3 giugno 2012
Tags : Luciano Violante
Biografia di Luciano Violante
• Dire Daua (Etiopia) 25 settembre 1941. Politico. Eletto alla Camera nel 1979, 1983, 1987, 1992, 1994, 1996, 2001, 2006 (Pci, Pds, Ds), ne fu presidente per tutta la XIII legislatura (1996-2001). Aderito al Pd, nel 2008 ha deciso di non candidarsi. «Lascio il Parlamento dopo 29 anni, mi sembrano tanti. L’ho detto: sono durato qui dentro più di quanto durò il fascismo». Il 30 marzo 2013 è stato nominato da Giorgio Napolitano tra i dieci componenti dei due gruppi di lavoro incaricati di definire «proposte programmatiche» utili alla formazione di un nuovo governo. Violante fa parte del gruppo di “saggi” al lavoro sulle riforme istituzionali.
• «Sono nato in Etiopia, in un campo di concentramento inglese. Mio padre l’ho conosciuto quando avevo cinque anni, me lo presentarono il giorno di Pasqua del 1946. Alla stazione. Ho vissuto a Rutigliano, in provincia di Bari, infanzia e giovinezza: l’Ugi, l’Unione goliardica italiana, la carriera universitaria tra i libri di diritto penale scritti in tedesco con carattere gotico» (a Vittorio Zincone) [Magazine aprile 2007].
• «Giudice istruttore negli anni Settanta a Torino dove si occupò di terrorismo nero e rosso. Sua la discussa inchiesta sul cosiddetto Golpe bianco di Edgardo Sogno, Randolfo Pacciardi e Luigi Cavallo» (Beppe Minello).
• «La segreteria provinciale di Torino mi propose di candidarmi nel 1976, subito dopo il processo a Edgardo Sogno. Io ero incerto, ma un giorno, mentre ero a casa, squillò il telefono. Era Enrico Berlinguer, che mi chiese cosa avessi intenzione di fare. Io esposi i miei dubbi e gli dissi di propendere per il no. Bene, mi rispose, se mi avesse detto il contrario l’avrei invitata a ripensarci, perché il consenso acquisito con il processo avrebbe potuto essere strumentalizzato. Mi candidai, ma solo tre anni dopo, quando lavoravo a Roma e non più a Torino».
• «Da almeno 15 anni è sospettato d’essere l’ispiratore di inchieste giudiziarie mirate contro una sola parte politica» (Maurizio Belpietro). Celebre il soprannome coniato per lui da Francesco Cossiga: il “piccolo Vishinsky”, dal procuratore generale dell’Unione sovietica che rappresentò la pubblica accusa nei processi politici staliniani. Per questo motivo ancora nell’estate 2008 parte del centrodestra si è dichiarata contraria quando s’è affacciata l’ipotesi di un suo ingresso alla Corte costituzionale. «Fosse dipeso da me, il processo Andreotti non si sarebbe celebrato» disse a Panorama nel febbraio 2008, aggiungendo però «avevo torto e Caselli aveva ragione: Andreotti è stato assolto ma i suoi rapporti con la mafia, anche se prescritti, sono stati accertati».
• «Quando scoppiò Mani pulite, noi del Pds pensavamo che il problema riguardasse solo gli altri, che non toccasse anche noi e che bastasse attendere e il frutto maturo sarebbe caduto. In realtà il frutto maturò cadde, ma a coglierlo fu Berlusconi».
