3 giugno 2012
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Biografia di Zucchero Fornaciari
• (Adelmo Fornaciari) Roncocesi (Reggio Emilia) 25 settembre 1955. Cantante. Autore. Tra i suoi successi: Donne (1985), Come il sole all’improvviso (1986), Rispetto (1986), Con le mani (1987), l’album Oro incenso & birra (1989), Miserere (1992), Spirito DiVino (1995) ecc. «Sono un impiegato della musica io, entro in studio la mattina alle dieci e ci sto fino all’ora di cena. Non sono di quelli che scrivono la canzone fulminante in un raptus, alle quattro del mattino».
• Ultime Nel 2011 è uscito il romanzo autobiografico Il suono della domenica (Mondadori), salutato con grande favore da numerosi critici (su tutti, Antonio D’Orrico del Corriere della Sera: «un libro bellissimo» [Cds 9/11/2011]).
• Nel novembre 2012 è stato pubblicato l’album La sesiòn cubana (quattordici brani di cui tre inediti), registrato interamente a Cuba, dove poche settimane dopo, l’8 dicembre, all’Istituto superiore d’Arte de L’Avana, Zucchero tenne un concerto omonimo, «gratuito, ma mi pare ovvio perché è il mio regalo per questa gente che amo e un tributo anche alle vittime che qui ha fatto l’uragano Sandy, di cui non si è parlato per niente» (a Silvia Nucini) [Vty 5/12/2012], realizzando così un sogno che inseguiva da ben ventidue anni (dal concerto al Cremlino dell’8 dicembre 1990). «Sono venuto qui la prima volta nel 2003, invitato a un’incredibile cosa che si chiama Festival del sigaro, una specie di notte degli Oscar con donne in abito da sera che sorseggiavano rum e degustavano tabacco. Poi ho girato un po’ e ho visto la grazia e l’armonia delle cose e delle persone, ho visto valori che mi piacciono, come il grande rispetto per gli anziani, e anche cose più profane, come l’incredibile sensualità delle donne, la stessa che ho sempre raccontato nelle mie canzoni. Insomma, sono rimasto folgorato» [ibidem].
• Da quel concerto è poi nato l’album live Una rosa blanca, pubblicato nel dicembre 2013 e contenente la registrazione audio e video dell’evento, in due cd (ventisette brani, tra cui l’inedito Quale senso abbiamo noi) e un dvd.
• Tra marzo e maggio 2014 è stato impegnato nell’Americana Tour, una serie di quasi quaranta concerti in una cinquantina di giorni, tra Stati Uniti e Canada.
• Vita Figlio di Pino e Rina. Il soprannome “Zucchero” viene da un maestro delle elementari che lo vedeva sempre sgranocchiare caramelle. «Mio padre faceva un lavoro duro e pericoloso: durante la stagionatura del Parmigiano Reggiano saliva sopra impalcature molto alte per girare le forme, pesanti e tutte unte. Quando arrivammo a Pontremoli scoprimmo che non gli avevano dato né la licenza per il fondo che aveva chiesto né la casa. Ci trovammo in strada col camion pieno di mobili. Per sei mesi dormimmo in una casa in costruzione».
• «Andavo a fare il chierichetto nella chiesa vicino a casa mia, per sdebitarmi col prete, che mi faceva usare un organo a due tastiere bellissimo, a mantice, dove imparai a suonare le canzoni dei Procol Harum. Nella canonica, dove andavamo a giocare a pallone, io e altri tre miei compagni organizzavamo dei mini-spettacoli».
• «Ero un bambino educato, magro, con le guance rosse e l’accento emiliano. Mia madre, nonostante non avessimo un soldo, mi mandava a scuola sempre pulito e pettinato, con i vestiti stirati e in ordine. I ragazzini della zona, quasi tutti più grandi di me, cominciarono a dirmi che ero un finocchio. Una volta, durante una festicciola in una casa di campagna, mi misero sopra un letto e mi legarono mani e piedi. E cercarono di violentarmi. Non ci riuscirono, ma per me fu uno choc». In famiglia non disse nulla «perché avevo paura, però al capetto del gruppo mandai una lettera con la firma falsificata di papà, scrivendo che se ci avessero riprovato lui sarebbe andato dalla polizia a denunciarli tutti. Funzionò. Non mi dissero più nulla».
