Rassegna, 29 maggio 2012
Condannate le nuove Br, minacce a Ichino
• I giudici milanesi della Cassazione hanno condannato pesantemente i membri delle nuove Br, confermando l’esistenza di un’associazione eversiva, ma non riconoscendo la finalità terroristica. Alla lettura della sentenza – con pene più lievi rispetto al precedente appello – partono le urla e i cori dei militanti antagonisti che chiedono «giustizia proletaria» e attaccano ancora il giuslavorista Pietro Ichino. Scrive De Riccardis (Rep): «Il Partito comunista politico-militare, stabiliscono i giudici, è un’associazione che ha agito per sovvertire lo Stato, ha avuto la disponibilità di armi per raggiungere lo scopo, ma non può essere considerata un gruppo terroristico. Restano alte le pene per Claudio Latino e Davide Bortolato, ritenuti i capi della cellula milanese e di quella padovana, condannati rispettivamente a undici anni e sei mesi e undici anni, meno dei quattordici anni e sette mesi avuti nel primo processo d’appello. Vincenzo Sisi, considerato il capo della cellula torinese, viene condannato a dieci anni; Alfredo Davanzo, ritenuto l’ideologo del gruppo, a nove. Otto anni a Bruno Ghirardi, sette a Massimiliano Toschi, cinque anni e tre mesi a Massimiliano Gaeta, che torna immediatamente libero perché ha già scontato per intero la pena durante la custodia cautelare. Si riducono leggermente le pene degli imputati minori: due anni e quattro mesi ad Andrea Scantamburlo, due anni e due mesi ad Alfredo Mazzamauro, Davide Rotondi e all’unica donna del gruppo, Amarilli Caprio, studentessa di Scienze Politiche alla Statale di Milano».
• Prima della sentenza sulle nuove Br, il giuslavorista e senatore del Pd Pietro Ichino – costituitosi parte civile perché ritenuto obiettivo di un attentato e a cui la Corte ha confermato il risarcimento di centomila euro – aveva preso la parola: «Intendo solo ricordare che sin dal primo grado di giudizio ho offerto a tutti e a ciascuno degli imputati la mia rinuncia alla costituzione di parte civile e quindi al risarcimento dietro il riconoscimento in qualsiasi forma del diritto a non essere aggrediti. Nessun imputato però ha risposto a questa proposta di dialogo». Ichino, sotto scorta da ormai dieci anni, dai giorni successivi all’omicidio del collega Marco Biagi, ha anche ricordato di aver chiesto di rinunciare alla scorta, sentendosi rispondere dalla prefettura che non era opportuno rinunciare alla protezione. «Questa situazione di pericolo – ha concluso il senatore – a tutt’oggi non è cessata, anche per il rifiuto degli imputati alla mia proposta di dialogo e così io oggi non posso che circolare in una macchina blindata». [De Riccardis, Rep]