• Da tempo si è costruito il ruolo dell’uomo del dialogo: «In tutti i Paesi dove c’è una democrazia radicata il leader della maggioranza e quello dell’opposizione devono trovare occasioni per parlarsi». «Credo sia sbagliato giudicare le proposte a seconda che siano pro o contro Berlusconi. Un partito serio giudica in base all’interesse del Paese, tutto il resto è demagogia» (a Daria Gorodisky). «Il 22 dicembre 1998, in piena Bicamerale, annuncia al Foglio che “nel 1999, al termine delle riforme istituzionali, si porrà la questione dell’amnistia”. Così B. si salverebbe da tutti i processi. Ma il Cavaliere non si fida e rovescia il tavolo dell’inciucio. Il 28 febbraio 2002 Violante risponde alla Camera all’accusa del berlusconiano Anedda di voler espropriare B.: “Io sono d’accordo con Massimo D’Alema: non c’è un regime sulla base dei nostri criteri. Però, amici e colleghi, se dovessi applicare i vostri criteri, quelli che avete applicato voi nella scorsa legislatura contro di noi, che non avevamo fatto una legge sul conflitto di interessi, non avevamo tolto le televisioni all’onorevole Berlusconi… Onorevole Anedda, la invito a consultare l’onorevole Berlusconi perché lui sa per certo che gli è stata data la garanzia piena – non adesso, nel 1994, quando ci fu il cambio di governo – che non sarebbero state toccate le televisioni. Lo sa lui e lo sa l’onorevole Letta... Voi ci avete accusato di regime nonostante non avessimo fatto il conflitto d’interessi e avessimo dichiarato eleggibile Berlusconi nonostante le concessioni... Durante i governi di centrosinistra il fatturato di Mediaset è aumentato di 25 volte!”» (Marco Travaglio) [Fat 2/4/2013]. Nel 2008 intervenne nel dibattito sulle intercettazioni definendo «incivile» la pubblicazione di quelle penalmente irrilevanti sulla vita privata delle persone, sia pure ammettendo che «la tutela della privacy non può realizzarsi con l’azzeramento di questo strumento investigativo».
• «Una manciata d’anni fa, il neopresidente della Camera Luciano Violante era l’uomo che tendeva la mano agli ex fascisti (nel discorso d’insediamento alla presidenza della Camera nel 1996 si chiese se l’Italia non dovesse cominciare a riflettere sui vinti, sui ragazzi di Salò – ndr), costruiva un ponte tra le fazioni, ricuciva la cesura tra la prima e la seconda Repubblica, e proseguiva dicendosi favorevole a una commissione d’inchiesta su Tangentopoli, commemorando Craxi accanto alla figlia, riscuotendo riconoscimenti bilaterali» (Aldo Cazzullo nel 2003).
• «Nel luglio 2009 il Corriere rivela che Massimo Ciancimino, sentito a Palermo dai pm che indagano sulla trattativa Stato-mafia, ha raccontato che nell’estate del ’92 suo padre Vito chiese agli ufficiali del Ros Mori e De Donno che trattavano con lui una “copertura politica totale” alla trattativa: da Mancino per la Dc e da Violante per il Pds. Improvvisamente folgorato sulla via di Palermo, Violante rammenta con 17 anni di ritardo che nell’estate ’92, dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio, il colonnello Mori gli chiese più volte di incontrare a quattr’occhi Vito Ciancimino che “voleva parlare”. E si precipita a raccontarlo ai pm Ingroia e Di Matteo. Spiega di aver rifiutato il faccia a faccia; di aver risposto che avrebbe incontrato l’ex sindaco mafioso soltanto ufficialmente in commissione Antimafia; e di aver chiesto a Mori se avesse informato la Procura. Ma, alla risposta negativa (“è cosa politica”), si guardò bene dal farlo lui. E dal domandare: quale “cosa politica” c’era in ballo con la mafia? E chi l’aveva decisa? E a quale scopo?» (Marco Travaglio) [Fat 2/4/2013].
• Nel marzo del 2012 gli era stato affidato dal Pd il compito di mettere a punto una bozza di testo per la riforma elettorale. «Era il 27 marzo 2012, quando l’ex presidente della Camera spiegò che il testo sarebbe arrivato in Parlamento in tempi brevissimi: “Si dovrebbe cominciare la prossima settimana, per concludere tutto a gennaio”, disse tragicamente. Cinque giorni dopo, le settimane erano già diventate due: “La riforma costituzionale e quella elettorale andranno di pari passo, entro due settimane saranno presentate entrambe”, disse il 1 aprile. Il 27 aprile, un qualche pessimismo: “O il testo arriva in Aula entro maggio o non si farà la nuova legge elettorale. Noi entro il 9 avremo chiuso il nostro lavoro, e la parola passerà ai partiti”. Il testo base di lavoro era il suo, la cosiddetta Bozza Violante: un sistema di voto già non semplice, che i vari appetiti dei partiti via via complicavano, in un saettare da mal di testa di collegi, listini, resti, proporzionali, disproporzionali, preferenze sì o no. (…) Arriviamo dunque direttamente a ottobre. Il 14 di quel mese, il requiescat: “C’è il rischio che la riforma elettorale faccia la fine della riforma costituzionale: che non se ne faccia nulla”. E infatti» (Susanna Turco) [Esp 1/4/2013].
