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 2012  giugno 15 Venerdì calendario

I militari che tengono in pugno l’Egitto dall’epoca della rivoluzione di piazza Tahrir resteranno in sella ancora per molto: il Parlamento è stato sciolto, il Paese è di nuovo nel caos

I militari che tengono in pugno l’Egitto dall’epoca della rivoluzione di piazza Tahrir resteranno in sella ancora per molto: il Parlamento è stato sciolto, il Paese è di nuovo nel caos. Ieri la piazza Tharir s’è riempita di manifestanti che gridavano “Allah u akhbar”, cioè “Dio è grande”, il motto che contraddistingue gli islamisti.

 

• Cioè questo golpe è fatto contro i fondamentalisti islamici? Spieghi un po’.

Alla fine dell’anno scorso ci sono state le elezioni politiche, quelle per eleggere la cosiddetta Camera bassa. Hanno vinto i Fratelli musulmani e in Parlamento c’era una maggioranza islamista che s’era già distinta per l’approvazione di alcune leggi piuttosto impressionanti: le donne non hanno più diritto al lavoro e all’istruzione, gli uomini sono autorizzati a sposare ragazzine di 14 anni, soprattutto ai mariti rimasti vedovi è concesso di far l’amore con i cadaveri delle loro mogli fino a sei ore dopo la morte. Domani e dopodomani si svolgerà il ballottaggio per l’elezione del presidente della Repubblica. Si confrontano il candidato degli islamici, Mohamed Morsi, e Ahmed Shafik, che è un uomo del vecchio regime di Mubarak (di cui è stato primo ministro) sorprendentemente gradito dagli elettori al primo turno. Dico “sorprendentemente” riferendomi soprattutto agli osservatori occidentali, che non si aspettavano di vederlo ancora in corsa e non avevano messo in conto la quantità di brogli perpetrati dai candidati.

Mi sta dicendo che mentre il Parlamento è stato sciolto, il ballottaggio per eleggere il nuovo presidente continua come se niente fosse?

Sì. Lo scioglimento dell’Assemblea è stato deciso dalla Corte costituzionale (formata da giudici nominati al tempo di Mubarak) che ha giudicato incostituzionale la legge elettorale e ha sciolto di conseguenza il Parlamento. Appena il presidente della Corte, Farouq Sultan, ha dato la notizia, la giunta militare ha fatto sapere, con comunicati ufficiosi, «che il potere torna in mano al Consiglio delle forze armate (Scaf). Non siamo noi ad averlo voluto, è il tribunale che ha deciso così». Proprio i militari riscriveranno la legge elettorale, mentre la Commissione dei cento, eletta a suo tempo, sta scrivendo la nuova costituzione.

Questi militari sono quelli che presero il potere subito dopo la caduta di Mubarak provocata dalla cosiddetta rivoluzione di piazza Tahrir?

Sì. I militari dichiararono che avrebbero guidato la transizione del paese dal vecchio regime dittatoriale alla nuova democrazia. Si vide subito che il pericolo erano proprio gli islamisti, mentre la giunta pretendeva di rappresentare il cosiddetto “civic party” ovvero lo schieramento liberale. Non le sarà difficile convincersi che l’ultima parola adatta a descrivere la situazione egiziana è “liberale”. Anche se Mubarak è caduto, tutta la struttura del vecchio regime (apparato burocratico, servizi, magistratura) è in piedi. Sono uomini che non vogliono di sicuro uscire di scena, come temono potrebbe accadere in caso di vittoria islamista. La giunta e gli apparati stanno certamente manovrando per far vincere al ballottaggio di domani e dopodomani l’uomo dei vecchi tempi, Ahmed Shafik. Ne abbiamo una conferma indiretta: la stessa Corte che ha giudicato incostituzionale la legge elettorale, ha respinto il ricorso contro Shafik. Gli islamisti sostenevano che, essendo un uomo del vecchio regime, non poteva concorrere per la presidenza.

Tutta questa sequenza di avvenimenti deve farci piacere o no? Chi sono i buoni e chi sono i cattivi in questa vicenda?

Avere una repubblica islamica dall’altra parte del Mediterraneo non era certo una prospettiva entusiasmante. Hamas si preparava a stringere rapporti con un Egitto fondamentalista in funzione anti-israeliana. Non dimentichi che al Qaeda ha penetrato tutta l’area, dalla Somalia al Sudan. È probabile che gli Stati Uniti guardino con benevolenza il golpe di ieri.

Quindi dobbiamo supporre che nel ballottaggio di domani e dopodomani vincerà l’uomo di Mubarak?

Sarebbe strano se non vincesse. Al primo turno votò il 50% degli aventi diritto e restarono assenti dalla consultazione soprattutto le grandi città. Quello è stato un voto delle campagne, dove l’Islam è più forte. Tutta la cosiddetta transizione è stata guidata dalla giunta con mano sapiente. Mubarak si dimise dopo un accordo che gli garantiva la salvezza dei figli e una prigione dorata. E infatti l’ex rais ha passato parecchi mesi della sua detenzione nella lussuosa villa di Sharm el Sheik, poi si è fatto trasferire nella suite presidenziale dell’ospedale del Cairo e solo all’ultimo i militari sono stati costretti a rinchiuderlo nella prigione di Tora. Mubarak ci ha messo tre ore a scendere dall’elicottero, il carcere di Tora non era nei patti. In ogni caso, i suoi figli e gli altri massacratori del regime sono stati tutti assolti. Segno che il controllo della situazione è sempre stato nelle mani dei militari. Che col golpe di ieri hanno fatto capire al mondo che questo controllo non se lo faranno sfuggire


[Giorgio Dell’Arti, La Gazzetta dello Sport 15 giugno 2012]