3 giugno 2012
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Biografia di Denis Verdini
• Fivizzano (Massa Carrara) 8 maggio 1951. Politico. Senatore eletto nel 2013 con il Pdl (poi Fi), il 29 luglio 2015 ha fondato il gruppo parlamentare Ala (Alleanza liberalpopolare – Autonomie). Ex coordinatore nazionale di Forza Italia («agli occhi del presidente la figura perfetta» per traghettare il partito nel Pdl) e membro del comitato di presidenza di Fi. Eletto alla Camera nel 2001, 2006, 2008 (Fi, Pdl). «Verdini è un pragmatico, che conosce la prima regola della politica: i rapporti di forza» (Matteo Renzi).
• Già presidente del Credito cooperativo fiorentino (fino al 2010) e socio del Foglio (fino al 2015), «amante dell’economia e della storia della moneta, pubblicazioni con il Mulino, repubblicano prima di innamorarsi del Cavaliere» (Marco Gazzullo).
• «Denis Verdini è nato a Fivizzano, in provincia di Massa Carrara, lo stesso paesino di Sandro Bondi, ex teologo del berlusconismo inteso come fede. Si chiama così, Denis, perché il padre era un prigioniero di guerra e quando ritornò in Italia il primo soldato cui rivolse la parola aveva questo nome. “Mi chiamo Denis perché per mio padre questo nome era il ritorno alla libertà”. Il papà era un ufficiale degli alpini, rigidissimo. Rinchiudeva il figlio ribelle in biblioteca e questi leggeva per far trascorrere il tempo» (Fabrizio D’Esposito) [Fat 31/7/2015].
• Laurea in Scienze politiche, «quando commerciava in carni da macello in giro per l’Europa riusciva a fare tanti soldi che ogni volta che tornava nella sua Toscana comprava un palazzo. Altro viaggio tra la Germania e la Spagna, altre tonnellate di braciole per la ditta di import-export per cui lavorava, altro palazzo. Un giro in Irlanda (lì i pascoli non scherzano) e di nuovo: un palazzo. Alla fine, Denis Verdini ha messo insieme esperienza e soldi, tanti soldi, da potersi permettere non solo di diventare quello che a Roma chiamerebbero un palazzinaro, ma anche da mollare fiorentine e quarti di bue, mollare, alla fine, anche i palazzi, diventare un commercialista di grido, fondare un giornale, diventare presidente di una banca, aprire e chiudere società come fossero scatole di cioccolatini» (Libero).
• «La sua è una storia curiosa, che incrocia la vicenda di Giovanni Spadolini e di Giuliano Ferrara. Spadolini è stato, con Giovanni Sartori, suo professore all’università di Firenze dove Verdini, toscanissimo e fiorentino di adozione, ha studiato Scienze politiche. È grazie a Spadolini e a Sartori, ama raccontare, che ha scoperto di avere la politica nel sangue. Ma lo spartiacque del suo percorso è il 1997, anno in cui Ferrara, allora consigliori molto ascoltato dal Cavaliere, si butta in una delle sue avventure impossibili, decidendo di candidarsi contro Antonio Di Pietro nel Mugello. Verdini piomba dal nulla e si offre di dare una mano, e di lì comincerà la sua vicenda politica nazionale. A dire il vero a prendere l’iniziativa è la moglie. Simonetta Fossombroni, della grande famiglia toscana e liberale, non è solo una donna bella e affascinante ma cura la Fondazione Spadolini a Pian dei Giullari, là dove risiedono anche i coniugi Verdini in una casa da favola. E ha una grande stima per il direttore del Foglio (di cui Verdini diventerà un finanziatore)» (Maria Grazia Bruzzone).
• Dal 2010 coinvolto nell’indagine sulla P3, con altre venti persone: «Tutti sono accusati di aver violato la legge Anselmi per aver partecipato a un’associazione “caratterizzata dalla segretezza degli scopi, dell’attività e della composizione del sodalizio e volta a condizionare il funzionamento di organi costituzionali e di rilevanza costituzionale”. Un sodalizio impegnato “a realizzare una serie indeterminata di delitti di corruzione, abuso d’ufficio, illecito finanziamento dei partiti, diffamazione e violenza privata”. (…) A gestirla secondo la Procura della Repubblica di Roma Flavio Carboni, Pasquale Lombardi e Arcangelo Martino» (la Repubblica) [3/1/2012]. Il 5 novembre 2014 Verdini è stato rinviato a giudizio per corruzione.