• «Non so bene perché, ma il blues e il soul mi hanno subito preso. Ai miei tempi in Italia andavano Gianni Morandi e Rita Pavone, che cantavano canzoni romantiche. Niente di male, ma queste storie di persone che non sapevano come vivere una senza l’altra mi annoiavano. Invece tipi come Ray Charles, Otis Redding cantavano roba vera. Pensai di imitarli, aggiungendo a quella musica un po’ di spirito mediterraneo» (a Paolo Mastrolilli) [Sta 5/3/2014].
• «Ho cominciato a scrivere prestissimo. Ho dei provini incisi su un Revox a 2 piste che risalgono a quando avevo 13 o 14 anni. Allora andavo a ruota libera, scrivevo anche 3 canzoni al giorno».
• «La mia gavetta è stata interminabile, ho iniziato a 16 anni, nel 1971; suonavo il sax tenore, m’improvvisavo batterista o chitarrista. Poi un giorno il cantante dell’orchestra non si presentò perché aveva litigato con la fidanzata e mi costrinsero a sostituirlo. Eravamo all’Alhambra di Sarzana. Lì iniziò il mio peregrinare da un gruppo all’altro. Con Sugar & Candies (1977) incidemmo un 45 giri per la Saar che non comprò nessuno. D’estate suonavamo tutte le sere alla Bussola. Le attrazioni erano Fred Bongusto e Peppino di Capri, noi facevamo i tappabuchi fino alle cinque di mattina. Una consumazione a testa, la seconda Bernardini ce la faceva pagare. Per sbarcare il lunario cominciai a scrivere canzoni per altri, Bongusto, Michele Pecora, Fiordaliso, Stefano Sani. Ma io restavo nell’ombra. Mi volevano solo come autore. Non credevano nella mia voce, e soprattutto nella mia faccia. Un giorno, mentre facevo anticamera per parlare col direttore generale, dalla porta semiaperta lo sentii dire: “Mandatelo a casa, tanto questo non andrà da nessuna parte”. Piansi tutta la notte: ero sposato, avevo già una figlia. Devi trovarti un lavoro serio, mi dissi, le 150 mila lire delle serate non bastano più».
• Si giocò l’ultima carta con un viaggio a San Francisco. Un amico che vendeva jeans gli passò un biglietto aereo vinto con un concorso della Levi’s. «Lì mi misi alla ricerca di Corrado Rustici, e grazie a lui e Narada Michael Walden, che mi fece registrare gratis nel suo studio, tornai a casa col mio bel nastrino che conteneva anche Donne. Lo mandai a tutte le case discografiche usando il nome del mio benefattore. Il primo a chiamarmi fu proprio quello che mi aveva fatto fuori. Non aveva capito che ero io» (da un’intervista di Giuseppe Videtti).
• «Nel 1990-1991 non stavo più bene da nessuna parte. Né a casa, né dai genitori. Non sapevo più dove andare. Ero un’anima in pena, dilaniato tra la Versilia, dove c’erano figlie e moglie con la quale non stavo più, e l’Emilia, la terra della mia famiglia. Finii ospite in una casetta di Marina di Pietrasanta, con un cane e una bottiglia. Miserere nacque in quel clima di dolore e di disorientamento».
• «Non ero abituato a stare solo con me stesso. Sono sempre stato uno sradicato, finché una volta trovandomi nelle campagne vicino a Pontremoli, ero in moto, ho visto una valle verde con un rudere e un fiume. Sono sceso giù e mi sono sdraiato per terra. Per la prima volta in vita mia mi sono sentito a casa. Ho comprato tutto e lì ho costruito la mia fattoria. Da lì è cominciata la mia vera rinascita. Ora è un posto straordinario, viviamo interamente dei prodotti della terra, facciamo il vino, i formaggi, poi ho trovato Francesca, è nato l’altro mio figlio Blue. Ora posso dire davvero di vivere come voglio» (a Gino Castaldo) [Rep 10/7/2011].
