18 luglio 1978
Giorgio Amendola: con Pertini non ho fatto che litigare
Panorama, 18 luglio 1978
Giorgio Amendola non ne aveva fatto mistero fin dall’inizio della battaglia presidenziale: sarebbe stato lieto di cedere la sua posizione di candidato di bandiera del Pci a un candidato unitario, in particolare a Sandro Pertini. Quando Pertini è stato eletto, Amendola non si è smentito e ha commentato ricordando un episodio del periodo della clandestinità nella Roma occupata dai nazisti: «Vivevamo in tre in una stanza, Pertini, Riccardo Bauer e io, e c’era un solo letto a due piazze. Ero il più giovane e toccava a me arrangiarmi alla meglio. Ma avevo la bronchite e Pertini non lo permise. Insistette tanto che alla fine io dormii nel letto e lui a terra. Ora sono contento di restituirgli, in qualche modo, quel favore». La generosità è la prima caratteristica del nuovo presidente della Repubblica che viene messa in luce da Amendola al quale Panorama ha rivolto alcune domande sui suoi rapporti con Pertini.Lei aveva conosciuto Pertini già prima del periodo clandestino di Roma?
«Molto prima. Lo conobbi a Cannes nel 1927. Ero andato per traslare la salma di mio padre e Pertini venne da Nizza dove si era rifugiato e faceva il manovale. Allora non ero ancora comunista e non ero socialista, mi definivo gobettiano, in pratica ero nell’anticamera di quello che sarebbe stato prima il movimento di Giustizia e libertà e poi il Partito d’azione. Ed ero molto critico verso il partito socialista. Un po’ lo sottovalutavo, un po’ gli addebitavo molte colpe della sconfitta nei confronti del fascismo. E questo era anche l’atteggiamento dei socialisti; vergognosi della disfatta».
Pertini?
«Trovai in lui il primo socialista che non si vergognava di esserlo. Anzi era orgoglioso di esserlo, pur criticando errori e vecchie tare del suo partito».
Cosa in particolare?
«Criticava l’assenteismo del partito socialista dal paese. Sentiva che il centro della lotta era l’Italia. Infatti non mi incoraggiò a prendere la via dell’esilio. E lui stesso si comportò coerentemente».
Cioè...
«Fu il primo a organizzare una rete clandestina in Italia. E fu arrestato».
Infatti vi ritrovaste nel confino di Ponza...
«Nel ’35. E trovai un Pertini socialista appassionato. Il suo cruccio era di vedere quanti pochi socialisti venissero arrestati. A ogni arrivo del vaporetto che portava i nuovi confinati lui sperava che ci fosse qualche compagno del suo partito. Invece erano quasi tutti comunisti. Io lo confortavo dicendo che i socialisti lavoravano bene e perciò non venivano presi. Ma lui lo prendeva come uno sfottò e si arrabbiava. Ma io dicevo sul serio: la vecchia base socialista non considerava produttiva la lotta clandestina, ma rimaneva una forza notevole e lo si vide poi alle prime elezioni dopo la Liberazione».
Come passava il tempo al confino?
«Studio, passeggiate, discussioni. Si creò una solidarietà addirittura commovente. Ricorderò sempre la tenerezza con cui Pertini, ma non solo lui, seguì il mio dramma quando mia figlia di 10 mesi (mi ero sposato lì a Ponza) fu colpita da una brutta enterite e stava per morire...».
Lei andò via da Ponza prima degli altri...
«Sì. Su direttiva del partito chiesi la sospensione della pena per buona condotta. Poi con la Liberazione le autorità decisero di rilasciare prima i socialisti, mentre i comunisti rimanevano in carcere. E Pertini non voleva saperne di partire mentre gli altri compagni restavano a Ponza, l’atteggiamento dettato da affetto, ma anche da emulazione, da orgoglio di partito». In che senso? «Pertini è stato sempre unitario ma ha sempre tenuto che il Partito socialista avesse un suo ruolo nell’unità. Tanto è vero che si oppose alle liste uniche della sinistra per le elezioni del ’48».
Liste che poi si fecero...
«Si fecero su richiesta dei dirigenti socialisti (Nenni, Basso, Morandi) e che Togliatti accettò con riluttanza».
Perche?
«Temeva come Pertini che in quel modo molti voti socialisti finissero alla lista socialdemocratica. Ed ebbero ragione loro».
Dopo Ponza vi ritrovaste a Roma.
«E fu subito una litigata tremenda. Ci incontrammo in via Po e Pertini subito mi investì: criticava la svolta di Salerno voluta da Togliatti».
Cioè l’ingresso delle sinistre nel governo Badoglio.
«Esatto. Pertini diceva: “È la rinuncia alla Repubblica”. E urlava. Urlavo anch’io. A un certo punto ci raggiunse Bruno Buozzi, sindacalista e ci apostrofò: “Siete impazziti, vi si sente a un chilometro di distanza, finirete per farvi arrestare”. Poi si informò del motivo della baruffa e mi diede ragione. Pertini non perse l’occasione: “Vedi, voi comunisti vi trovate d’accordo coi riformisti». In realtà Buozzi voleva solo raccomandarci prudenza. E poi proprio lui fu preso dai nazisti poco dopo e trucidato».
Le vostre strade si incontrarono poi anche al nord.
«Ritrovai Pertini a Milano nel giugno del ’46. Appena mi vide disse: “Sono contento che anche tu sia qui, noi due non siamo fatti per fare i ministri a Roma”. E così è stato. Non è una lode perché i ministri sono necessari ma Pertini non ha mai fatto il ministro benché il suo partito sia stato al governo».
Niente più litigi, allora?
«Litigi continui, invece. Pertini mi accusava di preferire i rapporti con le brigate partigiane di Giustizia e libertà anziché con le formazioni Matteotti, socialiste. E lodava Longo che faceva il contrario. Ma sempre in un rapporto affettuoso. In occasione di un viaggio clandestino in macchina da Torino a Roma conobbi Carla, la moglie di Pertini. Pensai subito che anche lui aveva seguito la tendenza degli ex-carcerati di trovarsi rapidamente una donna giovane e coraggiosa».
Che ora è diventata la prima donna della Repubblica…
«Una vecchia militante operaia che saprà svolgere il suo ruolo con semplicità e riservatezza».
E Pertini, che presidente sarà?
«Negli ultimi anni i rapporti tra Pd e Psi hanno avuto vicende alterne. Ma anche nei momenti di maggiore tensione Pertini ha mantenuto un atteggiamento autonomo e unitario. Paolo Spriano ha scritto di recente che Pertini è un socialista scomodo. Mi auguro che sia anche un presidente scomodo. Anzi sono sicuro che saprà esserlo».
Pasquale Nonno