20 gennaio 1901
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La famosa conferenza al Collegio Romano del Duca degli Abruzzi e del capitano Umberto Cagni sulla spedizione al Polo Nord della
L’Illustrazione italiana 20 gennaio 1901
«Ben a ragione il prof. Dalla Vedova, presidente della Società Geografica italiana, nel suo breve discorso che precedette la conferenza di S.A.R. il Duca degli Abruzzi, poneva in rilievo come durante i trentacinque anni di esistenza della società, nessuna seduta fosse apparsa così augusta ed importante come quella in cui venivan narrate dal capo della prima spedizione polare italiana, le avventurose vicende e le gloriose conquiste della spedizione stessa. L’ampia sala del Collegio Romano era infatti d’una folla composta del fior fiore della scienza e della nobiltà, di quanto di più eletto contano le lettere, le arti, le cariche sociali; di una folla avida di sentire la parola del Principe coraggioso, e che rappresentava la centesima parte di tutti coloro che alla conferenza avrebbero voluto assistere. In nessuna occasione, io credo, la lotta per arrivare all’agognato possesso di un biglietto raggiunse le epiche proporzioni di quella volta; né v’è stato mai uomo che in pochi giorni abbia subito un assedio più ostinato di quello cui ha dovuto sostenere il presidente della Società Geografica.«Il grande salone del Collegio Romano era stato assai bene ornato con trofei di bandiere, di stemmi, di stendardi, sui quali spiccavano i nomi dei più grandi esploratori delle regioni polari; nel mezzo di una delle pareti maggiori, sotto un baldacchino sormontato dalla corona reale, stava scritto a lettere d’oro: - 1900 - Luigi di Savoia - Lat. 86°, 33’ Nord - e più in basso, su di un arazzo, erano riportati i nomi di - Caboto - Verrazzano - Malaspina - Bove - Parent. Nel fondo della sala, l’ampia tela bianca su cui dovevano esser proiettate le immagini fotografiche destinate ad illustrare a mano a mano la conferenza, era collocato su di un fondo azzurro, sul quale scorgevansi dipinte stelle e costellazioni; e a poca distanza dalla parete stessa, sorgeva una tribuna, protetta da un baldacchino in stoffa e velluto rosso, sulla quale avrebbero preso posto i due oratori: il Duca degli Abruzzi e il capitano Cagni. Finalmente sulla parete opposta, un grande quadro, a chiaroscuro, dovuto al tenente Roncagli, segretario della Società Geografica, raffigurava la "Stella Polare" in mezzo ai ghiacci.
«Appena giunti i Sovrani, dopo le poche parole d’introduzione dette dal prof. Dalla Vedova, il Duca saliva sulla tribuna, accolto da un lungo, entusiastico applauso del pubblico, e con voce vibrata, sicura, chiarissima, e con militare e simpatica franchezza, cominciava l’esposizione del suo viaggio, premettendo un rapido riassunto delle esplorazioni di coloro che più di recente lo avevano preceduto, riuscendo a penetrar sempre più innanzi nelle perigliose regioni polari, e tra i quali il Nansen segnava l’ultimo limite a 86°13’. L’augusto oratore descrive la minuziosa cura colla quale la spedizione venne preparata, valendosi anche degli utili consigli del Nansen, colla scelta della nave (il "Jason" ribattezzato "Stella Polare"), del suo equipaggiamento, colla preparazione delle provviste di viveri. Ben centoventi cani vennero imbarcati sulla "Stella Polare", una muta colossale e urlante, nella quale si confondevano tutti i mantelli possibili, e in cui il pelame assumeva le tinte e le lunghezze più svariate. Furono queste bestie, brutte, magre, alte appena 70 centimetri, e che a prima vista non produssero buona impressione sul Duca, furon esse che assicurarono alla spedizione il successo e che nelle spedizioni future saranno sempre l’aiuto più valido degli esploratori.
