3 giugno 2012
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Biografia di Walter Veltroni
• Roma 3 luglio 1955. Politico. Primo segretario del Partito democratico (2007-2009). Eletto alla Camera nel 1987, 1992, 1994, 1996, 2008 (Pci, Pds, Pd). Ministro per i Beni e le attività culturali e vicepresidente del Consiglio nel Prodi I (1996-1998). Sindaco di Roma dal 2001 al 2008. Dal 1998 al 2001 segretario dei Ds. Giornalista, dal 1992 al 1996 direttore dell’Unità. «Mio padre era romanista e mia madre laziale».
• Ultime Il 14 ottobre 2008 Veltroni lanciò YouDem Tv, il canale televisivo ufficiale del Pd. «Il primo impatto visivo è stato così scoraggiante, così “bulgaro”, che al confronto gli studi della Tv delle libertà di Michela Vittoria Brambilla sembravano quelli della Cnn. Il colore verde dominante (è il colore più difficile da padroneggiare con le telecamere), l’aria triste delle conduttrici, l’onnipresente Mario Tozzi che insegna a risparmiare sulla luce il giorno in cui ci sarebbe un gran bisogno di illuminare la scena» (Aldo Grasso) [Cds 15/10/2008]. In onda sulle frequenze satellitari di Sky fino al 2012, attualmente YouDem Tv è presente solo su Internet.
• Grande successo, il 25 ottobre, per la manifestazione convocata dal Pd al Circo Massimo di Roma contro la riforma Gelmini dell’istruzione (due milioni e mezzo i partecipanti secondo gli organizzatori, duecentomila secondo la questura): «l’unica giornata davvero felice dei suoi 16 mesi di segreteria: il popolo democratico arrivato da tutta Italia per applaudire Veltroni su un podio in stile Obama, una pedana in mezzo alla folla. Era raggiante Walter, quel giorno» (Marco Damilano) [Esp 26/2/2009]. «In un certo senso, sono state le seconde elezioni primarie di Walter Veltroni, ad un anno dalle precedenti. E la folla composta e civile del Circo Massimo gliele ha fatte vincere con facilità, ridimensionando i suoi critici e lo spauracchio di Antonio Di Pietro. Ma si è trattato di una vittoria che va tarata sulla lunghezza d’onda del comizio, per quanto “oceanico”; e che ha privilegiato l’autoreferenzialità della sinistra, incluse le lodi postume al governo Prodi, rispetto all’ ambizione di rappresentare il Paese. La richiesta veltroniana al premier di ritirare o almeno sospendere il decreto sulla riforma dell’istruzione è una delle poche proposte concrete emerse dalla manifestazione» (Massimo Franco) [Cds 26/20/2008].
• Grande entusiasmo, in novembre, per l’esito delle elezioni regionali in Trentino-Alto Adige, che videro la netta vittoria del governatore uscente di centrosinistra Lorenzo Dellai (57%) sul candidato di centrodestra Sergio Divina (37%). «Da Roma fioccano le congratulazioni dei big. A cominciare dal segretario del Pd, Walter Veltroni, che parla di “vento nuovo”, sottolineando “la clamorosa sconfitta del Popolo della Libertà e la grande affermazione del centrosinistra riformista. È un importante segnale di valore nazionale, il clima sta cambiando”. Si guarda, insomma, al “laboratorio” locale come buon auspicio» (Marisa Fumagalli) [Cds 11/11/2008].
• Auspici errati: per il Pd quella fu infatti l’unica, e assai circoscritta, vittoria all’interno di una serie inesorabile di pesanti sconfitte e umiliazioni. Nel solo 2008, i catastrofici risultati delle politiche, delle amministrative e delle regionali di Friuli-Venezia Giulia, Sicilia e Abruzzo, finirono puntualmente per alimentare lotte e dissidi interni al partito, mettendo sempre più in discussione la figura del segretario. «Sì, è lui, Veltroni l’obiettivo contro cui puntano gli altri maggiorenti del partito. A cominciare da Massimo D’Alema, che con Walter ha un conto aperto sul piano personale sin dall’epoca della lotta per la successione ad Achille Occhetto alla guida del Pds. Ma anche Franco Marini, l’ex democristiano “gran signore delle tessere” messo nell’angolo da una leadership che mal sopporta qualsiasi tipo di condizionamento. E Francesco Rutelli, bruciato nelle ultime elezioni comunali a Roma, che non ha gradito il tentativo del vertice Pd di scaricare interamente sulle sue spalle la responsabilità della sconfitta contro il candidato della destra, Gianni Alemanno; quasi che Veltroni non avesse mai gestito il governo della capitale. Antiche e nuove rivalità personali che vanno ad aggiungersi ai conflitti su punti fondamentali della politica e del programma del partito. Molti, all’interno dello stesso staff veltroniano, ritengono sin da ora che la spinta propulsiva dell’attuale leadership si sia virtualmente esaurita. Troppi errori, troppe oscillazioni, troppe incertezze, per sperare in una ripresa dell’attuale segreteria. Si pensa già alla sostituzione, nel congresso» (Giovanni Fasanella) [Pan 4/12/2008].