• Nell’ambito dell’inchiesta sulla P4, il 12 giugno 2012 la Giunta per le autorizzazioni della Camera disse sì alla richiesta dei magistrati di utilizzare le intercettazioni che lo coinvolgono, col voto contrario del solo Pdl.
• Imputato nel procedimento sulla gestione del Credito cooperativo fiorentino, di cui è stato presidente per quasi vent’anni (fino al 2010), nel luglio del 2014 è stato rinviato a giudizio con l’accusa di truffa ai danni dello Stato per i fondi per l’editoria, che secondo la Procura di Firenze avrebbe percepito illegittimamente per la pubblicazione del Giornale della Toscana. «Secondo le indagini preliminari, chiuse nell’ottobre 2011, finanziamenti e crediti milionari sarebbero stati concessi senza “garanzie”, sulla base di contratti preliminari di compravendite ritenute fittizie. Soldi che, per la Procura di Firenze venivano dati a “persone ritenute vicine” a Verdini stesso sulla base di “documentazione carente e in assenza di adeguata istruttoria”. In totale, secondo la magistratura il volume d’affari, ricostruito dai carabinieri dei Ros di Firenze, sarebbe stato pari a “un importo di circa 100 milioni di euro” di finanziamenti deliberati dal cda del Credito i cui membri, secondo la notifica della chiusura indagini “partecipavano all’associazione svolgendo il loro ruolo di consiglieri quali meri esecutori delle determinazioni del Verdini”. In sintesi secondo l’accusa, Verdini decideva a chi dare, e quanto, mentre gli altri si limitavano a ratificare “senza sollevare alcuna obiezione”» (il Fatto Quotidiano) [15/7/2014]. Il 23 luglio 2015 è invece stato rinviato a giudizio, insieme ad altri due imprenditori, nell’ambito di un procedimento in cui si ipotizza la bancarotta fraudolenta per il fallimento di una ditta che aveva un debito di 4 milioni di euro con il Credito Cooperativo fiorentino, all’epoca presieduto da Verdini.
• Il 22 settembre 2014 è stato rinviato a giudizio perché coinvolto in un’inchiesta sulla compravendita di un palazzo di via della Stamperia, alle spalle di Fontana di Trevi, comprato e rivenduto all’Enpap, nella stessa giornata, dal senatore di Fi Riccardo Conti il 31 gennaio 2011 con una plusvalenza da 18 milioni di euro. Secondo la procura Verdini non ebbe alcun ruolo nella compravendita ma pochi giorni dopo avrebbe ricevuto un milione di euro. Il senatore e il collega di partito sono accusati di finanziamento illecito. A processo anche l’ex presidente dell’Ente di previdenza degli psicologi, Angelo Arcicasa. Verdini: «Come espressamente affermato nella richiesta di rinvio a giudizio della procura di Roma, e confermato dal gup, mi viene contestato esclusivamente il reato di finanziamento illecito ai partiti, per una vicenda che nulla ha a che vedere con la compravendita in questione, nella quale, come sottolineato chiaramente dagli stessi inquirenti, io non ho avuto alcun ruolo» (la Repubblica).
• Il 20 febbraio 2015 la Procura di Firenze ha chiesto il rinvio a giudizio di Verdini accusandolo nuovamente di bancarotta fraudolenta, questa volta «per il fallimento, nel febbraio 2014, della Società Toscana Edizioni (Ste), che pubblicava il “Giornale della Toscana”, venduto in allegato a “Il Giornale”. Insieme a Verdini, ritenuto “dominus” della società, è indagato il coordinatore toscano di Fi, Massimo Parisi. Secondo la guardia di finanza e la procura di Firenze, nel 2005 i due esponenti politici si sono appropriati ciascuno di 1,3 milioni di euro della Ste – che "si trovava in uno stato di grave difficoltà economica" – vendendole quote di un’altra società, la Nuova Toscana Editrice, di cui detenevano il 40% e che aveva un capitale sociale di 62 mila euro. Gli altri indagati sono gli ex vertici della Ste, Girolamo Strozzi Majorca Renzi, Enrico Luca Biagiotti e Pierluigi Picerno» (La Stampa) [25/11/2014].