«Partita l’11 luglio 1899 da porto Arcangelo, e incontrati i primi ghiacci a 74° gradi di latitudine, la nave su cui sventolava il vessillo italiano doveva raggiungere la terra Francesco Giuseppe, la cui scoperta, come è noto, fu fatta per caso da una spedizione austriaca. Sbarcati a Capo Flora, i viaggiatori vi trovarono intatte le baracche edificate dalla spedizione Jackson, di cui alcune sembravano allora allora abbandonate dai loro abitatori. Fermatasi la nave nella baia di Teplitz e sopravvenuto il congelamento delle acque, cominciarono a manifestarsi violente pressioni e sollevamenti negli strati di ghiaccio, in modo che la "Stella Polare" fu sollevata e s’inclinò fortemente su d’un lato. La spedizione, per il pericolo d’un rovesciamento della nave, trasportò il carico a terra, ove si costruirono due grandi tende, una per i capi e l’altra per l’equipaggio, a loro volta racchiuse e coperte da un’altra ampia tenda destinata a formare il primo baluardo contro le intemperie. Intanto si lavorava anche alacremente a riparare una falla per cui l’acqua penetrava e saliva entro lo scafo della nave, e ad impedire che l’acqua stessa congelandosi potesse recar danno alla caldaia ed alle macchine.
«La notte polare cominciò a metà novembre; al mezzodì non si distingueva più alcuna luce. Si iniziarono allora delle escursioni di allenamento e di prova, e fu durante una di tali escursioni che al Duca gelaronsi alcune dita, ponendolo in condizioni di minor resistenza per lunghe escursioni. In siffatte condizioni il Duca comprese che egli poteva riuscir di ostacolo alla progettata impresa, e volle quindi da questa ritirarsi onde il piano prestabilito dalla spedizione potesse svolgersi intieramente colla maggiore probabilità di riuscita. La temperatura erasi fatta bassissima, tanto da giungere durante la notte sino ai 40 e 50 gradi sotto zero, e da far trovare al mattino i cani attaccati per la coda al ghiaccio; ad ogni modo il Natale ed il Capo d’Anno furono allegramente festeggiati da questo pugno di valorosi, italiani e norvegesi, che sotto alle tende pensavano e inneggiavano alla patria lontana.
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«A questo punto il Duca degli Abruzzi, interrotto spesse volte dagli applausi nei punti più salienti del suo efficace discorso, specialmente quando ebbe a parlare della sua nobile rinuncia a tentare la strada del polo, cedeva il posto al capitano Cagni. Nella sala ritorna la luce (troppo poca, ahimè, per chi è obbligato a scrivere al buio) e alla tenue penombra della lampada, velata da una stoffa rossa, che sta sulla tribuna, il capitano Cagni comincia a voce alta, che il pubblico distingue benissimo, la narrazione delle sue avventure. L’oratore fornisce numerosi particolari sulle disposizioni prese per assicurare il vettovagliamento della spedizione con razioni giornaliere di 1400 grammi a persona, escluso il peso degli involucri, fornate di carne, gallette, burro, estratto di carne, caffè ecc., chiuse in apposite scatole; pei cani, le provviste del "pemmican", carne seccata, polverizzata e impastata con grasso, erano chiuse entro scatole di alluminio, disposte in modo da formare il fondo delle slitte. La principale preoccupazione era infatti quella di disporre il bagaglio in modo da ridurlo al minimo volume ed al minimo peso possibile. La esplorazione verso il polo doveva effettuarsi con tre squadre di cui una sarebbe tornata addietro dopo quindici giorni, un’altra dopo trenta, in modo da lasciar la terza equipaggiata e provvista, ad un punto da cui potesse spingersi innanzi quanto più fosse possibile. La spedizione si componeva di dodici slitte, con 540 razioni per gli uomini, 3400 razioni per i cento cani che servivano al trasporto; una tredicesima slitta fu poi aggiunta, che doveva per due giorni accompagnare la spedizione provvedendola di tutto il necessario, in modo da aumentare di altri due giorni, portandolo a 47 giorni, il tempo disponibile per la marcia verso il nord.