• Il 13 agosto 2007 ha rischiato il linciaggio durante un’esibizione a Cala di Volpe, Costa Smeralda. Cena di gala organizzata dalla Starwood Hotels per 850 invitati paganti, 1000 euro a coperto. Roberto Rizzo: «Non tutti però sono interessati alla musica del bluesman emiliano, come una signora intenta a scrivere sms sul telefonino. Zucchero se ne accorge, si arrabbia e inizia ad insultarla: “Lavandino, baraccone, bagascione, cassonetto, sei uno schifo”, come si sente nel filmato realizzato dalla tv locale Cinquestelle, oltre a un “puzzi come un’aringa”, secondo quanto riportato dal sito Dagospia. Poi il cantante prende una bottiglietta di Gatorade e la lancia in direzione della signora, ma sbaglia mira. L’oggetto sfiora un bambino e cade su di un altro tavolo di avventori russi. Questi decidono di rispondere al “fuoco nemico”. Prima rilanciano verso Zucchero la bottiglietta di plastica, che cade sul palco, poi sfoderano l’artiglieria pesante: bottiglie di vino e superalcolici. Bloccati al momento del lancio dagli addetti alla sicurezza, tentano allora l’assalto al palco per aggredire il cantante. Parapiglia, spintoni, urla». Zucchero (che avrebbe incassato per la serata un cachet di 300 mila euro): «Li ho provocati un po’, per movimentare la serata. “Dài, divertitevi anche se siete ricchi, facciamo un po’ di casino”, insomma tutto nel mio linguaggio. Non sono uno politically correct, e me ne vanto. Poi c’è stata quella reazione proveniente dal tavolo della Santanché: “Comunista, comunista, comunista”, non ci ho visto più».
• Si disse sconvolto alla morte di Luciano Pavarotti (6 settembre 2007): «La nostra è stata una vera amicizia e anche un importante sodalizio artistico che ha modificato i rapporti fra musica colta e musica leggera». Tutto era cominciato nel 1992, con la canzone Miserere: «Mi ero lasciato con mia moglie, ero depresso. Una mattina mi svegliai e scrissi questa canzone, ma dissi alla casa discografica che aveva senso farla solo con Pavarotti. Loro lo contattarono, e mi dissero che non voleva. Allora lo chiamai io: “Ciao Baciccio – mi rispose lui – perché non viene a cena e ne parliamo?” Si addormentò pure, mentre parlavamo dopo mangiato, ma poi sentì il pezzo e accettò. Ne sono nati quindici anni di collaborazione magnifici» (a Paolo Mastrolilli) [cit.].
• Diplomato perito elettronico, ha frequentato la facoltà di Veterinaria (39 esami).
• La moglie Angela Figliè (da cui ha avuto le figlie Alice, stilista, e Irene, cantante) è rimasta sua musa ispiratrice anche dopo la fine del matrimonio: «Ovviamente con il passare del tempo le ferite si rimarginano, quindi la prospettiva cambia. Nella mia vita sono subentrati altri affetti, che non hanno niente a che vedere con la passione diabolica e invivibile che c’era con mia moglie. Ora che il peggio è passato, ci diciamo cose incredibili, a volte perfino imbarazzanti, che non ci siamo mai detti quando era acceso il fuoco della passione. Potrebbe sembrare che siamo più vicini adesso che nei 12 anni che siamo stati insieme».
• Da Francesca Mozer (italo-svizzera) ha avuto Adelmo Blue: «Il rapporto tra Francesca e me è più maturo, più vero, si basa sulla stima reciproca e sul rispetto».