• Il colpo fatale fu la sconfitta alle Regionali sarde del 2009 (15 e 16 febbraio), che videro la clamorosa sconfitta del presidente uscente di centrosinistra Renato Soru (43%), figura in ascesa all’interno del Pd e «uno degli uomini di punta del veltronismo» (Fasanella) [ibidem], per opera dello sfidante di centrodestra Ugo Cappellacci (52%), personaggio del tutto sconosciuto fino al momento della candidatura e presentato alle cronache come «figlio del commercialista di Berlusconi». Il vero trionfatore fu di fatto Berlusconi stesso, che, al culmine del proprio stato di grazia, riuscì, spendendosi in prima persona, a portare alla vittoria una propria creatura politica sorta dal nulla, al contempo soffocando nella culla uno dei possibili nuovi leader del Pd (Soru) e umiliando il segretario in carica (Veltroni).
• Il 17 febbraio, preso atto del risultato, Veltroni rassegnò le proprie dimissioni dalla segreteria del Pd. «Il lungo addio di Walter Veltroni, il giorno dopo la disfatta sarda, è in poche parole: “Mi assumo le responsabilità mie e non. Basta farsi del male, mi dimetto per salvare il progetto al quale ho sempre creduto”. Mea culpa e j’accuse. Assunzione di responsabilità e chiamata in correo. Veltroni, dopo essere rimasto a lungo alle corde, decide di sfidare tutti a viso aperto: “Me ne vado perché non mi avete fatto fare il partito che volevo, perché sono stato ostacolato, perché mi sono stati messi i bastoni tra le ruote”. Difficile non pensare al convitato di pietra, Massimo D’ Alema. Un nome, Veltroni lo mette nero su bianco. Pierluigi Bersani, indicato come uno dei motivi delle dimissioni: “La sua candidatura, avanzata in anticipo sui tempi, ha indebolito il partito. Una fase congressuale così lunga era un via crucis, insostenibile per me e per il partito”» (Alessandro Trocino) [Cds 18/2/2009]. L’indomani è il giorno dell’addio pubblico, in «una “conferenza stampa senza domande”, una via di mezzo tra un comizio e un testamento politico. Nello stracolmo Tempio di Adriano, Veltroni consegna l’ultimo messaggio: “Non è il partito che sognavo. Ce l’ho messa tutta ma non ce l’ho fatta. Chiedo scusa”. Chiede scusa Veltroni, ma non fa autocritica. Rivendica con orgoglio il suo percorso e ricollega le dimissioni, più che alle sconfitte elettorali, alla mancanza di solidarietà e di lealtà, ai dirigenti che “non hanno innaffiato la pianta”. “Uolter”, scamiciato ed emozionato, parla per tre quarti d’ora: “Me ne vado senza sbattere la porta”. Ma non rinuncia a togliersi i sassolini dalle scarpe. Perché il Pd, dice, “è stato il sogno politico della mia vita”. È andata male – “Berlusconi ha vinto una battaglia di egemonia nella società, stravolgendone i valori e costruendo un sistema di disvalori” – forse anche per quel “riflesso antico, un valore ma forse uno sbaglio, di cercare di tenere tutti uniti”. Spiega che “è necessario superare divisioni e personalismi, passare da una sinistra giustizialista e salottiera a una sinistra moderna”. La ricetta per il rilancio è sempre la “vocazione maggioritaria”: “Il Pd non può essere un Vinavil che tiene tutto insieme”. Quanto a lui, annuncia che ha rinunciato alla scorta e che resterà in una “posizione discreta”: “Ma non fate al mio successore quello che è stato fatto a me”» (Trocino) [Cds 19/2/2009].
• «È l’8 settembre del Pd. Lo sciogliete le righe. Il tutti a casa. Con l’incubo sempre più reale del crack. L’abisso: l’implosione del progetto, il dissolvimento del partito, la scomparsa della principale forza di opposizione. Nelle ore dell’abbandono di Veltroni i capi e i capetti, generali e caporali di questa armata allo sbando chiamata Pd, danno il peggio di sé. Generali in fuga. Colonnelli tentati dal salto di grado ma impauriti da se stessi. Attendenti di campo in ritirata. Ma il dramma è appena all’inizio. Come in un’oscura maledizione, in soli 12 mesi il Pd ha consumato progetti, speranze, ambizioni, leader: prima Romano Prodi, poi Riccardo Illy, Renato Soru, infine Walter Veltroni. Ora rischia di divorare se stesso. E quel che resta della sinistra italiana» (Damilano) [Esp 26/2/2009]. «Non è vero che il Pd sia fallito perché non è riuscito a fondere l’eredità post-comunista con quella cattolico-democratica. Veltroni, al contrario, ha perso la scommessa perché si è ostinato a tenerle insieme, a farle sopravvivere, con continui compromessi e al costo di tante ambiguità. Senza attuare il vero progetto esposto al Lingotto di Torino, quello di mandarle in soffitta. Con tutto il rispetto per i cari antenati, ma riconoscendo che, oggi, quelle due tradizioni non significano più niente per tantissimi italiani. Perché non servono né a scaldare i loro cuori, né a rassicurare i loro portafogli. Perché parlano con il linguaggio del secolo scorso, astratto, ideologico, ipocrita. Perché non sono di nessun aiuto rispetto ai problemi nuovi di un secolo nuovo» (Luigi La Spina) [Sta 19/2/2009]. Si decise poi di affidare temporaneamente il partito alla reggenza del vicesegretario di Veltroni, Dario Franceschini, fino al congresso e alle primarie fissati in ottobre.
• Dopo qualche mese, in giugno Veltroni ruppe il silenzio per annunciare il proprio sostegno alla candidatura di Franceschini alla segreteria del Pd, in vista delle primarie d’autunno, nel nome di un ritorno allo «spirito del Lingotto» e alla «vocazione maggioritaria» del partito. A vincere fu però Pier Luigi Bersani.