«Quando, col ritorno della luce, la cosa divenne possibile, si eseguì una esplorazione di prova lungo le coste dell’isola, e finalmente il 19 febbraio, alle 9 del mattino, la spedizione si pose in cammino, con una temperatura di 37 gradi sotto zero. Gli esploratori trovarono i campi di ghiaccio formati dal mare congelato, coperti di strani e bianchi fiori di sale cristallizzato, che recavano noia al proceder delle slitte, e mantenevano una persistente umidità nelle calzature. La temperatura scendeva durante la notte a -52°, estremo limite a cui poteva giungere il termometro a minimo; e queste basse temperature rendevano oltre modo penosi i lavori che continuamente dovevansi eseguire per accomodare le bardature dei cani, le slitte, il bagaglio, e per superare innumerevoli ostacoli. Il primo tentativo non riuscì; per le imprevedute complicazioni sopravvenute e per le cattive condizioni del materiale, il capitano Cagni saviamente pensò di retrocedere e ritornò all’accampamento, dove la spedizione venne ricomposta coi miglioramenti dettati dall’esperienza, e potè ripartire l’11 marzo.
«Il freddo eccessivo fu l’implacabile nemico contro il quale i viaggiatori dovettero continuamente combattere. Era una lotta, minuto per minuto, per non morire gelati; e il momento più delizioso, ma breve, era quello in cui gli esploratori ingoiavano la minestra bollente, che ben presto però finiva col congelarsi entro al cucchiaio. Il giorno 23, essendo stati abbreviati gli intervalli di tempo dell’itinerario, il primo gruppo guidato dal tenente Querini si separò dalla spedizione per ritornare all’accampamento, dove pur troppo non giunse mai; al 31 marzo il secondo gruppo, guidato dal dottor Cavalli, prese pur esso la via del ritorno; e restò solo il terzo gruppo formato dal capitano Cagni, dalle guide Petigax e Fenouillet, e dal Canepa, a continuare la strada verso il polo.
«La spedizione ebbe a superare difficoltà immense; col mutar dei venti, cangiava la natura del suolo congelato su cui camminavasi. Si formavano ora baluardi di massi gelati, e ora canali di acqua sciolta, che rendevano arduo, pericoloso e lento il procedere della comitiva. Al 17 aprile la spedizione aveva raggiunto l’84° parallelo; il 21, malgrado bufere tremende, superava l’85° e scopriva vaste e biancheggianti pianure, sulle quali i viaggiatori si slanciavano fiduciosi. Fissata, malgrado gli entusiasmi dei compagni, la meta a 86°30’, gli esploratori camminavano negli ultimi giorni sempre in silenzio, in un movimento di avanzata quasi meccanico; e superavano il limite di Nansen, giungendo il 24 aprile a 86°33’. A questo punto fu issato il nostro vessillo, salutato dal triplice grido di "Viva il Re"; si lasciarono i documenti del viaggio in tre tubi metallici, e la sera, sotto alla tenda, il cognac della farmacia rianimò i coraggiosi viaggiatori e contribuì alla loro allegria per la riuscita della spedizione.
«Incominciò allora il rapido viaggio del ritorno, seguendo le traccie lasciate, che, divenute poi invisibili, erano ritrovate da "Messicano", il cane che aveva proceduto alla testa della carovana nel viaggio di andata. In mezzo a mille peripezie, facendo titanici sforzi per vincere la deriva che spostava la spedizione a ponente, i viaggiatori camminavano con grande velocità, malgrado l’eccessiva stanchezza; e fu durante il ritorno che il capitano Cagni ebbe le dita gelate e dovette, da sé, amputarsi una falange. Tutto il maggio venne impiegato pel ritorno, coi viveri che andavano esaurendosi, tanto che i viaggiatori si trovarono costretti a nutrirsi col "pemmican" destinato ai cani, e alla fine coi cani stessi. Così trascorse anche quasi tutto il giugno, e dopo d’essere andati errando in balia de’ ghiacci galleggianti, i viaggiatori riuscirono ad approdare alla terra Rodolfo, e a toccar la roccia dopo 95 giorni di cammino sul ghiaccio, consegnando il 24 giugno al Capo della spedizione, la bandiera che aveva sventolato in regioni mai per lo innanzi raggiunte.
