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 2012  giugno 03 Domenica calendario

Biografia di Paolo Villaggio dal Catalogo dei viventi 2009

• Genova 30 dicembre 1932-Roma 3 luglio 2017. Attore. È l’inventore della saga di Fantozzi (cinque libri, dieci film, il primo nel 1975), «la più grande maschera comica dopo Totò» (Paolo D’Agostini). David di Donatello come miglior protagonista per La voce della luna (Fellini 1990), Nastro d’argento per Il segreto del bosco vecchio (Olmi 1993). «Io sono inappagato: mi piacerebbe aver vinto l’Oscar al posto di Benigni, vorrei avere i soldi di Berlusconi, essere fidanzato con le veline. Alle veline non gliene frega un cazzo dei vecchi di successo, vogliono i centravanti. Vorrei essere un centravanti».
Ultime In occasione dei suoi ottant’anni, ha portato in scena la pièce La Corazzata Potemkin è una cagata pazzesca: «In realtà il titolo ammicca a quella gag ma non si parla di Fantozzi. Ripesco il mio lato cabarettistico. Parlo molto con il pubblico nel quale vedo sempre parecchie vedove felicissime di essersi finalmente liberate dei mariti». Nel 2013, Beviamoci su, «più che uno spettacolo, un incontro conviviale col pubblico, nelle vesti di maitre» (Roberta Maresci). «Il pericolo è che arrivino disoccupati, terroristi o gente dai 15 agli 80 anni: ma è un esperimento nuovo». Anche una piccola apparizione al cinema in Tutto tutto niente niente (Giulio Manfredonia 2012), con Antonio Albanese, in cui impersona un Presidente del Consiglio laido ed ingordo.
• Negli ultimi anni ha intensificato l’attività letteraria. Ben quattro pubblicazioni nel 2011, tra cui la biografia umoristica La vera storia di Carlo Martello (Dalai), con prefazione di Dario Fo, ed Autobiografia bugiarda, un libro-intervista con Luca Sommi (Aliberti): «A bordo delle nave Federico C., dove io facevo l’intrattenitore e Fabrizio De Andrè aveva un’orchestra, eravamo tutti genovesi tranne il pianista: era un ragazzo milanese che poi si è montato la testa e ha cominciato ad aprire televisioni, giornali, costruire città. Pensa che quel ragazzo milanese era talmente sveglio che poi è diventato presidente del Consiglio». Nel 2012, la Tragica vita del ragionier Ugo Fantozzi (Mondadori), dove per la prima volta ne racconta la nascita, in via Sardegna a Genova e l’adolescenza. Ultimo libro, Lei non sa chi eravamo noi (Mondadori 2014), scritto con Adriano Panatta, sulla storia della loro amicizia.
• Nel 2012, nella trasmissione Brontolo su Raitre ha detto che «i sardi non fanno figli perché si accoppiano con le pecore». Poi ha chiesto scusa: «Sono disposto a fare a piedi vestito da Cristo da Olbia fino a Cagliari chiedendo scusa ogni due chilometri».
Vita Famiglia della borghesia colta (padre siciliano astronomo, madre veneziana laureata in Glottologia). «Villaggio è un nome di anagrafe. Vuol dire che il padre di mio padre, mio nonno, era un trovatello. E come alla maggior parte dei trovatelli siciliani gli fu imposto un nome inventato: Villaggio. Io, però, so come si chiama questo mio antenato (il padre di mio nonno), che era ricchissimo e intelligentissimo, il quale, però, non ci ha voluto riconoscere. Io ho ereditato da lui la vivissima intelligenza che mi ritrovo. Ma ahimè non le strepitose ricchezze» (da un’intervista di Enzo Magrì del 1971).
• Aveva un fratello gemello, Piero (31 dicembre 1932 - 5 gennaio 2014) professore di Analisi algebrica alla Normale di Pisa («non ci somigliamo fisicamente, essendo biovulari: l’unica cosa che abbiamo uguale è la voce»). «Mio padre voleva che facessi l’ingegnere. Quando ha espresso il desiderio che mio fratello e io facessimo Matematica, ci siamo iscritti a Matematica. Mio fratello è diventato un autorevole professore. Io dopo un anno ho cambiato: sono andato a finire a Legge. Poi ho trovato lavoro a bordo delle navi... Ma non è che abbia detto no a mio padre: sono scappato».