• «L’uomo che organizza o organizzava la vita politica di Berlusconi e specialmente quella parlamentare, mago dei numeri, capace di prevedere al millimetro l’andamento di un voto, il numero di tradimenti... Ma è fiorentino, e in quanto fiorentino conosce benissimo Renzi, anzi è amico di Renzi, i due si telefonano, “Ciao Denis”, “Senti Matteo ti volevo dire...” eccetera eccetera. Verdini sarebbe il perno che ha reso possibile l’alleanza tra Renzi e Berlusconi, il famoso patto del Nazareno avversato con tutte le forze dalla sinistra del Pd e dalla destra di Forza Italia» (Giorgio Dell’Arti) [Gds 23/9/2014]. Verdini ha quindi legato il suo destino politico proprio al Patto, «che ha tenuto fino all’elezione di Mattarella. Berlusconi e Brunetta si offesero perché Renzi aveva scelto il presidente della Repubblica senza consultarli, Verdini stava sulle scatole – come dice lui – alle ragazze che circondano l’ex Cav, se n’è andato, ha fondato il gruppo parlamentare Ala (Alleanza liberalpopolare Autonomie, gli sfottò di Travaglio si sprecano) e s’è rimesso a fare il Patto del Nazareno, cioè l’accordo tra il Pd e un gruppo non-Pd probabilmente di destra» (Dell’Arti) [Gds 5/10/2015]. «Il Verdini-pensiero è racchiuso nella massima più volte ripetuta al Cavaliere: “Silvio, stracciare il Nazareno è una follia: un comunista più anticomunista di questo non s’è visto mai”» (Francesco Cramer) [Grn 28/9/2015].
• «“Tutti mi chiedono cosa ci guadagnano a venire con me. Gli rispondo che sono il taxi. Vuoi rimanere al potere? Solo io ti conduco in dieci minuti da Berlusconi a Matteo”. A pancia piena, in una saletta riservata di un noto ristorante del centro romano, davanti ai commensali più fedeli, Denis Verdini si sbottona. Spiega, chiarisce e disegna su un foglietto la sua tela. La “tela del ragno”. Dove c’è un transfuga, là c’è l’ex macellaio toscano. Un tempo li portava in dote ad Arcore, oggi li serve su un piatto d’argento a Renzi. Sono già dodici senatori e undici deputati. E cresceranno. Siccome adora Pirandello, lo cita a memoria mentre seleziona prede: “Preferisco i personaggi in cerca d’autore”. Promette l’eldorado, li seduce con l’ultima lettera inviata a Berlusconi. Che recitava: “Caro Silvio, la politica moderna è leadership. Prima c’eri tu, ora Renzi. Hai quasi ottant’anni e non puoi competere. Se non fai il padre nobile andrai a sbattere. Sarà lui a governare l’Italia per i prossimi dieci anni”. E Verdini vuole partecipare al ballo: “Ho giurato a Matteo che costruiremo assieme il partito della nazione”. La regola è lavorare nel retrobottega, ma l’eccezione è di queste ore. Interverrà in Aula prima del voto finale sulle riforme, poi inizierà ad accettare gli inviti nei talk show. Vuole riverniciare il vecchio mondo del berlusconismo, per poi legarlo strutturalmente a un Pd senza comunisti. Partito della Nazione e un’alleanza stabile. Serve però un premio di coalizione, e Verdini promette: “L’Italicum cambierà, ma solo nel 2017”. “Del resto – chiude la cena Verdini – io sono amico di chi conta. E sfrutto questa fortuna”» (Tommaso Ciriaco) [Rep 27/9/2015].