• Ritiratosi in posizione apparentemente marginale e distaccata rispetto all’agone politico, Veltroni investì tempo ed energie nelle altre sue passioni. Anzitutto la scrittura, con la pubblicazione, già nell’agosto 2009, del romanzo Noi (Rizzoli), «scritto di getto, nei mesi seguiti alle dimissioni dalla segreteria del Partito democratico. “Ero nelle condizioni ideali per scrivere, e non solo perché finalmente avevo il tempo e il respiro necessari”, confida Veltroni. “Era il mio stato d’animo, a metà tra la malinconia e la serenità, a darmi la cifra psicologica giusta. Per questo penso che questo romanzo sia la cosa più bella che abbia mai scritto in vita mia”. Il titolo, spiega Veltroni, indica la necessità di “ricostruire il senso di una missione collettiva. La vita non è mai una questione individuale: senza gli altri, senza la dimensione comunitaria, qualsiasi esistenza si sfarina. Insieme all’io, ci siamo noi. Così come dobbiamo ricostruire il senso della memoria. Per questo ho scritto un romanzo sulla grande storia nazionale, sull’identità di un Paese addolorato, sfortunato, e però straordinario, che vorrei ritrovare”» (Aldo Cazzullo) [Cds 20/6/2009]. Seguiranno: Quando cade l’acrobata, entrano i clown. Heysel, l’ultima partita (Einaudi 2010), sull’assurda strage consumatasi nello stadio Heysel di Bruxelles il 29 maggio 1985, la sera della finale di Coppa dei Campioni Juventus-Liverpool (39 morti e oltre 600 feriti); L’inizio del buio. Alfredino Rampi e Roberto Peci soli sotto l’occhio della tv (Rizzoli 2011), sulle tragedie parallele di un bambino di 6 anni e di un ragazzo di 25, entrambe iniziate il 10 giugno 1981 e conclusesi sotto lo sguardo morboso delle telecamere; L’isola e le rose. Il romanzo di un’incredibile storia vera (Rizzoli 2012), sulla breve e poetica storia di Isola delle Rose, piattaforma artificiale installata in acque internazionali al largo di Rimini e proclamata Stato indipendente per iniziativa di quattro ragazzi, tra follia e utopia, all’alba del Sessantotto.
• Altra passione cui si è lungamente dedicato sono alcuni tra i più celebri e oscuri «misteri d’Italia», per i quali si è profuso in pubblici appelli, e spesso pubbliche accuse (più o meno larvate), alle istituzioni: dal delitto Pasolini alle stragi di Capaci e di Via D’Amelio, dal rapimento di Emanuela Orlandi alla strage di Ustica, senza dimenticare la banda della Magliana. Il tutto con un atteggiamento in bilico tra buona volontà e velleitarismo, e all’insegna di un principio alquanto apodittico, l’«“Io so” (ma non ho le prove)» di Pasolini: «In un paese che sembra come la sequenza di Yellow Submarine, dove la terra è un grande gruviera e si cammina sui buchi, se sapessimo chi ha ucciso Paolo Borsellino, chi ha messo le bombe a piazza Fontana, a Brescia, chi ha ammazzato Roberto Calvi… se questi buchi fossero riempiti, tutto sarebbe più sicuro. Invece il passato non finisce mai» (a Terry Marocco) [Pan 22/11/2012]. «È diventato l’uomo dei misteri. Piano piano sta intervenendo su tutti i fatti e i misfatti che hanno segnato la storia d’Italia degli ultimi quarant’anni. Walter Veltroni ha infatti iniziato da qualche mese a scandagliare con encomiabile energia i grandi “gialli” politici italiani. Messo un po’ ai margini della vita politica da un partito che, costruito sull’asse Bersani-D’Alema vede i suoi interventi come fumo negli occhi, l’ex sindaco di Roma ed ex segretario del Pd ha ritrovato nuova vita ritagliandosi uno spazio da membro della commissione parlamentare d’inchiesta sulla mafia. E da lì interviene quotidianamente. Utilizzandola come trampolino politico per attaccare la maggioranza» (Paolo Zappitelli) [Tmp 9/6/2010].
• Favorevole sin dall’autunno del 2010 all’insediamento di un governo di unità nazionale, salutò con grande favore l’avvento del governo Monti (novembre 2011), e fu presto annoverato tra i più convinti “montiani” del Pd: coloro, cioè, che si auguravano che, in vista delle Politiche 2013, Monti si schierasse direttamente con il nuovo Centro, «per avere la certezza che nel 2013 ci possa essere un Centro forte con cui il Pd possa allearsi e costruire un patto di legislatura che permetta al centrosinistra di allontanarsi dalle posizioni oltranziste dei Nichi Vendola e delle Susanna Camusso» (Claudio Cerasa) [Fog 19/12/2012].
• Nell’autunno 2012, in vista delle primarie del centrosinistra, decise, come Romano Prodi, di astenersi dal dichiarare la propria preferenza tra i due candidati principali Pier Luigi Bersani e Matteo Renzi. «Il sindaco di Firenze e l’ex segretario del Partito democratico sono più simili di quanto si possa pensare, ma Renzi ha capito due cose. La prima è che Veltroni non aveva nessunissima voglia di combattere una battaglia dentro il Pd in suo favore, e che piuttosto preferisce acconciarsi al compromesso offertogli da Bersani: compromesso che gli farebbe ottenere nella prossima legislatura la carica di presidente della Camera o del Senato. La seconda è che presso gran parte dell’elettorato di centrosinistra Veltroni non è molto popolare, quindi è meglio prendere le distanze da lui che cercare di instaurare un rapporto. Perciò ecco che Renzi ha ribadito che per quanto lo riguarda Veltroni e D’Alema pari sono: entrambi devono andare in pensione» (Il Foglio) [26/6/2012].
