3 giugno 2012
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Biografia di Valentino Zeichen
• Fiume (Croazia) 24 marzo 1938 – Roma 5 luglio 2016. Poeta. Tra i suoi libri: Area di rigore (Cooperativa Scrittori 1974), Museo interiore (Guanda 1987), Passeggiate romane (Fazi 2004), Neomarziale (Mondadori 2006), Aforismi d’autunno (Fazi 2010), Casa di rieducazione (Mondadori 2011). Nel 2003 Mondadori ne ha pubblicato l’opera omnia. «Per le poesie vale la regola delle polpette: per farle bene ci vuole tempo, e poi se son venute bene durano».
• È morto il 5 luglio 2016, a 78 anni, nella clinica romana Santa Lucia, dove stava facendo la riabilitazione dopo un grave ictus. La malattia? «La vivo come un’appendice del romanticismo».
• «Ha la lingua sciolta ed è un bel ragazzo, alto, magro, l’aria ispirata e un’eleganza innata. Tutto il contrario di un pappagallo da strada. Se non è stato l’inventore del rimorchio culturale (la cultura come pretesto), è stato sicuramente uno che ha mescolato bene eros e arte, nella letteratura e nella vita» (Stefano Malatesta) [Rep 22/3/2000].
• «La mia famiglia è dell’Istria. Siamo adriatici dalmati. Mio padre era giardiniere ad Abbazia, vicino a Fiume. Siamo andati via dopo la guerra, perdendo tutto. Prima a Parma, dove eravamo trattati con ostilità perché stranieri, poi a Roma, nel 1950. Mio padre ha trovato una vecchia stalla a Villa Borghese e l’ha riadattata. Mia madre era già morta da tempo e mio padre si è risposato. Faceva fatica a starmi dietro. Ero inquieto, instabile, scappavo sempre. Sono stato tre anni a Firenze in una casa di rieducazione. Lì ho studiato un po’, chimica, ma soprattutto leggevo. La biblioteca del reclusorio aveva tanti libri. Li divoravo» (a Marco Belpoliti).
• «Fra le voci più felici della generazione che ha esordito negli anni Settanta, non smette di mordere e sbeffeggiare le belle lettere nostrane, con illuministico distacco e ironico sorriso. Una misura in crescendo di cui si apprezza già tutta la portata in Gibilterra (Mondadori 1991). In Meta-fisica tascabile (Mondadori 1997) alto e basso si fondono: il pensiero filosofico (metafisico) si sposa al quotidiano in un affettuoso intreccio. Rilievi sul mondo e interventi personali convivono, equilibrandosi a vicenda. Nella poesia dedicata al rito del bagno, per esempio, le piccole bolle d’aria, che schiumano sotto le mani del poeta su una bellezza nuda, lasciano subito il posto alle osservazioni intorno alla marca quasi cancellata e alle crepe, simili a geroglifici, delle Saponette: “Non oso manometterle, / come se mi vedessi osservato / dal custode di un museo egizio / ma vorrei lavarmi le mani...”. E così, deliziosa, finisce la poesia» (Ermanno Krumm).
• «Valentino è uno dei pochissimi poeti fumiste che circolano dalle nostre parti, uno dei rari che non prendono e non si prendono sul serio, ma anche uno dei più dotati tecnicamente, capace di lavorare su ispirazione come su commissione (in realtà un falso dilemma, perché soprattutto i sentimenti ispirati più di altri hanno bisogno di un freddo controllo da facitore di versi), un seicentista per abilità di composizione e per la ricerca della sorpresa, come il cavalier Marino. Provate a recitare questi altri suoi versi a una donna con la quale i rapporti non sono più così buoni e se non sorride depennatela definitivamente: "Come la spia rossa che/ si accende sul cruscotto/ e segnala al conducente/ che la benzina è alla fine/ così anche il sentimento/ che nutrivo per te/ è oramai in riserva"» (Stefano Malatesta) [Rep 22/3/2000].
• Vive da quarant’anni in una baracca abusiva sulla via Flaminia alle pendici di Villa Borghese: «Oggi è più famosa della Baita Segantini o della Tenda di Nobile al Polo, visto che ogni articolo su di lui comincia con la descrizione del pittoresco abituro. Il risultato è la riduzione a caso umano di un poeta che disprezza come nessun altro l’umanità, l’umanitarismo e forse anche l’umanesimo» (Camillo Langone).