• All’indomani dello sfaldamento del Patto del Nazareno, «Verdini aveva perso tre volte in un colpo solo: perché era saltato il Patto, perché era stato accerchiato dal “cerchio magico”, e perché – siccome in Forza Italia il leader non sbaglia mai – aveva sbagliato solo lui. Ma Verdini sentiva di aver vinto: perché il Patto non era davvero saltato, perché non aveva accettato di dimissionarsi, e perché Renzi aveva annunciato di non voler parlare con altri messaggeri dell’ex premier. Per quanto messo al rogo, Verdini non sembra temere le fiamme dell’inferno politico. Almeno così c’è scritto nelle sue memorie: “Mi sento sollevato, libero da responsabilità. Osservo nani e ballerine far festa per la fine del Patto. Io sto seduto sulla riva del fiume in attesa di pescare qualche pesciolino. Come Mike Bongiorno, sto lì: busta numero uno, busta numero due e busta numero tre…”. Non è dato sapere a cosa alluda con quest’ultimo concetto. Lui, che si muove tra le colonne e però tiene sulla scrivania un piccolo Vangelo rilegato in pelle rosso fuoco, spesso parla e scrive senza volersi fare decrittare. (…) Definisce un “errore la fine del Pdl”: “La rottura fu un errore strategico, perché dividersi è significato indebolirci reciprocamente. Se non lo avessimo fatto, forse oggi non ci sarebbe stato Renzi”. Così Verdini arriva alla sorgente dei mali del centrodestra, che è la rottura con il governo Letta: “Resto convinto che la crisi andasse aperta per dare un segno di solidarietà a Berlusconi, ingiustamente estromesso dal Senato. Ma la mia tesi era che dopo quindici giorni avremmo fatto un altro governo”» (Francesco Verderami) [Cds 7/2/2015].
• «Denis Verdini, lucido costruttore del realismo machiavellico, (…) che porta il cavallo di Troia del berlusconismo dentro le mura del partito di Renzi obbedisce a un istinto tutto arcitaliano. È quello di tanti moderati, che nell’attraversare la secca cercano la piena della libido dominandi e piegano gli interessi a un unico interesse sociale: restare maggioranza. In politica il successo sana tutto. Perfino il vuoto» (Pietrangelo Buttafuoco) [Fat 4/5/2015].
• «Si può dire che i due, Renzi e Verdini, parlino la stessa lingua, siano consanguinei della politica pragmatica, senza fronzoli, da gomitate nello stomaco» (Paolo Guzzanti a Goffredo Pistelli) [Iog 26/8/2015].
• «È un’impalpabile nuvola fatta di intrecci ed equivoci reciproci che avvolge e nutre questa amicizia gloriosa e periclitante tra Denis Verdini e Silvio Berlusconi, che per quasi diciassette anni sono stati Cavaliere e scudiero, Don Chisciotte e Sancho Panza, e adesso invece chissà. Verdini, coordinatore e banchiere, ha avuto il suo ruolo di primo piano in questo ludico schema di commistioni tra privato e pubblico, politica e denari, interesse e consenso, in questo pasticcio di successo che è stato il ventennio berlusconiano, fino alla sensalìa del Nazareno. Come andrà a finire con Verdini non lo sa nessuno, ma poiché la narrazione e la pantomima sempre raggiungono nel mondo di Arcore una certa grazia acrobatica, qualcuno suggerisce che le mosse sinuosamente renziste del suo vecchio scudiero, sotto sotto, al Cavaliere che punta al 2018 non dispiacciono affatto» (Salvatore Merlo) [Fog 10/6/2015].
