3 giugno 2012
Tags : Vincino
Biografia di Vincino
• (Vincenzo Gallo) Palermo 30 maggio 1946 – Roma 21 agosto 2018. Vignettista. Per 22 anni del Foglio. Fondatore del Male insieme a Pino Zac e a Vauro Senesi. Ha disegnato anche per Cuore, Tango, Corriere della Sera, Sabato, Vanity Fair, ecc. «Non c’è nessuna fine. Solo un quotidiano e faticoso (continua)».
Vita Il padre era direttore dei cantieri navali di Palermo. «Era uomo di grande moralità e sobrietà. Rispettava il ruolo che ricopriva e non ammetteva deroghe alla missione. Non entrava nei bar per paura che gli offrissero un caffè, temeva i conflitti di interesse, a casa non parlava mai di lavoro e si sbatteva per 12 ore al giorno. Quando c’erano i grandi scioperi, mio padre e i capi dei sindacati se ne stavano un giorno intero a girare in auto con i vetri oscurati per Palermo, poi tornavano, facevano finta di litigare altre 24 ore e la finivano lì» [a Malcom Pagani, Vanity 29/5/2016].
• Per un periodo frequenta l’Opus Dei. «Avevo una relazione con una ragazza e lo raccontai al confessore. Lui disse che dovevo troncarla. Preferii troncare con l’Opus Dei». Laureato in architettura nel 1972 con una tesi sull’edilizia popolare a Palermo in cui copia la pianta dell’Ucciardone, esordisce come disegnatore a L’Ora di Palermo. Si trasferisce poi a Roma per sostituire a Lotta Continua Roberto Zamarin, morto in un’incidente stradale. A Lotta Continua fonda e dirige l’inserto satirico L’avventurista. In quegli anni perde la tessera della stampa parlamentare. «Facevo una striscia su Lotta continua di cronaca parlamentare. Cominciai a raccontare l’attività dei lobbisti, dei velinari, il ruolo dei giornalisti. Mi dissero che era sconveniente. Che non ci si rompe le scatole tra di noi. Raccontai che dal tabaccaio della Camera dei deputati vendevano gli accendini di contrabbando. Raccontai l’uso improprio delle interrogazioni. Mi vietarono l’ingresso. Allora presi un permesso per il pubblico. Sotto il cartello che diceva: “Vietato prendere appunti”, mi misi a disegnare sul mio taccuino. Successe un casino. Nilde Iotti mi fece venire a prendere dai commessi. Io mi attaccai al cornicione rifiutandomi di consegnare il taccuino. I radicali urlavano: “Guardate lassù: c’è un giornalista che vuole fare il suo lavoro”. I comunisti: “Macché giornalista, è un cialtrone”. E cominciarono a picchiarsi».
• Partecipa quindi alla fondazione del Male, che dirige per quattro dei suoi cinque anni di vita. «Fu una storia coraggiosa. I disegni li pagavamo cash. Qualcuno diceva: “Il Male è come un bancomat, sicuro e affidabile”. Io non mi offendevo. Negli anni dell’esplosione creativa de Il Male nacquero legami profondi, amicizie importanti, rapporti sopravvissuti alla chiusura del giornale. Volevo che gli artisti si sentissero a proprio agio. Che potessero permettersi di pensarla come noi fondatori. Chiudemmo perché non eravamo in grado di istituzionalizzarci né di amministrare una macchina del genere. Se vendevamo 10.000 copie in più, ci aumentavamo subito lo stipendio per alzata di mano» [a Malcom Pagani, cit.].
• A metà anni ’80 dirige il quotidiano di satira Ottovolante, in edicola solo per 10 giorni. Moltissime le collaborazioni in quegli anni, tra le altre Il Clandestino (supplemento dell’Espresso), Tango (supplemento dell’Unità), Linus. Nel 1987 dirige Zut e inizia a disegnare per il Corriere della Sera. Nel 1988 è fra i collaboratori di Cuore, dove avrà un ruolo centrale fino alla chiusura.
• Dalla fondazione, nel 1996, inizia a disegnare per Il Foglio. «Telefonava una mattina dall’auto al desk del Foglio di Milano: sono a Orte verso Firenze, per Saint Moritz vado bene? Spediva via fax vignette blasfeme, il Pontefice in tendenza weinsteiniana, artigli lussuriosi su suorine discinte, armamentari voluttuari ovunque, per mandare ai matti il caporedattore che ci cascò per mesi, e lo chiamava disperato: non è pubblicabile, me ne serve un’altra, e lui, in un andirivieni tra sé e la sua arte, rispondeva che non era possibile, sto andando a comprare le melanzane. Un mondo a parte, compresi gli errori di ortografia che i primi tempi gli correggevamo – ingenui – con la tracotanza dei perfettini, e lui l’indomani chiamava, eccezionalmente digrignante: lasciatemi gli errori, sono i miei errori» [Mattia Feltri, Sta 22/8/2018].
• Al Foglio è stato l’unico a permettersi di fare dell’ironia sulle campagne antiabortiste di Ferrara, che rispose così: «Una volta Vincino sapeva che il buonumore è delle minoranze. Ora non più».