• Sulle navi da crociera «non ero disposto a far divertire gli altri. Volevo divertirmi io, ma non mi riusciva e comunicavo la mia insoddisfazione ai passeggeri. Fortunatamente ogni tanto ne individuavo qualcuno che aveva lo spirito dell’animatore, lo raccattavo e mi salvavo. Le crociere si facevano d’estate nel Mediterraneo e d’inverno ai Caraibi. Ho passato sulle navi cinque anni. E ho avuto compagni straordinari: Fabrizio De André lo era di giochi, di tutto...».
• «Avevo trovato un posto in una società consorella del Gruppo Iri e, eh, beh, d’estate quando mi hanno richiamato a bordo mi sono fintamente e biecamente ammalato, e sono andato a fare una crociera di 15 giorni. Son tornato abbronzato in maniera ripugnante, ma fortunatamente non mi hanno ucciso. Più che una disubbidienza è stata una truffa oscena nei riguardi del datore di lavoro: che poi era lo Stato. Ho lasciato la società, perché avevo trovato un lavoro migliore: fare teatro-cabaret a Roma. Sono andato a chiedere un’aspettativa e m’han detto di no, loro, e io ho detto: “Va be’, me ne frego”. E mi sono autolicenziato, perdendo il 50 per cento della liquidazione».
• «Fantozzi in realtà si chiama Bianchi. Al tempo in cui l’ho conosciuto, il suo ufficio era collocato in un sottoscala, questo Bianchi aveva i baffi. Era un uomo che, penso, abbia fatto studi profondissimi per riuscire a non pensare a niente per sei ore filate. Sono stato insieme con lui per parecchi anni. Parlottavamo ma non sono riuscito mai a conoscerlo bene. Il mio primo incontro con lui si è svolto in una stanzetta, in questo sottoscala che gli avevano assegnato come ufficio. Quel giorno gli ho dato la mano dicendogli: “Permette?”. Lui si è alzato. Gli ho chiesto: “Ma perché si alza?”. E Bianchi-Fantozzi: “Credevo che volesse ballare”».
• «Fracchia era uno che lavorava con me all’Italsider. Si chiamava in realtà Verdina. Un uomo fisicamente mostruoso. Non brutto. Un tipo amaro. Calosce, ombrello. Uno che si incavolava da matti. Che non sopportava le ingiustizie. Urlava, imprecava. Diceva: “Qui bisogna parlare una volta per tutte. Bisogna andare dal capo, dirgli in faccia quello che merita”. E noi: “Allora vai su a dirglielo”. Fracchia non esitava: “Ma certo che vado”. E gli crollava tutto addosso. Il nostro capo era un procuratore. Neppure un direttore. Cercava persino di aiutare il Fracchia mettendolo a suo agio quando entrava nel suo ufficio. Ma Fracchia veniva sempre colpito da “paralisi autocritica”. Naturalmente, quando Fracchia tornava da noi, nessuno gli diceva “Come è andata?”. Fracchia e Fantozzi sono due impiegati limite. Fracchia è uno che si incavola, mentre Fantozzi è uno che prende la vita come viene. Insomma sono i due aspetti della mia persona».
• Imparato il mestiere nella compagnia goliardica Baistrocchi, nel teatrino genovese di piazza Marsala, nel cabaret romano 7x8 e alla radio, nel 1968 esordì in tv con Quelli della domenica. Al cinema cominciò con Brancaleone alle crociate (Monicelli 1970).
• «Mi ha telefonato il padre di Frizzi, ha presente il presentatore? Fulvio Frizzi era il capo della Cineriz e, dopo il primo film di Fantozzi, nel 1975, mi dice “guarda che farà un miliardo e mezzo di lire”. Ero nel bagno, guardavo mia moglie che si truccava, lì per lì non mi sono reso conto» (da un’intervista di Wanda Valli).
• Nel 1992 ricevette il Leone d’oro alla carriera: «Poi lo vinsero anche Sordi e Gassman. Ma io fui una rottura assoluta. Era la prima volta che si premiava un comico. Questo lo disse Gillo Pontecorvo».
• «Quando ho vinto il Leone d’oro sono andato alle sette del mattino con mia moglie in gondola al ponte di Rialto, siamo scesi e abbiamo bevuto due bicchierate di vino bianco, e le ho detto: questo forse è il momento più felice della mia vita. Il successo è la cosa che appaga di più. Quelli che non ce la fanno diventano violenti: quelli della Curva che vanno armati fino ai denti, della partita non gliene frega niente. La tv li inquadra e loro sono ancora più violenti purché si parli di loro».