• Critica «Se da un punto di vista vocale non sembra poter aggiungere molto a quanto già detto con maggiore autorevolezza proprio dai suoi modelli di riferimento (Joe Cocker innanzitutto), bisogna pur rilevare che l’intelligente scelta musicale da lui condotta conferisce alla sua opera una notevole originalità nel panorama italiano sia del rock che della canzone d’autore. Ha infatti il merito di credere nel potenziale della musica soul in un’epoca dominata dalla disco dance: là dove trionfano la timbrica elettronica e un’espressività congelata, egli promuove sezioni di fiati e ritmi di coinvolgente immediatezza. Ha ugualmente il merito di evitare la proposizione di un trito calco di fenomeni americani, innervando con una base Rhytm&Blues testi italiani di calcolato effetto, ma spesso anche di non trascurabile suggestione, in cui accanto a intuizioni liriche convivono divertenti e scanzonati giochi linguistici» (Augusto Pasquali).
• «Si avverte tra le righe una crisi interiore, un travaglio di identità e di motivazioni che ha prodotto un singolare incrocio tra inferno e paradiso, un’ alternanza di momenti dionisiaci, erotici e impudenti, con altri di tipo elegiaco, intimo, struggente. Ci sono visioni di morte, strappi dolorosi, visioni di speranza, in una specie di irrisolta mistica della realtà, lo specchio di un universo caotico nel quale Zucchero si muove come un peccatore impenitente che cerca redenzione» (Gino Castaldo a proposito di Oro incenso & birra).
• «Zucchero finge di non saperlo e lega i grandi nomi con i quali ha collaborato alla filantropia artistica. Ma dietro c’erano i soldi. All’epoca Davis volle cento milioni di lire per tre minuti. Senza i soldi non ci sarebbe stato Davis, Ray Charles, come d’altronde nessun altro, è pacifico» (l’ex manager Michele Torpedine a Malcom Pagani) [Fat 11/7/2013].
• Frasi «Non mi sono mai piaciuti quelli che usano la voce come uno strumento. Tom Waits, Ray Charles, Joe Cocker non hanno una bella voce, ma quando aprono la bocca ti danno delle sensazioni incredibili».
• «Mio padre mi ha preso sul serio come cantante solo quando mi ha visto sul palcoscenico con Pavarotti».
• «Il processo creativo viene bene quando sei a casa: succede che ti alzi la mattina, metti le mani sul pianoforte e ti accorgi che tutto quello che fai ti piace. In certi giorni invece c’è solo la fatica; ma anche la fatica è utile, perché più fai il mestiere e più ti avvicini all’arte, a una dignità data da un arricchimento continuo. Registro, e poi resto lì fino alle tre di notte, a lavorarci, a ripensarci» (a Edmondo Berselli) [Rep 2/11/2008].
• «La mia carriera, non so se per caso o per fortuna, è sempre stata ricca di collaborazioni. Miles Davis ascoltò Dune mosse, gli piacque e ci volle suonare. Conosco artisti che ai duetti rispondono sempre e comunque no, che non accettano l’idea di dividere una canzone con qualcun altro. Io sono l’esatto contrario. Come dire no a Miles Davis? Lo scambio con un musicista che ami e rispetti è un arricchimento. C’è sempre da imparare. Quando Sting e Brian May dei Queen mi hanno chiamato, o quando Paul Young mi ha detto “mi piacerebbe cantare Senza una donna con te”, non ho mai detto di no».
• «Me ne hanno dette di tutti i colori, ma molti musicisti d’avanguardia mi hanno seguito. Gente come Fatboy Slim cita pezzi impossibili da ricreare. Volevo suoni di cose antiche dei Cinquanta, ma per avere gospel e spirituals di quell’epoca, l’unico modo è prenderli dal disco, chiedendo l’autorizzazione: la maestria sta nel farlo funzionare come arrangiamento».
• «Ho sempre trovato più facile lavorare con gli stranieri che con gli italiani. Hanno meno paure, meno insicurezze, e non si fanno troppe domande».
• «La prima volta che atterrai a New Orleans ebbi l’impressione di essere a casa mia. Ovviamente ci sono tante diversità, ma l’umidità, le zanzare e gli acquitrini sono uguali ai nostri. Altre similitudini stanno nello spirito della gente e perfino in certi piatti che si cucinano. Dalle mie parti, inoltre, la musica nera ha sempre trovato terreno molto fertile. Ricordo che quando iniziai a strimpellare la chitarra, a 7, 8 anni, da noi c’era già chi ascoltava Otis Redding... Questo mi fa dire che il Po è il mio Mississippi» (da un’intervista di Massimo Poggini).
