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 2012  agosto 14 Martedì calendario

Il fallimento di Wind Jet non provocherà il fallimento del Catania

Corriere della Sera, 14 agosto 2012

Dopo mezz’ora di colloquio con l’imprenditore Antonino Pulvirenti detto «Nino», di anni 50, da Catania — la voce sempre misurata, mai un soprassalto di ansia: «Del resto, sa, mi sento con la coscienza a posto: io ho davvero cercato di salvarla fino all’ultimo Wind Jet, la mia compagnia aerea» — siamo ai giuramenti.

«Deve promettermi che non trasformerà questa nostra chiacchierata in un’intervista».

Promesso.

«Sicuro?».

Ha la mia parola.

«Cioè, no, guardi: deve proprio giurarmelo. Perché io due o tre cose interessanti, a lei, le ho dette volentieri. Per esempio spero di aver chiarito definitivamente che le sorti della Wind Jet non incideranno sul futuro del Catania calcio, che invece gode di ottima salute... Però a poche ore dal delicato incontro con Passera e i vertici di Alitalia, ecco, vorrei evitare di fare la parte di quello che... Insomma: lei giura, sì o no?».

Spregiudicato e furbo, abile e coraggioso. La prima riga della biografia di Wikipedia è eloquente: «Pulvirenti avvia la propria attività imprenditoriale a Belpasso (Ct) inizialmente con la distribuzione alimentare».

È figlio di piccoli imprenditori agricoli, il suo talento mercantile lo spinge però a osare subito. Apre un supermercato e acquista la locale squadra di calcio, che gioca nel campionato Interregionale. Il tempo di capire che il calcio rende famosi: poi, nel 1999, rileva l’Acireale, serie C1 (che rivenderà, senza guadagnarci una lira, a Vittorio Cecchi Gori); e l’anno dopo prova a prendersi il Catania, società gloriosa ma, da tempo, in crisi nera. Un buon affare, solo che Lucianone Gaucci arriva prima. Pulvirenti incassa la sconfitta, fa un passo indietro, si concentra su altro.

Così, quattro anni dopo, quando la famiglia Gaucci, travolta dai debiti, decide di vendere, Pulvirenti si siede davanti a Big Luciano con una forza economica sorprendente: 85 punti vendita in Sicilia dei discount Forté; due alberghi di lusso della catena Platinum Resorts a Mazzarò (Taormina); ristoranti a Palermo, Catania e Caltanissetta; progetti nel settore del petrolchimico e soprattutto, però, una nuova compagnia aerea low cost, dodici aerei in leasing, l’idea di portare gli isolani non solo su rotte italiane, ma anche in Spagna e Russia (operazione nata con la benedizione, diciamo così, di Luigi Crispino, pure lui catanese e reduce dal fallimento della Air Sicilia, la prima compagnia aerea siciliana).

«Ho fatto un sacco di cose e, come capita a molti imprenditori, anche più famosi di me, alcune sono andate bene e altre, come dire? meno bene. Sono i rischi di chi cerca di fare impresa, credo».

L’avventura nel calcio va magnificamente. Il Catania, tornato in serie A sei anni fa, è tra le pochissime società italiane con i bilanci in attivo: capitale di 25 milioni di euro e un centro sportivo a Torre del Grifo che vale 100 milioni (considerato tra i più belli d’Europa); in più la capacità — almeno finché c’era un dirigente come Pietro Lo Monaco — di guadagnare con l’industria calcio: acquistando sconosciuti calciatori sudamericani, valorizzandoli e, poi, rivendendoli (nei manuali del calciomercato la vendita di Martinez alla Juve per 12 milioni: era costato un quarto).

La domanda forte e banale, inevitabile e retorica, è questa: 500 lavoratori della Wind Jet e altri 800 dell’indotto rischiano il posto mentre lei sta rinnovando il contratto a Pablo Barrientos, delizioso attaccante argentino (500 mila euro a stagione): è giusto?

«È normale. Sono due società per azioni diverse, hanno vite e destini separati».

Entrambe le società sono però controllate dalla stessa holding, la Finaria.

«Vero, però va detto che il livello di indebitamento della Finaria, su un volume complessivo di quasi 400 milioni di affari, è di poco meno di 20 milioni... Quindi, i tifosi possono stare tranquilli».

I dipendenti della Wind Jet, e i 300 mila passeggeri rimasti a terra, un po’ meno.

«Gliel’ho detto: ho la coscienza tranquilla, è stata la trattativa con Alitalia a portarmi su una strada senza ritorno. Comunque non è il momento delle polemiche. Io, a questo punto, voglio, ho il dovere di salvare il salvabile».

Lucido, ragionevole, gentile con dosi di astuzia: la sensazione di un imprenditore che sta perdendo il controllo della sua compagnia aerea ma non i nervi.

Fabrizio Roncone