• Ritrovatosi tutt’a un tratto annoverato tra i dinosauri del partito dal Renzi rottamatore («Manderei a casa Walter Veltroni, che i successi maggiori li ha avuti come romanziere, come tutti quelli che hanno fatto più di quindici anni di Parlamento»), il 14 ottobre, intervistato da Fabio Fazio a Che tempo che fa (Rai Tre), annunciò la propria decisione di non ricandidarsi al Parlamento in occasione delle Politiche 2013, pur senza congedarsi dalla politica. «"Non si tratta – spiega – di un cedimento alla rottamazione. Non c’entra nulla con quel tipo di appelli – ci tiene a far sapere – perché non è l’anagrafe a fare la buona politica. Con questi criteri uscirebbero dal Parlamento personalità importanti per la vita del Paese, di cui tutti quanti abbiamo bisogno". Una stoccata implicita a Matteo Renzi. "È un gesto coerente con quanto annunciato nel 2006. Allora dissi che, una volta conclusa la mia esperienza di sindaco, avrei smesso di fare la politica professionalmente. Dopo mi è stato chiesto di fare una cosa alla quale non potevo opporre le mie scelte personali di vita e cioè il candidato alla presidenza del Consiglio. L’ho fatto, 12 milioni di persone hanno votato per me ma poi nel 2009 ho deciso di dimettermi ed erano dimissioni vere". Insomma, una scelta personale ma fatta anche per il bene della politica scesa oggi ai minimi livelli: "In un momento come questo – dice – credo ci sia la necessità, e da parte mia il bisogno, di mandare un messaggio positivo: di dire che la politica può essere anche coerenza con i propri impegni. Continuerò a fare politica, attraverso quello a cui ho sempre creduto, cioè l’impegno civile, la battaglia di valori sulla legalità"» (la Repubblica) [14/10/2012].
• «È indubbio che, al di là delle sue intenzioni e della sua volontà, la scelta di Walter Veltroni è destinata a mutare il corso delle cose nel Partito democratico. Ed è singolare in questo senso che, seppure per caso, il suo annuncio sia caduto proprio nel giorno del compleanno di quel Pd che lui ha fondato. Da settimane l’ex leader spiegava di “non poterne più di essere messo nel calderone dei vecchi che hanno fatto cattiva politica”, da mesi ripeteva che “la storia del patto tra i big del partito per cui io mi sarei prenotato la presidenza della Camera per la prossima legislatura è una balla”. E ora si sente finalmente “in pace” con se stesso» (Maria Teresa Meli) [Cds 14/10/2012]. La sua iniziativa spiazzò lo stato maggiore del partito, inducendo altri esponenti storici a fare altrettanto: tra questi proprio l’eterno duellante di Veltroni, Massimo D’Alema, che il 17 ottobre annunciò la medesima decisione, sia pure con toni molto meno irenistici («Non chiederò deroghe: con Bersani candidato, il rinnovamento lo agevolerò. Ma se vince Renzi sarà scontro: in quel caso ci sarà scontro politico»).
• Il 21 dicembre, ultimo giorno della XVI legislatura, Veltroni tenne il suo ultimo discorso da parlamentare. «Dieci minuti esatti d’orologio, discorso carico di suggestioni, quello dell’ex segretario, che come annunciato non si candiderà alle prossime elezioni. Nel momento cruciale del congedo, la Camera si è commossa: “Com’è noto non sarò più parlamentare e colgo l’occasione per ringraziare tutti voi. In questi anni ho ascoltato anche le idee più lontane dalle mie. Buon lavoro a voi e buon futuro all’Italia”. Così, applausi scroscianti e standing ovation, i colleghi del Pd tutti in piedi, l’abbraccio con Massimo D’Alema anche lui al passo d’addio (ma senza discorso), e pure alcuni parlamentari leghisti e del Pdl battevano le mani platealmente. Mancava Pier Luigi Bersani, impegnato in un pranzo con il ministro francese Laurent Fabius, ma per telefono, poco prima, s’era scusato per l’assenza. In tribuna con gli occhi lucidi seguivano tutti i passaggi la moglie Flavia e la figlia Vittoria (l’altra figlia, Martina, è ancora a New York), eppoi le segretarie Silvia e Paola e i collaboratori di una vita, Roberto Cocco, Roberto Benini, Roberto Roscani, Luigi Coldagelli e Lino Paganelli. Poi, un commesso di Montecitorio ha rotto gli indugi e si è avvicinato a Walter emozionato: “Oggi, onorevole, è una di quelle giornate in cui siamo contenti di lavorare alla Camera”. “Il complimento più bello”, per l’ex segretario del Pd» (Fabrizio Caccia) [Cds 22/12/2012].
