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 1978  agosto 09 Mercoledì calendario

Epoca, 9 agosto 1978Roma, agostoNei giorni che seguirono l’elezione di Sandro Pertini alla presidenza della Repubblica accadde un fatto inconsueto: ogni mattina giungevano al Quirinale centinaia di lettere

Epoca, 9 agosto 1978

Roma, agosto
Nei giorni che seguirono l’elezione di Sandro Pertini alla presidenza della Repubblica accadde un fatto inconsueto: ogni mattina giungevano al Quirinale centinaia di lettere. La maggior parte era stata spedita da cittadini qualunque, i quali si congratulavano con il nuovo presidente per la sua «pulizia morale». Pertini le ha lette tutte ma si è rifiutato di renderne noto il contenuto. Ha fatto dire che non gradiva «gli squilli di tromba», comunque preferiva incominciare il settennato «un po’ sotto tono».
In realtà sta accadendo il contrario. Il settennato di Sandro Pertini è iniziato con una serie di novità. In apparenza sembrano piccolezze, particolari, eppure bastano per dare la misura di uno stile diverso. Come ha già dimostrato quando era presidente della Camera dei deputati, Pertini non ama le pompe della carica che ricopre. Lo si era capito subito quando tenne il discorso dell’investitura presidenziale davanti al Parlamento. Il linguaggio era lucido, scarno, privo di fumisterie e di ogni accento retorico.
Il Quirinale è un’immensa costruzione di quasi 2000 stanze. Per quattro secoli ha ospitato papi, re, capi di Stato e due volte è stato trasformato in ospedale. La famiglia dell’ex presidente Leone vi occupava un alloggio di circa 600 metri quadrati. Pertini si è fatto assegnare una piccola foresteria: «una stanza», precisa un funzionario, «non più larga di tre metri, e un bagno». Assieme alla saletta da pranzo, con soltanto un tavolo e quattro sedie, in cui fa colazione a mezzogiorno, è quanto si è ritagliato per le esigenze personali di Pertini nella sterminata topografia del palazzo.
Dicono i funzionari del Quirinale che nella loro carriera hanno assistito a parecchi «traslochi» presidenziali: «Pertini è entrato qui dentro con grande discrezione rispettando le cose e le persone. Ma si sbaglierebbe chi pensasse che è rimasto intimidito da quest’ambiente nuovo per lui. Mostra di sentire come pochi la dignità della carica che ricopre». In pratica Pertini non ha fatto cambiamenti di rilievo, anzi non ha mutato nulla. Il suo studio è quello che già occupava Giovanni Leone: «Non ha tolto nemmeno il Crocifisso dalla parete; si è limitato a fare collocare nella stanza un busto in bronzo di sua moglie Carla e a mettere sulla scrivania una fotografia di famiglia con la cornice d’argento».
Con sé ha portato soltanto quattro persone: i suoi segretari Francesco Gregorio e Diana Ruggi, l’ex segretario generale della Camera dei deputati Antonio Maccanico e il capo del servizio stampa Antonio Ghirelli. Napoletano, studente alla Normale di Pisa, arrestato nel 1943 dalla polizia per propaganda antifascista, Maccanico dice: «Ho la ventura di vivere due esperienze fondamentali nella storia del nostro paese in questi ultimi anni: essere segretario generale della Camera quando vi è giunto Pietro Ingrao, il primo presidente comunista, ed essere segretario generale del Quirinale al seguito del primo presidente della Repubblica socialista».
Ghirelli, anche lui napoletano, è il primo giornalista professionista chiamato a un incarico così delicato. È stato partigiano, ha lavorato all’Unità, a Paese Sera, poi ha diretto Il corriere delle sport, Il globo e Il mondo. Abbandonato il Partito comunista nel novembre del 1956 dopo i fatti di Ungheria, ha scritto su Il Ponte, la rivista di Piero Calamandrei, un saggio intitolato Il punto del dissenso. «In esso», spiega, «ponevo allora le domande che oggi pone l’eurocomunismo, quello dello spagnolo Carrillo, non di Berlinguer o di Marchais».
