24 giugno 2012
Tags : Regina Vittoria
Tutti gli uomini di Vittoria, cioè il principe Albert, lord Melbourne, Disraeli, John Brown, Abdul Karim: una fiction tv sulla regina Vittoria (interpretata da Scarlett Coldstream per Vittoria bambina, Verity Hewlitt per Vittoria giovane, Jenifer Armitage per Vittoria vecchia)
La Stampa, 4 giugno 2008
Nell’Inghilterra vittoriana persino le gambe dei tavoli erano considerate troppo sexy e venivano coperte da pudiche tovaglie. Alle mogli veniva detto che dovevano comportarsi come la loro sovrana: essere devote al marito, non esibire il corpo e fare figli. Ma la regina Vittoria era molto lontana dal tipo di virtuosa moralità che ancora oggi porta il suo nome. Anzi, secondo una fiction che lunedì prossimo andrà in onda su «Channel 4», aveva il problema opposto: le piaceva fare sesso in continuazione. Per non negarselo, sfinì il marito Albert ed ebbe come amanti due premier e due domestici, e probabilmente ne sposò in segreto uno.L’impertinente programma si intitola «Queen Victoria’s men» (Gli uomini della regina Vittoria) e forse sarebbe stato davvero troppo intitolarlo «Victoria’s secrets», come la marca di lingerie più cliccata sul web. Le scappatelle di Vittoria erano note agli storici, ma per molti inglesi, la cui principale fonte di informazione è la tv, sarà una sorpresa vedere distrutto un mito di rettitudine domestica, un esempio matriarcale per decenni inutilmente indicato dalle madri alle figlie.
Se Sigmund Freud avesse potuto avere Vittoria sul suo divano, avrebbe capito che la colpa di tutto era, come sempre, dei genitori. Il padre, il Duca di Kent, morì quando lei aveva otto mesi, e l’odiata madre la costrinse a condividere il suo letto di Kensington Palace fino all’età di 18 anni, che compì nel 1837. Diventata regina pochi mesi dopo a causa della morte dello zio Guglielmo IV, Vittoria esiliò la madre a Belgravia e cominciò da subito a cercare quello che fino ad allora le era più mancato: una figura paterna. La trovò nel premier Lord Melbourne, un cinico reazionario che le svelò i segreti della politica e degli affari di stato, senza risparmiare alla giovanissima sovrana - osserva lo storico Tristram Hunt - le attenzioni della sua «active libido». Insomma, il premier ci provava anche con la regina, che lo trovava arguto e mondano, e si prese una cotta.
Ovviamente era inconcepibile un matrimonio con Melbourne, il quale anzi favorì l’unione di Vittoria con il cugino Albert. Ma fu proprio a Melbourne che la regina scrisse - senza alcun imbarazzo vittoriano - per descrivere le meraviglie della sua prima notte di nozze: «E’ stata una esperienza stupefacente. Non ho mai trascorso una serata così intensa. Il suo amore mi ha dato la sensazione di stare in paradiso. Mi ha preso tra le sue braccia e ci siamo baciati, ancora e ancora». Nove mesi dopo nacque il primo di nove figli, partoriti uno dietro l’altro, che divennero l’esempio della famiglia vittoriana dell’epoca, mentre erano stati solo l’inevitabile conseguenza di un piacere fisico continuamente ricercato. Vittoria non amò davvero nessuno dei suoi bambini, men che meno Bertie, il primo maschio, l’erede al trono. Ci fu un momento in cui a palazzo c’erano nove bambini al disotto dei 15 anni e una delle principali preoccupazioni della coppia fu quella di installare un meccanismo ai bordi del letto che consentisse di bloccare la porta della camera quando necessario, in modo da evitare che qualcuno dei figli scoprisse i genitori in posizioni difficilmente spiegabili.
Quando l’amato Albert se ne andò, a poco più di 40 anni, Vittoria entrò in depressione. Dormiva con un calco della sua mano nel letto e faceva riempire tutte le mattine di acqua calda il suo catino per la barba, come fosse ancora vivo.
Isterica e incapace di pensare alle questioni di governo, la regina avrebbe davvero avuto bisogno di Freud, che qualche anno dopo consiglierà alle donne nella sua condizione di allentare il corsetto per respirare meglio e concedersi un po’ di intimo svago. Ma qualcuno intuì la soluzione, perché dal castello di Balmoral le venne portato a Londra John Brown, l’ex valletto scozzese del marito. Brown era un selvaggio spesso ubriaco, ma divenne il cameriere personale di Vittoria, che se ne invaghì. La gente lo chiamava lo «stallone della regina», la quale per i repubblicani era ormai diventata «la signora John Brown». A Vittoria poco importava. Confessava che Brown le ricordava molto il marito, ma certo non doveva essere per le capacità intellettive, così radicalmente diverse.
Durante la relazione con Brown, Vittoria restò incantata da un altro premier, Disraeli, l’uomo delle guerre coloniali, ma anche quello che cominciò a liberare adulti e bambini dalle atroci condizioni di vita e di lavoro che Charles Dickens descriveva nei suoi romanzi. Lui le inviava poesie erotiche, lei lo riempiva di regali e di occhiate innamorate.
Il suo ultimo amore, a 68 anni, fu Abdul Karim, un affascinante, giovane indiano arrivato a corte sulla scia della moda orientale del momento. Vittoria sognava di passare i suoi ultimi anni in India, che considerava il vero paradiso. Ma Karim si rivelò essere una specie di agente segreto, una volgare spia che aveva carpito la fiducia di una influente e anziana, anche se insaziabile, signora.
Poco prima di morire, Vittoria lasciò istruzioni per la composizione del suo corpo nella bara. Avrebbero dovuto vestirla con l’abito nuziale e metterle accanto da una parte il calco della mano di Albert, dall’altra una ciocca di capelli e una fotografia di John Brown. Recentemente si è scoperto che l’anello che Vittoria portava al dito era quello della madre di Brown, cosa che - insieme alla testimonianza di un prete ciarliero - ha fatto ritenere che i due si fossero segretamente sposati.
Questa è stata Vittoria, la regina ufficialmente chiusa a ogni piacere e ogni divertimento, che ancora ci guarda severa dalla sua statua di fronte a Buckingham Palace. In fondo, l’essenza del vittorianesimo non fu tanto la proibizione delle cose. Tutto era lecito, per la regina e per i suoi sudditi, purché non fosse esibito e non danneggiasse altre persone. E, quasi due secoli dopo, l’Inghilterra è ancora così.
Vittorio Sabadin