• All’indomani delle Politiche 2013, salutò l’ennesimo insuccesso del Pd con uno sfogo molto poco buonistico nei confronti della segreteria Bersani: «Mentre Berlusconi diceva “Vi restituisco l’Imu”, mentre Grillo avanzava al grido di “Tutti a casa”, ho visto che la risposta del Pd era affidata a un balletto organizzato sulla terrazza di Largo del Nazareno con un gruppo di persone che cantava “Smacchiamo il giaguaro”». Si adoperò quindi per convincere Renzi a scalare la segreteria del partito, delineandone peraltro la figura quale implicito destinatario del suo nuovo saggio politico, E se noi domani. L’Italia e la sinistra che vorrei (Rizzoli 2013): «Veltroni segnala che per il futuro del Pd è necessario avere una guida forte che si faccia carico da subito dei problemi della sinistra e che non trasformi il Pd in un cartello elettorale o in un taxi da utilizzare solo durante le elezioni. Il senso del messaggio che Veltroni sembra rivolgere a Renzi è che un bipolarista convinto, che sogna insomma un paese diviso in due sole grandi famiglie politiche, deve prendere di petto il problema e fare una cosa semplice: non separare la figura di leadership da quella della futura possibile premiership; impegnarsi per rivoltare come un calzino il partito; trasformare il partito nello strumento principe per conquistare il paese; e il tutto impostando un percorso preciso che porti prima a rafforzare la figura del leader del partito e poi, seguendo l’esempio della repubblica presidenziale francese, la figura del leader del Paese. Senza fare tutto questo, scrive Veltroni, “la sinistra del 2000 finisce con l’assumere il profilo di una forza conservatrice, spaventata dal nuovo, arroccata dietro mura immense costruite da una pila infinita di mattoni sui quali sono scritte due parole: ‘no’ e ‘difendere’”. La traduzione politica del ragionamento, a voler essere maliziosi, corrisponde proprio alla discesa in campo del Rottamatore: con cui tra l’altro, e chissà se è solo un caso, negli ultimi mesi l’ex sindaco di Roma ha costruito un rapporto cordiale, di stima, e decisamente migliore rispetto a quello avuto durante le primarie (quando, per Renzi, Veltroni era uno che avrebbe fatto bene a scrivere solo libri). O Renzi, o uno come Renzi» (Cerasa) [Fog 15/5/2013].
• Il 19 maggio 2013, al Salone del Libro di Torino, Veltroni rese ancor più esplicito il proprio sostegno nei confronti di Renzi definendolo «il miglior candidato premier», e rivendicando la sostanziale continuità della sua linea rispetto a quanto proclamato al Lingotto nel 2007. Un anno dopo, essendosi nel frattempo realizzato quanto aveva auspicato, commentò così con Aldo Cazzullo il recente trionfo del Pd alle europee: «Renzi e io veniamo da mondi diversi, ma abbiamo la stessa idea: il Pd non deve limitarsi a riempire il proprio recinto, per poi unirlo al recinto dei vicini. Il Pd deve saper parlare a tutti gli italiani. Questo risultato storico è frutto di due circostanze oggettive: il fatto che Renzi sia al governo da poco, e abbia indicato la possibilità di un cambiamento; e la crisi di Berlusconi. Ma c’è anche una circostanza soggettiva: la personalità stessa di Matteo, la sua determinazione, la “cattiveria” che io non ho saputo avere; cosa che mi sono sempre rimproverato come un difetto. Se il sogno si è avverato, il merito è suo. Compreso il merito di aver sfidato, da riformista, tutti i conservatorismi» [Cds 27/5/2014].
• Nella primavera 2014 il debutto da regista, con Quando c’era Berlinguer, film documentario distribuito nelle sale a fine marzo e trasmesso poi su Sky Cinema (produttore del film) in occasione del trentennale della morte dello storico segretario del Pci Enrico Berlinguer (1922-1984). La pellicola, delle durata di un paio d’ore, è articolata su «tre piani narrativi: immagini di repertorio anche inedite; interviste; e riprese da me effettuate, però senza attori» (ad Andrea Scanzi) [Fat 21/12/2013]. «Veltroni si concentra sul periodo della segreteria di Berlinguer, dai primi anni Settanta fino alla morte, l’undici giugno del 1984. "Questo film è un atto di risarcimento, la scelta politica fondamentale della mia vita l’ho fatta grazie a lui". Le testimonianze nel film vanno dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano a Pietro Ingrao, da Eugenio Scalfari a Michail Gorbaciov fino a Lorenzo Jovanotti Cherubini» (la Repubblica). Ottimo successo al botteghino, con settecentomila euro di incassi nei primi due mesi di programmazione.
• In settembre, su richiesta dell’amico George Clooney, officiò a Venezia, nel municipio di Ca’ Farsetti, le nozze civili tra l’attore e regista statunitense e l’avvocato libanese Amal Alamuddin.
• «Veltroni, come D’Alema, è stato tutto. E persino più di D’Alema. Perché del vincitore Renzi, Veltroni, con le sue figurine della modernità, con le veltronate e con le veltronerie, ha rappresentato la prefigurazione: dunque uomo del destino e precursore dello stil novo, segretario dei Ds e fondatore del Pd, liquidatore di correnti, nel transito dal partito solido degli iscritti a quello vaporoso degli elettori, vicepremier e ministro della Cultura, romanziere, cinematografaro, strasindaco di Roma, direttore dell’Unità, artefice della vocazione maggioritaria, anche perdente di grandissimo successo alle elezioni del 2008, con quel 34 per cento di voti superato solo dal 40,8 di Renzi. Adesso si comporta come nulla fosse stato, come se di lui, ormai inveltronito, di lui che oggi avrebbe anche potuto vendemmiare con il renzismo di governo, adesso rimanesse soltanto la schiuma: un film e il gran matrimonio hollywoodiano, un nuovo libro, celebrazioni e friccichi de luna. “Sogna, virgineo, il Quirinale”, sibilano i ragazzi baffuti (cioè i dalemiani – ndr). Chissà» (Salvatore Merlo) [Fog 4/10/2014].