Pertini aveva incontrato Ghirelli soltanto un paio di volte. Ma pensò subito a lui quando venne il momento di scegliere il capo del suo ufficio stampa. «È un buon giornalista», disse, «ha scritto dei libri; poi si occupa di sport il che non guasta». È prevedibile che toccherà a Ghirelli accompagnarlo la domenica allo stadio Olimpico per assistere alle partite di calcio.
Sul conto del nuovo presidente circola già al Quirinale un’aneddotica abbondante. La prima volta che Pertini ha fatto colazione nel Palazzo rinunciando a recarsi nella sua casa nei pressi della fontana di Trevi anche per l’intervallo di mezzogiorno, il vicesegretario generale, Giovanni Viola gli ha proposto le trenette al pesto. «Guardi», ha osservato il presidente, «che è un piatto impegnativo. Lei si espone molto». Alla fine della colazione Pertini ha convenuto che le trenette erano buone, buonissime: «Così non ne avevo mai mangiate nemmeno in Liguria». Poi ha voluto congratularsi con Nibbi, Pacifici e De Cesare, i tre cuochi di Amatrice, scelti personalmente dal gastronomo Carnacina per le cucine del Quirinale.
Pertini ha deciso di non pernottare al Quirinale, assecondando la moglie che non ha voluto rinunciare alla sua vita privata e al lavoro di psicologo all’ambulatorio del reparto tossicodipendenti del Policlinico Gemelli di Roma. Tutto questo ha posto delicati problemi per la polizia incaricata di vigilare sulla sicurezza del presidente. Pertini mostra di non farci caso: «Non voglio e non posso», ha detto ai collaboratori, «sentirmi prigioniero del cerimoniale». La sua avversione per le formalità più inutili l’ha indotto a prendere subito un provvedimento che ha soddisfatto i 185 carabinieri dello Squadrone guardie del presidente della Repubblica, i corazzieri, che montano cavalli dagli zoccoli gommati per essere più silenziosi sull’asfalto. Il loro servizio è impegnativo, spesso gravoso; fra l’altro devono recarsi due volte la settimana al poligono di tiro per allenarsi a sparare e non devono mai abbandonare il Quirinale. Pertini ha deciso, però, che di notte è sufficiente la presenza di un solo corazziere. Il regolamento è rispettato, ma gli altri possono godere di una maggiore libertà.
Il presidente della Repubblica osserva un rigoroso orario di lavoro. Arriva «in ufficio» alle otto e un quarto del mattino. Subito si reca nel suo studio dove per un’ora legge i giornali. Poi chiama i collaboratori diretti e incomincia la vera e propria attività della giornata. Fa colazione all’una in punto nella piccola stanza che si è scelto. «Se invece vi sono degli ospiti», spiegano, «fa apparecchiare nella sala delle colonne. Pertini non è esigente: «Riso saltato, pesce e, poiché è astemio, niente vino. Sorseggia soltanto un bicchiere di acqua minerale, ma non quella della Madonna di Castellammare che era stata una fornitura richiesta dai Leone». Dopo colazione trae qualche boccata dalla pipa che ha prescelto per quella giornata fra le duecento di cui si compone la sua collezione, quindi va a riposare per un’ora nella piccola foresteria. Alle tre e mezzo è di nuovo alla scrivania. Alle otto di sera «stacca» e fa ritorno nella sua abitazione privata.
Subito dopo l’elezione di Pertini, al Quirinale vi è stato qualche imbarazzo per questo «presidente pendolare» che non ama la solennità. Ma col passare dei giorni molti hanno incominciato ad adattarsi. «Pertini è un uomo semplice», dicono, «ma ha un alto senso della sua magistratura. Viene al Quirinale per svolgere minuziosamente il suo lavoro. Il resto della giornata gli appartiene per intero. Non vi è nulla da eccepire, anche se fino a qualche tempo fa qui vigevano regole e abitudini diverse».
