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 2012  luglio 05 Giovedì calendario

Non riuscivano ad ammazzarlo, bisognò sparargli in testa e buttarlo nel fiume

Corriere della Sera, 17 novembre 2005

Dal «dossier» con le deposizioni dei suoi amici e seguaci, nonché degli agenti di polizia che lo sorvegliavano, raccolte nel 1917 da una «Commissione straordinaria del governo provvisorio russo», emergono particolari assai contrastanti sulla leggendaria, enigmatica e controversa figura di Grigorij Rasputin che, con il suo potere, seppe influenzare la vita politica e sociale dell’ultima dinastia zarista, quella dei Romanov. Interesserebbe, credo, a molti lettori conoscere il suo parere sul «nostro amico», come nelle accorate lettere inviate al fronte allo zar Nicola II, la moglie Alessandra definiva Rasputin.

Giuseppe Latora

Caro Latora, il monaco Rasputin era un ciarlatano, un bugiardo, un millantatore, un ingordo mangiatore e bevitore. Ma aveva misteriosi poteri psicologici ed esercitava su alcune persone un fascino straordinario. Alto e robusto, aveva capelli arruffati, barba incolta e grandi occhi, accesi come tizzi di carbone. Il suo abito era la grande tonaca nera dei preti ortodossi, ma sdrucita e inzaccherata. Nella sua casa di Pietroburgo, accanto al canale della Fontanka, aveva aperto una specie di consultorio dove riceveva ogni giorno dozzine di persone, soprattutto donne, che gli chiedevano la guarigione, un figlio, il ritorno di un amore perduto, una gravidanza felice. Quando uscivano dalla sua stanza molte di esse raccontavano di essere state spogliate, toccate, violentate. Sembra che la sua potenza sessuale fosse pari alla sua insaziabile sete di vodka. La polizia lo conosceva, lo teneva d’occhio e non avrebbe esitato ad arrestarlo se Rasputin non avesse conquistato, sin dall’inizio del suo soggiorno a Pietroburgo, la totale fiducia della zarina. L’infatuazione di Alessandra Fëdorovna, moglie dell’imperatore Nicola II, cominciò il giorno in cui Rasputin fu chiamato al capezzale del giovane principe ereditario. Lo zarevic Alessio soffriva di una malattia «regale», l’emofilia, molto diffusa nelle dinastie europee tra Ottocento e Novecento. Un graffio, una puntura, un qualsiasi incidente provocavano emorragie che i medici stentavano a controllare. Durante una crisi Rasputin rimase accanto al ragazzo per alcune ore e gli raccontò alcune fiabe della tradizione popolare russa: il cavallo con la gobba, il cavaliere senza gambe e quello senza occhi, l’imperatrice infedele che diventa un’ anitra bianca, la strega Baba Jaga. Ne conquistò la fiducia, lo tranquillizzò, creò nel ragazzo una condizione psicologica che favorì l’arresto dell’emorragia. Da quel momento il guaritore divenne il servo padrone della famiglia imperiale. Alessandra era convinta che avesse poteri sovrannaturali, ascoltava attentamente i suoi consigli, si affidava a lui per la soluzione di qualsiasi problema, domestico o politico. A Pietroburgo si diffuse la convinzione che la zarina, una principessa di origine tedesca, fosse stata sedotta dal monaco e ne fosse divenuta l’amante. Dopo lo scoppio della guerra, le voci divennero ancora più insistenti. Si disse che Alessandra fosse una spia della sua vecchia patria e Rasputin un agente tedesco. Quando il monaco, in uno dei momenti cruciali del conflitto, consigliò a Nicola II di assumere direttamente il comando delle operazioni militari, molti videro in quella decisione il segno evidente della sua nefasta influenza sulla politica dell’Impero. Fu quello il momento in cui un gruppo di nobili, guidato dal principe Jusupov, decise di ucciderlo. Lo invitarono a un banchetto nella casa del principe (un piccolo palazzo barocco che sorge ancora sulle rive di un canale della Neva) e lo avvelenarono. Ma neppure il veleno riuscì a piegare la fibra di Rasputin. Fu necessario scaricargli addosso alcuni colpi di pistola, soffocarlo, buttarlo nel fiume. Alessandra e Nicola vollero che il suo cadavere venisse sepolto in un angolo del parco di Carskoe Selo, dove sorge il grande palazzo di Caterina disegnato da Bartolomeo Rastrelli. Ma dopo la rivoluzione alcuni soldati violarono la cappella, aprirono la bara, buttarono i resti del monaco su una pila di rami d’albero, li cosparsero di benzina e appiccarono il fuoco. Nella sua storia della Russia pubblicata da Bompiani, Nicolas Riasanovsky spiega che lo straordinario prestigio di Rasputin alla corte imperiale fu dovuto in buona parte alla credulità di Alessandra («una donna dalla mentalità ristretta, istericamente reazionaria») e soprattutto alla mediocre natura di Nicola II. Come ricorda Trotzky, continua Riasanovsky, «l’arcaico marcio sistema, ormai sul punto di crollare, non poteva produrre (...) un capo molto diverso da quell’inefficiente relitto del passato; o, se si preferisce far ricorso a un antico detto, gli dei accecano coloro che vogliono perdere».

Sergio Romano