• Vita Madre Ivanka, di origine slovena, nonno Cyril Kotnik, diplomatico jugoslavo presso la Santa Sede, negli anni Quaranta preso e «torturato dai nazisti in via Tasso. Mia nonna stava nella stanza accanto e sentiva le urla».
• Il padre Vittorio (1917-1956) è stato il primo direttore di telegiornale in Italia, morto quando Veltroni aveva un anno. Veltroni dice di aver sofferto poco per questa assenza da piccolo e di averne percepito il peso doloroso man mano che cresceva. Ricorda se stesso nell’atto di mettersi giacche, camicie, orologi tolti dal cassetto del padre, tentando davanti allo specchio di percepirne il corpo.
• «Ho capito tardi che mio padre era così giovane. Dalle foto sembrava un sessantenne. La brillantina, il modo di vestire. Erano uomini così, avevano 30 anni, ma ne dimostravano 60. Solo dopo mi sono reso conto che lui, morto il 26 luglio del ’56, la notte dell’Andrea Doria (sono affondati insieme, l’Andrea Doria e mio padre), aveva 38 anni. E siccome faceva tutto di corsa, a un certo punto mi sono detto: “Ma non è che ho un orologio interiore che si è traguardato quella scadenza?”». Una volta ha detto di esser convinto di aver poco tempo davanti a sé «e per questo vivo sempre di corsa».
• Un fratello più grande, Valerio, uomo d’affari.
• Liceo al Tasso di Roma, lasciato dopo una brutta bocciatura. Nel 1970 si trasferisce all’Istituto professionale Roberto Rossellini per cineoperatori. Ha raccontato di essere rimasto colpito dalla diversa estrazione sociale dei suoi nuovi compagni di scuola, quasi tutti operai. Si iscrisse allora alla Fgci (Federazione giovanile comunista italiana, di cui era segretario Gianni Borgna) e divenne segretario della cellula di scuola.
• Lucia Annunziata, sua compagna di militanza sin dagli anni Settanta: «In quegli anni Walter, che era il più piccolo, era già un irregolare. Parlava della modernità, della cultura pop e degli Stati Uniti. Massimo invece era un marxista puro. C’era una forte differenza culturale tra di loro. Ma non c’era una tensione personale tra loro, piuttosto una diffidenza politica» (a Maria Teresa Meli) [Cds 18/10/2012].
• Giacomo Papi ha raccontato su Diario che nel 1984 l’ex dirigente comunista e manager Fininvest Maurizio Carlotto segnalò a Berlusconi quel giovanissimo quadro appena approdato all’ufficio Comunicazione delle Botteghe Oscure: «Guarda, Silvio, che questo qui è uno sveglio con cui si può parlare e che di televisione ne sa: potrebbe essere la sponda che cerchiamo nel Pci». Risposta del Cavaliere: «Veltroni ha i peggiori cromosomi che ci siano in Italia: quelli del Pci e quelli della Rai».
• Consigliere comunale a Roma a 21 anni (1976-81), deputato del Pci dall’87. Emergono in questo periodo le caratteristiche psicosomatiche dell’uomo: faccia lunga, occhi buoni, sguardo umido, l’atteggiamento finto innocuo che Forattini riassume nella figura del brucone con la goccia che pende dal labbro di sotto, «uno strano miscuglio di discorsi rivoluzionari e pratiche perbeniste, slanci e sciatterie, avventure ideali e telefonate alla mamma, in cui si identifica quella middle class centromeridionale di insegnanti e impiegati pubblici a reddito fisso e umore variabile che costituisce il nerbo dell’elettorato ulivista» (Massimo Gramellini). Il vignettista del Corriere della Sera Emilio Giannelli, a cui è simpatico, lo vede invece come uno scolaro «seduto al primo banco, col fiocco al collo, quello che non fa dispetti e nemmeno passa i compiti».
• Appoggia Occhetto nella svolta della Bolognina, che trasformerà il Pci in Pds (12 novembre 1989). Nel ’92 il partito gli affida la direzione dell’Unità, un compito che era già stato ricoperto da Massimo D’Alema.
• «Il quotidiano di famiglia è stato un ottimo terreno per misurare all’opera i dioscuri del Pds. Il direttore dell’Unità Massimo D’Alema si presentò con ghigno feroce, tagliò subito le teste che non gli garbavano e si rinchiuse nella sua stanza a giocare ai videogame, decantare il suo quoziente intellettuale e fabbricare origami e giornali tristissimi. Il direttore Veltroni esordì abbracciando tutti, dal condirettore al fattorino, egualmente “importanti per il Paese”. Poi cominciò a farli fuori, ma alla democristiana: cioè senza umiliarli e spendendo in promozioni e prebende un sacco di soldi lasciati in eredità sotto forma di debiti alle generazioni successive di direttori e giornalisti, che ne parlano malissimo ma lo ricordano con simpatia» (Gramellini). Tra le iniziative di quel periodo: l’aver allegato al giornale gli album delle figurine Panini (calciatori), l’aver allegato al giornale le videocassette con importanti titoli del cinema italiano e internazionale (i primi film allegati a un quotidiano erano stati quelli di Paese Sera nel 1993, l’Unità cominciò nel gennaio 1995 e vendeva ogni sabato 400 mila copie invece delle solite 120 mila, risultato che costrinse il resto della stampa italiana ad andarle dietro), l’aver allegato al giornale il Vangelo, caso mai sentito al mondo per un quotidiano comunista, e che gli fruttò un incontro con papa Giovanni Paolo II a cui portò personalmente una copia di quell’edizione.