Il nuovo stile instaurato al Quirinale non riguarda soltanto la forma. «Pertini ha introdotto criteri di austerità non giacobini, ma di puntigliosa amministrazione. La sua opinione è che l’abolizione di ogni spreco deve incominciare proprio dal piccolo ménage del Quirinale». Quanto alla sostanza dell’attività presidenziale, si fa notare come i primi incontri che Pertini ha avuto con il corpo diplomatico, con i rappresentanti dei giornalisti e con i sindacalisti non si siano risolti nella solita cornice fastosa ed evasiva «al limite della banalità», ma abbiano costituito un’occasione «per discutere problemi importanti in termini pratici».
Con i diplomatici, il presidente si è intrattenuto mettendo soprattutto l’accento sul tema dei diritti umani e degli accordi di Helsinki. Con i giornalisti ha parlato della riforma dell’editoria e del settore radiotelevisivo, «mostrando un grande interesse per la difesa della libertà di stampa e della libertà di antenna delle emittenti private». Con i sindacalisti ha approfondito l’argomento della disoccupazione giovanile. «È convinto che il terrorismo peschi proprio nella disperazione dei ragazzi, ai quali va assicurata una prospettiva di lavoro, magari a scapito delle rivendicazioni salariali di quanti sono già occupati». Pertini ha trattato gli stessi argomenti con il presidente della Confindustria, Guido Carli. Gli ha prospettato «la necessità di avviare una politica di unità nazionale anche per risolvere i problemi economici in un clima di collaborazione tra la classe degli imprenditori e quella operaia». Quando ha ricevuto Taviani, Agnoletti e Boldrini, rappresentanti delle associazioni partigiane, ha affrontato l’argomento che lo preoccupa maggiormente, quello del terrorismo, «al quale bisogna opporsi nel nome della resistenza».
È così che, passo passo, Pertini va definendo le caratteristiche della sua presidenza. «La prima sensazione è che attorno a lui sia maturata un’atmosfera di grande simpatia», dicono al Quirinale.
«E questo giova innegabilmente alle istituzioni che hanno bisogno di una ventata di aria fresca. Si ha anche l’impressione che egli stia instaurando un rapporto straordinariamente vivo, soprattutto con i giovani». Si racconta che qualche giorno fa Alighiero Noschese ha ottenuto un travolgente successo in Versilia, davanti a un pubblico in prevalenza di giovani, con una imitazione di Pertini.
Fra Pertini e Noschese vi è un’amicizia sbocciata nel dicembre 1971 quando il Parlamento stava per eleggere Giovanni Leone alla presidenza della Repubblica. Allora, Pertini era presidente della Camera ed era suo compito leggere ad alta voce davanti all’assemblea l’esito degli scrutini. Tra le schede deposte nell’urna dai deputati, alcune recavano il nome di Noschese scritto da qualche parlamentare in vena di fare dello spirito. Pertini aveva preferito tirare via, annunciando semplicemente che erano nulle. Poi però scrisse una breve lettera a Noschese nella quale lo informava che il suo nome era compreso tra quelli «candidati» alla presidenza della Repubblica. Aveva evitato di pronunciarlo non perché era un attore, «una categoria alla quale va tutta la mia stima», ma solo perché Noschese non aveva ancora compiuto i cinquant’anni, l’età minima per essere eletti.
Quando è toccato a Pertini di essere eletto presidente, Noschese ha comperato una pipa e ne ha fatto sul palcoscenico una affettuosa imitazione che si concludeva con un: «Viva l’Italia, viva la Repubblica, viva il Savona in serie A». Pare che gli applausi siano durati ben diciotto minuti.
Pertini è da sempre un personaggio composito, ricco di sfumature, qualche volta bizzarro e imprevedibile. È tipico del suo carattere puntiglioso tirare una netta linea di demarcazione tra gli aspetti pubblici della carica e quelli della vita privata.
