5 luglio 2012
«Perché piaceva tanto alla famiglia Romanov il sinistro monaco e guaritore Rasputin? Be’, tanto per cominciare, guariva davvero»
Libero, 26 marzo 2011
«Perché piaceva tanto alla famiglia Romanov il sinistro monaco e guaritore Rasputin? Be’, tanto per cominciare, guariva davvero». Così scrive Paolo Brera, figlio del grande Gianni, nell’introduzione a Rasputin. Il Diavolo Santo di René Fülöp Miller (Odoya, pp. 334, euro 20). Il piccolo Aleksej, infatti, che pareva condannato dall’emofilia, si riprese grazie a sue presunte doti ipnotiche. Certo, Rasputin non amava il sapone, tuttavia si può pure capire che nella Russia pre-rivoluzionaria, ferma al Medioevo, il monaco siberiano dagli occhi magnetici potesse godere di un certo seguito nella corte zarista ormai al tramonto.Diavolo o santo quindi? Se lo chiede lo scrittore e psicologo tedesco Fülöp-Miller in questa dettagliata biografia pubblicata per la prima volta in Germania nel 1927. Rasputin era forse un diavolo, uno spirito violento dall’insaziabile appetito sessuale? O era un santo che sotto l’aspetto di rude contadino nascondeva doti mistiche ineguagliabili? Di certo, in gioventù si formò nel monastero di Vercho tur’e, un covo di settari, di religiosi eterodossi che in apparenza seguivano i dettami della Chiesa Ortodossa Russa, ma in segreto professavano ben altra fede. Un credo bizzarro e nazionalista che sosteneva che Dio si era incarnato infinite volte dopo Gesù e che aveva vissuto in mezzo al popolo sotto forma di un povero contadino. Quindi il Signore si manifestava preferibilmente nella Santa Madre Russia, la terra dei mistici e dei visionari. Gli uomini di Dio, spesso analfabeti, vaganti per i villaggi, diventavano per questa corrente di pensiero le vere incarnazioni della divinità.
E così anche Rasputin iniziò il suo pellegrinaggio fra le isbe della steppa, con i lunghi capelli raccolti alla maniera del Nazareno raffigurato nelle icone e l’immancabile barba profetica. Accanto alle virtù taumaturgiche, il giovane monaco, fra un’elemosina e un’altra, radunava attorno a sé un consistente numero di giovani devote. Alcuni dicono che, nella foresta, danzando attorno alla croce, si dedicasse a strani ed eterodossi riti che comprendevano, oltre alle preghiere tradizionali, carezze e amplessi con le seguaci. Un sabba in salsa ortodossa, mai suffragato però da documenti ufficiali, una vox populi ampiamente sfruttata dalla propaganda sovietica.
In realtà Rasputin, come tutti i settari e i mistici, aborriva il matrimonio, che interpretava come un legame che negava la vera libertà dell’uomo di Dio. L’immagine che davano molti pope sposati, ubriaconi e violenti, attaccati solo al denaro, portava molti giovani a seguire la via più rigorosa del monachesimo. Una via che attraeva molte ragazze devote, incuriosite dall’alone di santità che circondava gli starec, i monaci pellegrini e gli eremiti.
Quando il guaritore Rasputin entrò nella corte degli zar e cercò di dimostrare le sue doti di taumaturgo nei confronti del piccolo erede al trono, l’immenso impero russo era già sprofondato in una crisi irreversibile, assediato dalle forze rivoluzionarie che di lì a poco l’avrebbero distrutto. In un’atmosfera apocalittica da caduta degli dei, mistici, taumaturghi e ciarlatani avevano facile accesso nei palazzi del potere. Fra loro, l’imponente Rasputin. Si dice spesso che il monaco divenne uno dei consiglieri più ascoltati a corte. Il religioso contadino avrebbe influenzato in chiave reazionaria la politica zarista, accusavano i bolscevichi. In realtà gli ammonimenti di Rasputin rimasero in gran parte inascoltati. Conscio che è prima di tutto il popolo a soffrire in tempi di guerra, si schierò decisamente contro l’entrata della Russia nel primo conflitto mondiale. Invano. Si sa che da questa tragedia i comunisti trassero grandi vantaggi e in ultima analisi approfittarono della sconfitta per scatenare la rivoluzione. Una rivoluzione che forse, se lo Zar avesse ascoltato Rasputin, non sarebbe scoppiata. «La Russia è entrata in guerra contro la volontà di Dio», tuonava, «il castigo divino sarà terribile!».
Nella sua residenza di San Pietroburgo, Rasputin era marcato a vista dagli agenti segreti che annotavano, diligentemente, gli ingressi di personaggi famosi o sospetti: sacerdoti, nobildonne, attrici, prostitute, mogli di ufficiali, militari, zingari, cantanti, semplici ubriaconi. Dai rapporti della polizia politica apprendiamo che quando non rimaneva sveglio tutta la notte per bere e intrattenersi con le sue “ammiratrici”, Rasputin si alzava molto presto per andare a Messa e poi in mattinata riceveva sia i poveri sia gli amici (e soprattutto le amiche) potenti. Quotidiano il suo contatto con la zarina. Molte donne della bella società si donavano senza freni al monaco, convinte in tal modo di guadagnarsi la salvezza eterna. Intanto, mentre le male lingue diffondevano voci scandalistiche su di lui («superdotato»,«dedito a orge»), cresceva a dismisura l’odio per il«disgustoso contadino» che era riuscito ad affascinare i potenti di tutte le Russie. Invidia, disprezzo per il suo comportamento spregiudicato, paura: sentimenti che hanno portato al complotto di nobili che ne decretarono infine, nel 1916, la morte per avvelenamento. Una morte avvolta nel mistero, come la sua vita: il veleno non ebbe alcun effetto e i congiurati si trovarono costretti a sparargli in fronte. Di certo però, se il “diavolo santo” fosse sopravvissuto al complotto aristocratico, ben difficilmente si sarebbe salvato, se non scappando, dal ciclone della rivoluzione d’Ottobre.
La sua fama fu tale che, già l’anno successivo la scomparsa, uscì un film dal titolo Rasputin, the blackmonk, il primo di una lunga serie. E oggi in Russia, lontano dai centri commerciali in salsa yankee delle grandi città, sono ancora tanti i giovani che seguono le orme di Rasputin: monaci, guaritori, mistici che nelle campagne accompagnano ancora il cammino dei più poveri. Il verbo del monaco siberiano continua a risuonare nei villaggi fedeli alla tradizione spirituale slava.
Andrea Colombo