmeno lei lo sa. Fino al momento in cui morì, la donna continuò a ripetere: «Che cosa state facendo a mio marito?».
• Questo, secondo Katie, è il pensiero che la donna porterà con sé nell’infinito. E io le ho detto: «Penso proprio che tu abbia ragione».
• Katie mi disse anche che, una volta uccisi i due, essi cancellarono con cura tutte le impronte digitali che avevano lasciato. Poi, usando il sangue dei morti, scrissero sul frigorifero: “Morte a tutti i porci”, o un’altra frase del genere.
• Ma non uscirono subito. Si fecero la doccia, cambiarono gli abiti e aprirono il frigorifero per prendersi qualcosa da mangiare. Katie vide una forchetta e le venne in mente che poteva servire per spaventare qualcuno. Allora la raccolse, la piantò nello stomaco dell’uomo e si sedette li accanto a guardare. La guardava sporgere fuori dal corpo ed era come affascinata.
• «Tex», mi disse anche Katie, «incise invece la parola “guerra” sullo stomaco dell’uomo». E io le dissi che era stato un bel gesto. Mi sembra di vederla, adesso, mentre sedeva al mio fianco e mi diceva: «Tex ha inciso la parola “guerra” sul suo petto». Non mi spiegò con che cosa. Disse soltanto «ha inciso».
• Quando venne l’alba si cambiarono gli abiti neri, indossarono gli altri che avevano portato e lasciarono la casa. Quando furono lontani da quel luogo misero gli abiti sporchi di sangue in un bidone della spazzatura. Solo molto tempo dopo seppi i nomi di quelli che avevamo ucciso. Non avevo voluto leggere i giornali, ne guardare la tv il giorno dopo, come avevo fatto nell’altra occasione. Ero stanca di ascoltare i notiziari. Non facevano che ripetere un nome: Tate, Tate, Tate. E io spegnevo il televisore. Adesso sono di nuovo stanchissima. Il mio avvocato sta per arrivare, con un bicchierino di gelato alla vaniglia. E il gelato alla vaniglia è l’unica cosa che mi attira.
Ferruccio Pinotti