• Nel 2002 con Ferrara inscenarono un finto licenziamento dal Foglio. «Quando Giuliano lanciò la campagna per boicottare Benigni, ospite a Sanremo, chiamata Bo.Be, “Boicottare Benigni”. Io, al contrario, ero assolutamente con Benigni e realizzai alcune vignette dove proclamo il mio Bo.Bo.Be., “Boicottare il Boicotta Benigni”. Ferrara mi chiamò e mi propose di licenziarmi per finta. Annunciò la cosa, si creò un caso, mi arrivarono attestati di solidarietà. La trovata ebbe successo, il Foglio si trovò a vendere di più. Giuliano è uno dei pochi che sa giocare con il vero e con il falso» [a Luca D’Ammando, Studio 12/7/2018].
• Nel 2011 insieme a Vauro rimandò in edicola per alcuni mesi Il Male (con redazione nella sede storica della Democrazia Cristiana in piazza del Gesù a Roma).
• Nel 2018 ha pubblicato l’autobiografia Mi chiamavano Togliatti… (Utet).
• Sposato con Giovanna Caronia, da cui ha avuto due figlie, Costanza e Caterina.
Frasi «Una delle principali qualità del disegnatore deve essere quella di non seguire la linea del giornale».
• «Cerco il contrasto. Il conflitto. La sorpresa. La contraddizione. L’emozione che non ti aspetti. Poi è il lettore a doversi fare la propria idea. Ogni tanto mi dicono: “Questa non la capisce nessuno” oppure: “Stai parlando ai 10 che conoscono quell’aneddoto”. “Va benissimo – rispondo – è perfetto. Mi diverte e mi piace così”».
• «Ci spieghi come fa, uno che disegna satira, a vederci più lontano di tutti. I tanti anni di mestiere? “Vado spesso in Parlamento, vado ai congressi, vado a vederli da vicino, questi politici, e cerco di capirli. Spesso funziona”» (a Goffredo Pistelli).
• «Le associazioni dei genitori cattolici spesso mi denunciano. Una volta pubblicai una vignetta in cui il Papa si alzava le sottane. Finii sotto processo a Civitavecchia. Il mio avvocato chiese di sentire come testimone il Papa. Mi prosciolsero all’istante».
• «La sinistra ha una capacità censoria enorme. Se diventi una voce discordante, subito si fa il vuoto intorno. Ti cacciano. Gli amici non ti salutano. Sei un traditore, uno schifoso, un pezzo di merda, uno stronzo. Come è successo a Forattini. Non mi perdonano di collaborare al Foglio. Franca Rame, alla trasmissione di Santoro su Travaglio, mi disse: “Non ti considero più mio amico”».
• «Noi di satira siamo cornuti e siamo ottimisti e abbiamo un sacco di disegni ancora da fare».
Critica «Disegna sprazzi, nuvolette, ovali, tableau disordinati, concatenazioni scatenate, non vignette se non occasionalmente» (Giuliano Ferrara).
«Un artista geniale e un uomo persuaso che niente valesse più di quello che sentiva giusto. Uno fisicamente alieno da ogni convenienza» (Adriano Sofri).
• «Satira muta quella di Vincino, di poche parole. Era difficile per un comunista come lui non essere di parte. Lui non lo era, aveva libertà di giudizio anche verso la sinistra» (Giorgio Forattini).• «Il potere lo affascinava, non ha fatto altro che raffigurarlo e sfigurarlo, per la sua intera carriera; a differenza di molti altri satirici il sociale lo interessava poco, quello che lo affascinava era il Palazzo» [Michele Serra, Rep 22/8/2018].
• «La sua natura ribelle, trasgressiva ma anche sorniona e meridionale, da non violento che quando si rischiano le botte scappa e se i fascisti lo acchiappano urla “viva il Duce”, e non disdegna lo sterco del diavolo ma ne rivendica la dignità per cui, ancora come spiegava Giuliano Ferrara “c’è sempre il problema del compenso a Vincino”, e quel suo passare attraverso fogli a più tinte dal Manifesto al Corriere della Sera e al Foglio dove si accasa per 22 anni tanto che si autodefinisce “vignettista di facili costumi”» (Marco Ventura).
• «Camminava, ma con quelle gambe e quelle braccia lunghe sembrava una corsa, anzi una volata. Camminava, ma portava con sé un vento pieno di cose arruffate, matite, fogli, giornali, occhiali che cascano e una borsa a tracolla strapiena di genio e di gentilezza. La redazione diventava più bella, diventava Parigi, il mare di Sicilia, il caffè fumoso degli artisti, e il Foglio ogni volta diventava un affresco. Gli sorridevano gli occhi mentre disegnava e anche mentre ci guardava e ci disegnava tutti, sempre da sotto in su anche se era il più alto. Guardava in un modo soltanto suo, un po’ dal basso e un po’ di lato, con gli occhiali e tutto il corpo si immergeva per poi riemergere, e dopo tanti anni l’ho capito: cercava una fessura per entrare, perché Vincino guardava prima dentro e poi fuori» (Annalena Benini).