• «Denis Verdini è un personaggio riservato, non vanta le sue amicizie. E non ha mai rivelato quella sua antica consuetudine da editore con il distributore di giornali di Rignano sull’Arno Tiziano Renzi e con il di lui figliolo Matteo, ragazzo sveglio, da non perdere di vista, da coltivare. Il senatore di Forza Italia negli ultimi tempi è cambiato. Non abita più nel palazzo Pecci Blunt all’Ara Coeli, di fronte al Campidoglio, come negli anni ruspanti della conquista del potere romano e del vertice berlusconiano, dove riceveva gli ospiti tra marmi, soffitti affrescati e letti con baldacchini. Si è trasferito alle spalle del Senato, tra piazza Nicosia e via dell’Orso. Con il passare degli anni è diventato più emotivo. Si scalda, si commuove, piange in pubblico. Successe la prima volta quasi un anno fa, il 2 ottobre 2013, quando per la prima volta nella vita sbagliò i conti: aveva giurato al Capo che con Angelino Alfano se ne sarebbero andati quattro gatti, invece furono abbastanza per tenere in piedi il governo Letta al Senato. È successo ancora quando ha fatto la mossa di abbandonare l’assemblea di Forza Italia. (…) In apparenza, sembra l’opposto del premier. Non partecipa ai talk show, non rilascia interviste, non cinguetta su Twitter. Ma Verdini attraversa tutta la biografia di Renzi come un’ombra. L’ombra della luce. Se la vecchia conoscenza con il babbo Tiziano non è un’allucinazione, come direbbe il ministro Maria Elena Boschi, ci sono altre istantanee del passato. (…) Il 30 marzo 2005 il capo della Croce rossa Maurizio Scelli convoca una grande manifestazione al Pala Mandela di Firenze con il premier Berlusconi: dovrebbe essere una kermesse di giovani per Silvio, ma è un flop colossale, i pullman non arrivano, gli spalti sono deserti. Berlusconi resta cinque ore in attesa, infuriato con gli organizzatori, lo fanno accomodare in prefettura, la stessa sede della provincia, c’è un solo lampo di luce in quella giornata da cancellare, quando arriva Verdini con un giovane spavaldo: “Silvio, c’è una persona che devi assolutamente conoscere...”. È il presidente della Provincia, il trentenne Matteo Renzi. “Non è dei nostri”, sospira Denis, “ma è bravo”. E con B. è un colpo di fulmine. Nel 2008 l’editore Verdini organizza una cena sontuosa in una villa fiorentina per festeggiare il decennale del Giornale della Toscana. Ci sono tutti i notabili azzurri della regione al gran completo, ma l’invitato d’onore è un altro, l’unico big del centrosinistra toscano presente al festeggiamento, ancora lui, Matteo Renzi. Più un amico che un avversario: la Provincia non risparmia la pubblicità sul quotidiano fiorentino, l’uomo di raccordo è il numero uno di Florence multimedia, la società di comunicazione creata da Renzi, Andrea Bacci. (…) Bacci è amico di Riccardo Fusi, socio di Verdini, poi coinvolto nelle inchieste sugli appalti della Cricca, a lui chiederà un elicottero in prestito per portare Renzi a Milano alla trasmissione di Daria Bignardi (all’insaputa di Matteo, però, e comunque non se ne farà nulla). Quando Renzi prende la parola in quella cena si fa silenzio, il suo è un discorsetto di circostanza, del tipo “siamo su sponde diverse, ma è giusto dialogare”, ma anticipa un refrain destinato a tornare attuale. (…) Alla fine del 2013 sembra un uomo finito. Forza Italia si è sfasciata, la fidanzata di Berlusconi l’ha messo alla porta di palazzo Grazioli, il capo non si fida più. Sono rimasti con lui alcuni fedelissimi, il deputato Massimo Parisi, e l’amica Daniela Santanché. E le inchieste giudiziarie che lo riguardano stanno per entrare nel vivo. (...) Vista la fine di altri colonnelli berlusconiani, Marcello Dell’Utri, Cesare Previti, Claudio Scajola, Giancarlo Galan, ci sarebbe di che preoccuparsi. Se non fosse per l’antica amicizia fiorentina che rimette Verdini al centro del gioco. All’indomani delle primarie dell’8 dicembre 2013 che plebiscitano Renzi a capo del Pd, Denis chiama Matteo e riallaccia la vecchia frequentazione. È lui il vero autore del patto del Nazareno. Nelle riforme c’è la sua mano, il bilancino con cui Denis pesava le libbre di carne quando da ragazzo trafficava quarti di bue e bistecche oggi gli serve per misurare quorum, premi di maggioranza, soglie di sbarramento, con una competenza che ha sbalordito un esperto come il professor Roberto D’Alimonte durante le trattative sull’Italicum» (Marco Damilano con Mario Lancisi) [Esp 28/7/2014].