• «È una baracca con la luce, il telefono e il riscaldamento, ma non è più grande di trenta metri, si respira un’aria mista di risciacquatura di piatti e di panni sempre umidi e d’estate si trasforma in un forno. Se uno qualsiasi di noi fosse costretto a viverci, dopo un mese lo troverebbero impiccato all’albero di fronte. Mentre Valentino, abituato ai lavori manuali da bambino, come profugo, e a dipendere solo da sé stesso, ci abita come se stesse in un palazzo e quando esce per le sue serate, sembra un principe che sia stato accudito dai valletti. Credo che questa sua dignità, questo non lasciarsi mai andare, in un certo modo simile alla dignità che mantenevano in carcere molti prigionieri antifascisti, ma non uguale, gli derivi in parte dal dandysmo e dall’essere un mitteleuropeo in prestito a un paese latino, dove lo sbracamento è più facile. Tra le poche concessioni che si è permesso, ma per ragioni sanitarie, ci sono i sandali altrettanto leggendari che porta otto mesi l’anno. Ma sono sandali che ora non si fanno più, di marca Bally, che andava a comprare in Svizzera con gli ultimi soldi rimasti, un gesto da russo bianco aristocratico in esilio dopo la rivoluzione» (Stefano Malatesta) [Rep 22/3/2000].
• «Dice: “io sono uno che rispetta la legge perché la teme”, lo dice convinto. Si professa povero, probabilmente lo è. “Vado dove mi danno da mangiare e da vivere, lavoro su commissione”. Degli editori, dei mecenati, delle ricche signore che amano la sua conversazione e (meno) di una sofisticata committenza che ordina poesie come fossero ritratti da appendere in salotto: “La piccola borghesia fa fotografare i figli, l’alta borghesia si fa ritrarre a olio. L’aristocrazia del sapere commissiona poesie dedicate. Io le scrivo. Alcune mi vengono bene altre no, comunque loro non se ne accorgono”» (Concita De Gregorio).
• «Sono un individualista inserito (...) un giullare, un poeta di corte, anche se la corte non c’è più».
• Sulla poesia: «Il più grande del secolo resta Montale. Pasolini non mi interessa».
• Quali sono le doti di un poeta? «Immaginazione, fantasia. Senso dell’umorismo, senso della forma. Ribellione».
• «Io sono un poeta civile. Mi interessa che tutti pieghino i cartoni quando li buttano nei cassonetti, non lo fanno mai, li riempiono di aria. Sono preoccupato per il sottosuolo: l’inconscio della terra».
• «La poetica è un fatto igienico. È velocità, sintesi, cura. Somiglia alla chimica farmaceutica. Deve essere rapida ed efficace come l’aspirina. Manicure della poesia ci ho messo dieci anni a scriverla. Cercavo il passo del verso, volevo fosse perfetto. Il peggio in poesia sono gli aggettivi: la prolissità, la descrittività». «Nel tagliarmi le unghie dei piedi / il pensiero corre per analogia / alla forma della poesia».
• Si è inventato un premio di poesia a suo nome dove è anche l’unico membro della giuria.
• Non si è mai sposato. Una figlia, Marta (1973), «ma non ho mai fatto il padre».
• Esperto di cose militari. Appassionato di cucina (una commedia in tema, La refezione): è famoso il suo sugo ai funghi. Stefano Malatesta: «Quando è invitato a cena da amici con i quali è in confidenza, bussa impaziente alla porta, entra senza salutare, e va direttamente in cucina a esaminare i cibi: “Dove hai comprato le fettine di carne? E quando, oggi o ieri? E le fettuccine, non saranno fatte con le uova in polvere?”. E una volta a tavola ci sono argomenti che è meglio non toccare, come la guerra contro la Serbia e le guerre in genere, certi poeti e poetesse che non rientrano nei suoi gusti e altri ancora. Ma la sua ironia, anche su un tema pericoloso come Roma, per fortuna è rimasta la stessa: “... Più in là le alte chiome/ dei Pini di Roma che/ ispiravano la musica/ di Ottorino Respighi,e/ sotto i fusti vi pisciavano/ i cani di Gabriele D’Annunzio”».