• È sposato con Maura Albites (due figli) che conosce dal 1954 e che seguì quando lei se ne andò a lavorare a Londra. Lì fece il guardarobiere in un night, poi l’agricoltore a Bedford in un campo di patate. Di quel periodo Maura ricorda solo una sciarpa, «l’inizio del nostro amore»: «Aveva una sciarpa al collo che io gli portai via alla stazione di Charing Cross. Quando gliela rimisi di slancio, agganciai dietro di lui anche un inglese di passaggio. Non ce ne siamo accorti, all’inizio. Dopo un po’ sentiamo una voce: “Sorry, sto perdendo il treno”».
• «Ho già predisposto il finale. Verrò a passare le ultime ore a Sori, sulla riviera ligure, dove sono i miei genitori, mi farò cremare e poi una ragazza giovane mi butterà nel mare che amo tanto. Altrimenti, se diventa complicato, ho già pronto un ristoratore di Sori che mi farà bollire. Ore, ore e ore».
Critica «Fondata sulle figure dell’iperbole surrealisica e della ripetizione meccanica con prestiti dalla tecnica dei cartoons (il regista Neri Parenti ha fatto con lui i suoi film migliori), la sua comicità tende al catastrofico e al mostruoso, non teme la sgradevolezza, l’antipatia, il cattivo gusto e ha spesso agganci precisi con la società italiana dagli anni Settanta in poi e col mondo in cui viviamo. La sua è una buffoneria che, fingendo di colpire l’eccezione, vellica e vendica. “Il lessico fantozziano è entrato nella lingua comune degli italiani con la potenza di sfondamento di certi slogan pubblicitari” (Sandro Casazza). Tra le cause del suo successo c’è la sua funzione di parafulmine: è più sventurato e più cretino dello spettatore medio» (Morando Morandini).
• «È una comicità colta; basta stare attenti e vi si trova dentro la Commedia dell’arte, Molière, la satira americana di certo periodo cinematografico» (Dario Fo).
Frasi «Una volta mi ha invitato la Fondazione Cini, si parlava di scrittori italiani tradotti in cirillico. È andato a parlare Evtuschenko e ha detto: l’unico autore degno di Gogol e Cecov è “Vigliacco”. L’unico a capire che parlava di me sono stato io. Mi sono avvicinato mentre Moravia mi guardava con una faccia terribile...».
• «Tra il carcere e la Corazzata (Potëmkin - ndr), scelgo il carcere».
• «Ho passato anni ad andare al cineforum al sabato pomeriggio con De André, mentre gli altri uscivano con le ragazze. E ogni tre mesi, oplà, ecco la corazzata Il grande momento fu quando al festival di Mosca, al cinema Lenin, fu proiettato Il secondo tragico Fantozzi. Nessuno dell’organizzazione si era accorto della scena sulla Corazzata. Ma quando è arrivata la gente all’inizio cercava di trattenersi. Poi, però, sulla battuta il teatro è esploso».
• Milano, «la città con i ricordi più felici della mia vita, quella delle notti in giro con gli amici del Derby, Gaber, Pozzetto e quel tiratardi di Umberto Simonetta. Ora pare si sia trasformata in un feudo di sarte».
• «E Villaggio per cosa vorrebbe essere ricordato? “Per aver inventato Fantozzi, perché è un perdente in cui tanti si sono riconosciuti e hanno trovato un compagno di sfiga. Sapesse quante volte mi hanno detto: "Grazie a Fantozzi mi sono liberato dall’incubo di essere mediocre!"» (a Emilia Costantini) [Corriere della Sera 10/12/2011].
Religione «Per fare il chierichetto ero andato contro la famiglia, ma ho perso la fede. È stato un attimo. Padre Riccardo ha aperto il tabernacolo con la sua chiavetta dorata per prendere le ostie: ce n’era una grande per lui e quelle piccole per i fedeli. Ha visto che quella grande si era spezzata e l’ha gettata via. Sono rimasto scioccato. Dopo un anno io e mio fratello ce ne siamo andati. Ormai eravamo atei. Mi ha commosso invece la messa celebrata a Catania, per fermare la lava dell’Etna. Mi ha colpito la fede primordiale, da Giurassico, come quando per chiedere la pioggia si facevano i sacrifici umani. A una messa così vorrei andare. Per una fede come questa potrei tornare chierichetto».
Tifo Sampdoriano.