Si rifiuta di fare pagare allo Stato le spese che ritiene di sua esclusiva competenza; ha acquistato personalmente il biglietto dell’aereo che sabato 29 luglio l’ha portato da Roma a Genova, da dove si è recato in macchina a Stella, il suo paese natale, in provincia di Savona per deporre tre mazzi di garofani rossi sulla tomba di famiglia. Ha preteso di pagare di tasca propria anche i fiori che gli erano stati portati da un funzionario: 18.800 lire, e una telefonata al Quirinale, 5.000 lire, fatta dal telefono pubblico di Stella per assicurarsi che fosse stato recapitato in tempo il telegramma di congratulazioni all’onorevole Piccoli, appena eletto presidente del Consiglio nazionale della Dc.
Una cosa analoga era accaduta una settimana prima quando la madre del presidente Carter, giunta a Roma, si era recata al Quirinale per incontrarlo e gli aveva portato in omaggio una pipa. Secondo il protocollo del Palazzo Pertini avrebbe dovuto contraccambiare con un libro d’arte. Ma al presidente era sembrata una soluzione banale. Al dottor Giovanni Viola aveva detto: «Voglio un regalo femminile, me lo procuri a suo discernimento, per favore». Il dottor Viola gli aveva portato un bel cammeo. Ma Pertini non era soddisfatto: «Forse sarebbe meglio uno scialle». Il presidente non era ancora a conoscenza che per gli omaggi agli ospiti del Quirinale, che non siano capi di Stato, il protocollo prevede un limite nella spesa. Il giorno dopo, quando è venuto a sapere che per acquistare lo scialle destinato alla signora Carter, questo limite era stato superato, Pertini ha fatto chiamare il funzionario incaricato dell’acquisto. «Siamo in rosso», gli ha detto. «Mi vuoi dire di quanto?». Il funzionario era confuso. «Di 45 mila lire, signor presidente.» Pertini ha estratto dal portafoglio una banconota di 50 mila lire. «Ecco qua. Mi vuoi dare per favore le cinquemila lire di resto?».
Il gesto più significativo l’ha compiuto il 28 luglio. In risposta al signor Ugo Mucci che aveva scritto al Settimanale per conoscere il patrimonio personale del capo dello Stato all’inizio del suo settennato, ha mandato a Giuseppe Dell’Ongaro, direttore del periodico, una lettera nella quale sono specificati tutti i suoi redditi e le sue proprietà: la pensione di giornalista, l’appannaggio di presidente della Repubblica, un appartamento intestato alla moglie nella cooperativa dei deputati, situato a Roma in via Cristoforo Colombo 179. «Inoltre parecchi anni fa quando la differenza tra il franco e la lira era soltanto di due o tre punti, acquistai un miniappartamento in un caseggiato della piccola borghesia a Nizza Marittima». L’acquisto di tale appartamento, ha precisato Pertini, è stata una rivincita che ho voluto prendermi sul mio destino. Non mi costò più di cinque milioni».
Durante il fascismo Pertini dovette fuggire in Francia, proprio a Nizza Marittima dove per vivere fu costretto a fare il muratore. «Di qui», continua la lettera, «il mio desiderio di volere passare qualche giorno in vacanza, tranquillamente, in questo piccolo pied-à-terre, frequentando antichi compagni di esilio». Questi redditi e queste proprietà sono stati denunciati regolarmente all’esattoria di Savona. «Se il signor Mucci non ne è convinto sono pronto a pagargli il viaggio facendolo accompagnare dal mio segretario affinché accerti con i suoi occhi quanto ho dichiarato».
Pertini è un signore di vecchio stampo di cui sembrava si fosse perduta perfino la memoria. Il suo è un modo nuovo, affabile e sincero, di intendere i rapporti fra i cittadini e il potere. Quando ha ricevuto il corpo diplomatico accreditato presso il Quirinale gli hanno detto: «Più che un presidente della Repubblica, lei è sembrato un re svedese». Sono in molti a pensare che lo stile di questo settennato verrà ricordato a lungo.


Piero Fortuna