• Nel ’94, alla caduta di Occhetto, la base lo vota a maggioranza nuovo segretario del partito. Ma il Consiglio nazionale gli preferisce D’Alema. Nel ’96 sale sul pullman che fa la campagna elettorale di Prodi e forma il ticket con cui il centro-sinistra vince le elezioni. Entra al governo (il Prodi I) come vicepresidente del Consiglio e ministro per i Beni culturali, con delega allo Sport e allo Spettacolo.
• Tra i provvedimenti da ricordare: la legge che trasforma le società di calcio in società con fini di lucro, dunque quotabili in Borsa e sottoposte – quanto ai bilanci e alla gestione – alle normali regole del Codice civile (l’ex presidente del Coni Pescante lo ha poi accusato di aver creato, con quella legge, le condizioni per la degenerazione emersa con lo scandalo Moggi); l’istituzione di una super-sovrintendenza per Pompei e di una spa incaricata di raccogliere sponsor e denari per rilanciare il sito archeologico più grande del mondo (inutile: Pompei è sempre rimasta in mano a un’invincibile camorra, tanto che ancora nel gennaio 2014 il prefetto di Napoli Francesco Musolino dovette nominare Aldo Aldi commissario prefettizio); la decisione di tenere aperti i musei di notte in certi periodi; la vendita dei biglietti per i musei anche in tabaccheria; i finanziamenti per la cultura ricavati da una nuova estrazione del lotto, fissata al mercoledì. Ha venduto il palazzo del Pci di Botteghe Oscure.
• Sgarbi: «Veltroni? Ha fatto più bene che male. Pur nella sua inconsapevolezza ha fatto almeno una cosa buona. Invece di chieder per sé il ministero dell’Interno o della Difesa, ha scelto quello per la Cultura, mettendo in luce così ciò che nel mondo è considerata la vera risorsa italiana, il patrimonio artistico. Un bel gesto. Inoltre ha fatto riaprire con la velocità del fulmine la Galleria Borghese a Roma» (a Luigi Irdi).
• «Alcuni mesi fa un uomo politico italiano, presentando una mostra di codici medievali, così belli che avrebbero dovuto costringerlo per sempre al silenzio, disse: “Il nuovo Rinascimento che oggi in Italia stiamo vivendo...”. E il nuovo Rinascimento italiano esisteva soltanto perché lui era ministro dei Beni culturali. Credo che nessun paese riesca a produrre vanità in dosi così massicce e industriali: Piramidi di Cheope dell’ego, Colossi di Rodi della megalomania...» (Pietro Citati).
• Nel 1998, finita l’esperienza nel governo Prodi, sostituisce D’Alema alla segreteria. D’Alema ha appena trasformato il Pds in Ds: «E, come segretario, Veltroni comanda. Il presunto buonista cambia cinque segretari su nove nella federazione delle grandi città, e 15 segretari regionali su 19» (Edmondo Berselli). Nel 2000 viene riconfermato al congresso di Torino, che trasforma volutamente in un evento politico-spettacolare, con Sting e Moni Ovadia, e una parola d’ordine americana che dice “I care”. Prima del congresso Veltroni fa sapere di non essere in realtà mai stato comunista e di essersi iscritto al partito di Berlinguer, mentre non avrebbe mai aderito a quello di Togliatti. Criticatissimo da quelli della sua parte politica. Natta (1918-2001), ex segretario del Pci: «Non credo si possa chiamare congresso una cosa in cui nelle sezioni, dicendo cose diverse, si è votata la stessa mozione, e il segretario è già stato eletto. Sarà solo una kermesse, a Torino. Se gli va bene, sarà buona per la propaganda: se non va bene, nemmeno a quello... Mi piacerebbe dire che non capisco. Invece capisco, capisco eccome. Ma proprio non mi piace: preferirei non parlarne, di questi cretini... cretini e anche ignoranti, che non conoscono la storia del loro paese, del partito in cui sono cresciuti. Ma come si fa a espungere Togliatti dalla vicenda italiana? Ho sentito Agnelli dire in tv cose molto più sensate e vere, sul ruolo di Togliatti, del segretario di un partito che esiste anche e soprattutto per merito suo». Michele Serra: «Il problema da risolvere era, più o meno, il seguente: trovare un paletto da ficcare al centro del campo, “memento” di qualche idea o ideale o ideuzza senza la quale non solo si perde l’anima, ma addirittura le elezioni. (...) Dati i termini del problema, “I care” non è, obiettivamente, tra le soluzioni peggiori. Diciamo che sta a mezzo tra “proletari di tutto il mondo unitevi” di Marx-Engels e “Yabadabadooo” dei Flintstones». Curzio Maltese: «Si poteva organizzare il prossimo congresso (convention) della Quercia direttamente in inglese, in una chiesa di Atlanta, la città di Martin Luther King, Cnn e Coca Cola, con contorno di Gospel e ritratti di Kennedy, invece di scomodare l’ex fabbrica del Lingotto che sa ancora troppo di classe operaia (working class), tanto per esser sicuri di non farsi capire, di parlar d’altro come sempre. (...) In politica la scelta dei simboli e degli slogan pesa, deve pesare. E invece questa insostenibile leggerezza della sinistra, lo svolazzare allegro fra simboli, marchi e inni, alla ricerca di un’identità purchessia, fino ad arrendersi all’ecumenismo cattolico, non promette nulla di buono. L’ultimo congresso dell’ex Pci, che allora si chiamava ancora Pds, si svolse all’Eur e sembrava un convegno nazionale di commercialisti: un presagio del governo D’Alema. (...) L’unico filo che lega D’Alema e Veltroni è evidentemente l’incapacità di dire “qualcosa di sinistra”, senza citare per forza il pensiero cattolico o quello confindustriale, chiamando a testimoni tutti di non essere più “comunisti”» (Curzio Maltese).