• «Singolare incrocio di doppia personalità, Denis Verdini, tra il Sassaroli della Supercazzola di Monicelli e il Padrino di Mario Puzo. Sdoppiamento nel quale ama crogiolarsi: "Io di cuori ne ho due… come qualcos’altro". Alquanto generoso con se stesso, per la verità, l’uomo che inventò il patto del Nazareno tra Renzi e Berlusconi e che, abbandonato il Pinocchietto di Arcore, si candida a costruire il renziano Partito della Nazione o, quantomeno, a tenere in vita finché si può il governo dell’amico fiorentino, che in privato vanta di avere "scoperto" fin da quando portava i calzoni corti. E non siamo affatto su "Scherzi a parte", come ha motteggiato tristemente Pierluigi Bersani. Sul battito dei due cuori gemelli di Denis, chi lo conosce da una vita si permette di dubitare fieramente, preferendo attribuirgli peculiarità un po’ meno nobili. Un ex deputato Pdl intervistato da Marco Damilano lo ha descritto così: “Verdini è un amorale, un personaggio da film di Tarantino, uno che ti ammazza mentre indossa lo smoking. Simile a Renzi”» (Alberto Statera) [Ven 7/8/2015].
• In quanto alle accuse di essere un massone: «Per me non è un’offesa. Ma non è vero». «È tutta colpa di Giuliano Ferrara, dice oggi Denis Verdini. Sarebbe andata così: lo scanzonato Giuliano prese a dire a tavola e in società che Denis era banchiere, fiorentino, spadoliniano, appassionato di Risorgimento e dunque massone. È che la gente non capisce le celie: la voce arrivò sino a Francesco Cossiga che mai si sarebbe lasciato scappare l’occasione. Da qualche parte Verdini ha ancora il carteggio: ma veramente io non sono massone, scriveva, e Cossiga rispondeva che in ogni caso non ci sarebbe nulla di male. Oggi girano piuttosto gli eterni verbali sgusciati fuori chissà come, le mezze frasi, le insinuazioni all’irresistibile sapore di zolfo, naturalmente i soliti beninformati, e qualche non prudentissima cena con Flavio Carboni. Verdini ha sulla scrivania, e lo mostra a chi arriva, un ritaglio del Fatto (…) in cui Stefano Bisi, maestro del Grande Oriente d’Italia, dice che Verdini massone “è una leggenda”. (...) A tavola, con gli amici, Verdini fa l’elenco, e ci scherza sopra un po’ amaramente: sto sulle scatole al Pd perché sono l’uomo di Silvio Berlusconi, soprattutto sto sulle scatole alla minoranza di Pier Luigi Bersani e Massimo D’Alema perché il patto del Nazareno non lo vogliono, poi sto sulle scatole a F.lli d’Italia perché faccio la riforma con la sinistra, sto sulle scatole a Ncd perché facendo le riforme con Matteo Renzi gli tolgo un po’ di terreno, sto sulle scatole a Scelta civica e tutto quel mondo lì perché ora non sarà mai il mondo dei padri costituenti, sto sulle scatole ai grillini perché sono brutto e cattivo, sto sulle scatole in Forza Italia a chi non vuole il patto perché faccio il patto e a chi vuole il patto perché il patto non vorrebbero che lo facessi io, e poi sto antipatico a sinistra perché non sono di sinistra e a destra perché non sono di destra... E però non è tutta una burla. Verdini, raccontano, dice di avere le spalle larghe perché gli tocca di averle, ma se dovesse gridare tutta la rabbia per quello che gli sta capitando griderebbe da qui alla fine dei giorni» (Mattia Feltri) [Sta 29/9/2014].
• Temperamento sanguigno, in Forza Italia aveva rapporti particolarmente tesi con Renato Brunetta, che una mattina a Palazzo Grazioli ha persino cercato di prendere per il collo. Non molto più distesi quelli con Daniele Capezzone, cui un giorno disse di volerlo impiccare.
• Due matrimoni, tre figli: Tommaso, Francesca e Diletta.