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Ripresa dal Duca la narrazione del viaggio, l’oratore racconta come i componenti la spedizione rimasta all’accampamento, passassero giornate non liete dopo la partenza dei compagni, cercando uno svago nella caccia, ed astenendosi dal visitare la nave che, invasa dal ghiaccio, faceva pena a vedersi. Dopo il ritorno del capitano Evensen, che per due giorni aveva accompagnati i tre gruppi della spedizione al polo, era seguito un lungo intervallo durante il quale la neve ammassandosi aveva quasi sepolto la tenda dell’accampamento, riducendone l’ingresso ad una specie di pozzo, ed obbligando ad adoperare i lumi dentro le tende, malgrado il ritorno della luce diurna. Il giungere del secondo gruppo fece subito nascere tristi presentimenti sulla sorte toccata al primo gruppo che avrebbe dovuto arrivare assai prima. Anche per Cagni si stava in agitazione, ed il Duca era sempre in vedetta, ficnhé un bel giorno gli arditi esploratori apparirono sani e salvi, accoplti con entusiasmo dai compagni.
«Poco dopo cominciò lo sgelo, e si pensò subito a liberar la nave dal ghiaccio, e a cercare d raddrizzarla. Visto che la caldaia e le macchine non avevano sofferto affatto, se ne tolse il ghiaccio, e si cominciò con mine a spezzare il ghiaccio che appoggiavasi contro il fianco della nave, la quale dopo undici mesi galleggiava di nuovo sull’acqua libera. Rimaneva tuttavia un tratto di 200 metri di ghiaccio che separava la nave dal mare; e in parte aiutandosi colle mine e coi picconi, in parte assistiti dal vento che un bel giorno, l’11 agosto, spinse nave e ghiaccio verso il mare, la sera del 15 la "Stella Polare" potè lasciar la baia di Teplitz, toccare il Capo Flora, e il 2 settembre lasciar dietro di sé gli ultimi ghiacci. Fu allora, dice il Duca con voce commossa, che mi giunse la tristissima notizia della morte di Re Umberto; e nell’atroce dolore da cui fui preso, mi consolò il pensiero di aver onorato in modo degno la sua Persona, facendo echeggiare il grido di "Viva il Re" in quelle desolate e lontane regioni dove soltanto ai valorosi è dato il giungere!
«La conferenza venne chiusa dal Duca degli Abruzzi con alcune notizie sugli importanti risultati scientifici della spedizione, pei quali si rettificarono le nostre conoscenze sulle terre polari artiche, provando l’inesistenza di alcune di esse. Si fecero osservazioni sulla temperatura, sulla pressione barometrica, sullo stato igrometrico dell’aria, sul magnetismo, sulla gravità; e si raccolsero notizie e saggi per la fauna e per la flora delle regioni ove la spedizione rimase. Ed è con grande compiacimento, concludeva il Duca, che vediamo l’Italia, ultima arrivata in questa gara delle varie nazioni per iscoprire le misteriose regioni polari, occupare il primo posto alla prima prova.
«È inutile l’aggiungere quanto siano stati caldi e spontanei gli applausi lunghissimi che hanno salutato il Duca degli Abruzzi e il capitano Cagni, al termine dei loro discorsi e nel momento in cui ricevettero le medaglie fatte coniare in loro onore dalla Società Geografica. Per tre ore e mezza, che tanto ebbe a durare la conferenza, il pubblico seguì sempre gli oratori col più vivo interesse, a vicenda entusiasmandosi e commovendosi; mentre le bellissime fotografie che ingrandite apparivano sul bianco schermo, davano delle regioni polari e delle vicende della spedizione uno spettacolo che, variando di continuo, aggiungeva al discorso una singolare efficacia. - In conclusione la conferenza sul viaggio della "Stella Polare" fu un trionfo continuo pel Principe organizzatore della spedizione, e per i suoi valorosi compagni; trionfo ben meritato da chi ha saputo recar fama sì grande, e gloria imperitura alla patria».
Ernesto Mancini