• Nel 2007 ha scritto Uncorrect – Dieci passi per evitare il fallimento del Partito democratico (Piemme), in cui critica la linea seguita dal suo partito (Pci, Pds, Ds) partendo proprio da Craxi, una figura complessa che «non si può ricordare solo come uomo di Stato o solo latitante»: il silenzio che seguì la sua chiamata di correità sulla questione del finanziamento dei partiti fece del leader socialista «una sorta di capro espiatorio sull’altare del codice penale». Si attirò così critiche a sinistra, mentre a destra raccolse scetticismo e qualche consenso. «Violante ha un percorso che non è quello di nessuno di noi. Uno sente parlare Violante e immagina che non vorrà cambiare idea. Invece cambia. Anche lui può redimersi, mi si lasci passare il termine» (Marcello Dell’Utri).
• «È un vero leninista, come noi leghisti: il partito viene prima di tutto» (Roberto Maroni).
• È stato tra i dodici saggi incaricati di stendere il manifesto programmatico del Pd. Disse che la disputa sulla nascita del partito ricordava «quella sulla natura del cioccolato nel Cinquecento, che divise gesuiti e domenicani» (per i primi era un liquido, quindi concesso al credente durante la Quaresima, per i domenicani no), ma «mentre i cattolici erano impegnati in queste sottili discussioni, i protestanti si dedicarono subito e proficuamente all’industria del cioccolato».
• Ultimamente la svolta garantista, con la denuncia dell’«intreccio malato» tra pm e cronisti amici, che dà luogo al cosiddetto “processo di piazza”, e la critica al numero eccessivo delle assoluzioni, il 42 per cento delle sentenze di primo grado: «Negli Stati Uniti nessun procuratore distrettuale con una così alta percentuale d’insuccessi verrebbe mai rieletto. In Italia, invece, ogni magistrato continua nella sua progressione automatica di carriera e nessuno dovrà mai permettersi di giudicarlo».
• Nel settembre del 2014 il Pd annunciò la sua candidatura a giudice della Corte costituzionale. Alla prima votazione, su circa 545 voti disponibili nella sua maggioranza (comunque non sufficienti per raggiungere il quorum dei tre quinti necessari), ne prese 429. Seguiranno altre diciannove fumate nere, anche a causa dei contrasti sorti nel centrodestra sulla scelta del proprio candidato. Il 28 ottobre scrisse una lettera, pubblicata dal Corriere della Sera, in cui annunciava la rinuncia alla corsa alla Corte costituzionale: «L’ex presidente della Camera ha scritto un’appassionata lettera alle “signore e ai signori del Parlamento” perché, a questo punto, “è necessario fermare una deriva che offende l’autorevolezza delle istituzioni e la dignità delle persone”. Violante, pur lamentando di aver subito “attacchi infondati”, ritiene di dover “ringraziare non formalmente gli oltre 500 parlamentari” che lo “hanno sinora votato”, invitando “tutto il Parlamento a scegliere altra personalità ritenuta più idonea ad ottenere il consenso necessario”. A chi, soprattutto nel Pd, ha fatto mancare quel pugno di voti marginali (ne servono 570), e forse al premier Matteo Renzi che non lo ha difeso fino in fondo, Violante si permette di far notare quanto sia sbagliata “l’idea, non maggioritaria, ma diffusa che l’attività politica debba ridursi a uno scontro privo di confini e di principi morali”. Perché, “nessun Paese può tollerare per troppo tempo una vita parlamentare frenata da ribellismi e forzature; una democrazia incapace di decidere attraverso il rispetto delle reciproche posizioni è una pura rappresentazione teatrale”» (Dino Martirano) [Cds 29/10/2014].
• Sposato col magistrato Giulia De Marco (Cosenza 21 febbraio 1940). Due figli. Alpinista piuttosto esperto, le sue montagne sono quelle della Valle d’Aosta.