Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  giugno 25 Lunedì calendario

Il nuovo presidente egiziano si chiama Mohamed Morsi, ed è stato candidato dagli islamisti riuniti nel partito dei Fratelli musulmani

Il nuovo presidente egiziano si chiama Mohamed Morsi, ed è stato candidato dagli islamisti riuniti nel partito dei Fratelli musulmani. Ha preso il 51,7% dei voti. Il suo avversario era Ahmed Shafiq, uomo dei tempi di Mubarak, di cui era stato anche presidente del Consiglio. I sostenitori di Morsi hanno riempito a migliaia la piazza Tahrir per festeggiare il loro uomo. I seguaci di Shafiq si sono dati appuntamento a Nasr City, un altro distretto del Cairo. Ma si sono presentati in appena duemila e la polizia li ha tenuti a bada avvertendo che «questa volta non scherzeremo».

 

Forse, prima di addentrarci nei vari significati, converrà dire qualcosa su questo Morsi.

Intanto non era lui il vero candidato dei Fratelli, che avrebbero voluto portare alla presidenza Khairat Saad el-Shater, riccone di 62 anni (mobili e tessuti di lusso) che deve avere avuto un qualche ruolo nell’assassinio di Sadat: dopo quell’attentato (1981) scappò a Londra. Adesso la commissione elettorale gli ha impedito di partecipare e al voto è stato invece ammesso questo Morsi, un ingegnere di 61 anni che ha passato molti anni negli Stati Uniti per specializzarsi. Morsi ha fatto finora discorsi abbastanza moderati. Per esempio, lunedì scorso, quando s’è autoproclamato vincitore nonostante i risultati non fossero ancora noti (e mentre anche Shafiq teneva conferenze stampa in cui sosteneva di essere lui il prescelto): «Un saluto di pace anche a quelli che non hanno votato per me. Sono tutti figli dell’Egitto e siamo tutti fratelli egiziani». Ha persino salutato i copti, cioè i cristiani d’Egitto che vengono ciclicamente massacrati dagli islamisti. Ieri, dopo l’annuncio della vittoria, il suo portavoce ha detto: «Siamo arrivati a questo momento grazie al sangue versato dai martiri della rivoluzione. L’Egitto inizierà una nuova fase della sua storia». Una frase che potrebbe inquietarci. E tuttavia Morsi ha anche promesso che l’Egitto non sarà trasformato in una teocrazia e che le altre religioni saranno rispettate.

Quindi possiamo stare tranquilli?

Non troppo, però. Morsi ha anche detto che l’Islam avrà una parte centrale nel suo governo. E inoltre: sostegno ai palestinesi «nella loro legittima lotta» e fine del rapporto di subordinazione agli Stati Uniti. All’annuncio della sua elezione quelli di Hamas a Gaza hanno fatto festa. Nei territori, la vittoria di Morsi è vista come un rafforzamento della lotta contro Israele. Da Tel Aviv, finora, non è arrivato nessun commento. Ricordiamo che Mubarak, schierato di fatto con gli americani che hanno riempito il paese di soldi (quasi tutti ingurgitati dalla cricca al potere, naturalmente), era per Israele un punto d’appoggio o almeno un retroterra tranquillo. Si potrà dire la stessa cosa adesso?

Si potrà?

È presto per far previsioni. L’aria è che i militari abbiano fatto vincere Morsi al termine di una dura trattativa.

I militari «hanno fatto vincere»? Morsi non è stato regolarmente eletto?

Ci sono talmente tanti indizi, che potremmo quasi dire di essere in possesso di una prova. I risultati erano già pronti lunedì notte 18 giugno. Ma la Commissione elettorale ha subito annunciato che prima di giovedì 21 giugno non sarebbe stato possibile renderli noti: c’erano troppi ricorsi dell’uno e dell’altro candidato contro brogli veri o presunti. Ora, lei capisce che la Commissione elettorale, con in mano questi brogli, aveva un’ottima arma per far vincere questo o quello. I militari avevano appena sciolto il Parlamento, appoggiandosi a una sentenza dei giudici costituzionali (tutti uomini di Mubarak) in base alla quale la legge elettorale era illegale. Nel parlamento gli islamisti avevano la maggioranza dei due terzi (elezioni dello scorso autunno). Inoltre, un’ora dopo la chiusura delle urne, domenica 17, la Giunta ha pubblicato una dichiarazione costituzionale in cui dava a se stessa il potere di formare una nuova Assemblea costituente. Nella stessa dichiarazione le deleghe assegnate al futuro presidente (o rais) erano drasticamente ridotte. L’avvertimento implicito in questo colpo di stato era chiaro: ti facciamo anche vincere, ma non permetteremo che comandi troppo. Morsi deve avere accettato il compromesso, anche se farlo perdere a questo punto avrebbe potuto scatenare una guerra civile. D’altra parte, Shafiq – l’uomo di Mubarak - sarebbe stato un balzo indietro esagerato. Persino l’ “Economist” aveva giudicato la sua candidatura «indecent».

A proposito, Mubarak è vivo o morto?

Martedì scorso era morto, mercoledì è stato resuscitato. È un altro elemento di cui i generali si servono per tenere in bilico la situazione. È vero che il nuovo presidente Morsi non vuole più gli americani. Ma ha anche promesso di ridurre la disoccupazione fino al 7%. E vuole abbassare il tasso d’inflazione. E vuole ridurre l’indebitamento pubblico. E vuole aiutare gli egiziani poveri aumentando del 2% le tasse. Avrà bisogno anche lui di denaro e di investimenti. E magari, guarda un po’, si tratterà proprio di dollari…


[Giorgio Dell’Arti, La Gazzetta dello Sport 25 giugno 2012]