• «Non sono come Vasco Rossi che va lì a dire “Io sono il rock e sono solo io” (anche se poi lui è il più timido di tutti noi). Io tendo sempre a dare poca importanza alle grandi opportunità che ho avuto nella mia carriera, anche quando sono stati gli altri a cercarmi. Ricordo un episodio, durante il party per l’anniversario di matrimonio di Sting nella sua casa in Inghilterra. C’erano Steve Winwood, Eric Clapton, Peter Gabriel, Tom Hanks, Robbie Williams. Ero il meno conosciuto del baraccone. Mentre con mia moglie Francesca ci servivamo nel buffet, ho sentito qualcuno che urlava “Zuccherooooo”. Mi giro e vedo Dustin Hoffman in ginocchio ai miei piedi. In un attimo tutti gli occhi erano puntati su di noi. Ero imbarazzatissimo. E lui cantava a squarciagola: “Ho bisogno d’amore, perdio!”. E non aveva bevuto, perché è astemio».
• «Nella musica italiana siamo tre: Vasco è il rock, il blues sono io, il pop è Eros. Il resto è surrogato» (nel 2007).
• Politica «Mio nonno, Roberto detto Cannella, era un mezzadro che prendeva le botte dai padroni. Mio zio, Enzo detto Guerra, era un maoista. Mio padre, Giuseppe detto Pino, mi raccontava delle corriere che partivano il sabato per Mosca e tornavano il lunedì mattina. Io sono nato nell’Emilia dei comunisti e sono cresciuto nella Carrara degli anarchici. Ma la politica non mi ha mai interessato» (da un’intervista di Claudio Sabelli Fioretti).
• «Non sono fanatico di niente, però da ragazzo mi piaceva immaginare un mondo senza disuguaglianze, in cui ci si aiuta, andare a suonare alla Casa del popolo. Giravo con una ragazza bellissima – che poi sarebbe diventata mia moglie – coi capelli lunghi, vestiti da hippy, con la barba come il Che, e suonavamo le canzoni di Guccini, Gaber, De André. Anch’io avevo scritto un disco impegnato, ma nessuno al tempo lo volle pubblicare. Era tutto molto naïf e romantico. Non vedevamo che l’applicazione pratica di ciò che erano dittature. Per non parlare poi della distanza che ho sentito quando è arrivata la lotta armata in Italia» (a Silvia Nucini) [cit.].
• «Io dal 7 al 17 aprile sarò in tour in Germania, e non torno per votare: non lo faccio mai, ho votato una volta sola in vita mia, non sono un cittadino esemplare» (nel marzo 2008).
• Religione «Mio zio maoista quando andava a lavorare nei campi e vedeva don Giovanni che leggeva la Bibbia sul sagrato gli diceva: “Non ho mai visto un prete magro”».
• Vizi Colleziona cappelli (dice di averne più di trecentocinquanta): «Sono sempre stato affascinato dalla figura di mio nonno paterno, Roberto, è lui che mi ha trasmesso la passione per i cappelli, li portava sempre e mi dava l’idea di uomo saggio. Ho iniziato a portarli sin da piccolo, quando mi travestivo per gli spettacolini che facevo nei teatri degli oratori del mio paese. Poi, quando ho scoperto il blues, ho visto che artisti padri del genere, come Robert Johnson, John Lee Hooker e tanti altri, portavano lo stesso tipo di cappello. Mi sembrava già tutto scritto. Da allora non ho mai smesso di indossarli» [L’Uomo Vogue 3/12/2010].
• Fuma il sigaro.
• Tifo Grande amico di Roberto Baggio, cui ha dedicato la canzone Baila: «È la più bella persona che io conosca. Vera. Schietta. Ci piacciono le stesse cose: mangiate e bevute con gli amici, la caccia, il buddismo». Da piccolo giocava in porta (pulcini della Reggiana): «Ero spericolato, coraggioso, gli altri ragazzini mi chiamavano Yashin».