• Appena eletto sindaco dà disposizione all’anagrafe che il suo nome sia cambiato da Valter a Walter (“dominatore degli eserciti”). L’elezione a sindaco di Roma nel 2001 (lasciò la segreteria del partito a Fassino e batté al primo turno col 53% dei voti il candidato di Forza Italia Tajani) mostrò tuttavia che la tanto criticata leggerezza sostanziava una formidabile macchina del consenso. Nel 2004 la Ipsos realizzò una ricerca sul gradimento del sindaco e constatò che Veltroni piaceva all’82% dei romani. Nel 2006 batté il nuovo avversario Alemanno con una percentuale più alta di quella del 2001: 61,7%. Questi grandi risultati in termini mediatici sono stati ottenuti con una scelta oculata dei “moltiplicatori del consenso”, prima di tutto gli uomini di spettacolo, corteggiati fin da quando, da ministro dei Beni culturali con delega allo Spettacolo, distribuiva i finanziamenti per il cinema. Gli attori, i registi, i cantanti rilasciano interviste di continuo e capita spesso che il giornalista chieda degli orientamenti politici. L’intervistato in questione dice sempre, ormai da molti anni (che si tratti di Fazio, di Bonolis o di Carlo Verdone) che «Veltroni è un’altra cosa». In secondo luogo le redazioni dei giornali, tenute sotto ferreo controllo dal suo staff, una trentina di persone, tra cui un capufficio, sei giornalisti, cinque addetti alla segreteria, due tecnici della rassegna stampa, due archivisti, cinque fotografi, due addetti all’istituzionale: le tre testate principali della capitale (Messaggero, Repubblica, Corriere della Sera) sono grazie al sapiente lavoro di queste persone schierate senza dubbi col sindaco in modo tale che quando il sindaco convoca una conferenza stampa per esempio sul ritrovamento di un vaso, il vaso apre di sicuro le cronache. E di vasi si fa naturalmente in modo di trovarne uno a settimana; in terzo luogo non perdendo mai le occasioni offerte dalla cronaca: quando le «due Simone» sono state liberate (vedi TORRETTA Simona e PARI Simona) ha illuminato il Colosseo e organizzato per il ritorno in patria un’accoglienza-show in piazza del Campidoglio; quando è andato a far visita a papa Benedetto XVI (gennaio 2006) gli ha detto in perfetto bavarese: «Auf geht’s, pack ma’s», cioè «Damose da fa’», allusione alla frase scherzosa che Wojtyla aveva rivolto ai parroci romani il 26 febbraio 2004 («Damose da fa’, volemose bene, semo romani») e che gli ha guadagnato simpatici titoli su tutta la stampa nazionale; ha unito lui in matrimonio Totti e Ilary Blasi e ha poi provveduto – davanti alle telecamere di Sky – a organizzargli un brindisi sulla terrazza Caffarelli.
• È a sua volta un formidabile creatore di eventi: le notti bianche che si svolgono in settembre e durante le quali tutta la città canta, suona e balla; la Festa del cinema, concorrenziale al Festival di Venezia la cui prima edizione si è svolta a ottobre 2006 e per la quale è stato capace di mobilitare capitali per 12 milioni di euro (la polemica col sindaco Cacciari, che ha visto in pericolo il primato di Venezia, ha permesso un’ulteriore circolazione del brand); la pubblicazione del romanzo La scoperta dell’alba con coro di recensioni entusiaste (su tutti Andrea Camilleri, un’intera pagina sull’Unità) e soprattutto con la sistemazione nelle vetrine di tutte le librerie di Roma di una sua foto con dolce sguardo da cocker (il libro è stato un best seller).
• Ottimo organizzatore: mai un incidente né durante le notti bianche né durante i funerali di papa Wojtyla (che portarono a Roma tre milioni di persone) né durante il black out che lasciò al buio l’Italia intera la notte del 28 settembre 2003 (in coincidenza con la “notte bianca”).
• Nella primavera 2007 «si sono riuniti, pressoché in contemporanea, i congressi dei Ds e della Margherita e hanno deliberato la stessa cosa: sciogliersi e confluire nel nuovo Partito democratico, la cui costituente dovrebbe essere convocata in autunno. Sabato 21 aprile 2007 il segretario dei Ds, Fassino, ha dato l’annuncio finale scoppiando in lacrime. Gli osservatori prevedono che, conclusa la fusione, Fassino avrà praticamente esaurito il suo compito e uscirà di scena. A guidare la nuova formazione si candideranno, per i Ds, soprattutto Veltroni e la Finocchiaro a cui i congressisti hanno riservato una standing ovation. D’Alema dovrebbe trasformarsi in una specie di padre del partito. Sul versante Margherita, i cavalli di razza dovrebbero essere Dario Franceschini, Rutelli, Marini e, naturalmente, Prodi, il quale però ha annunciato il suo ritiro per il 2011 (due anni dopo, peraltro, bisognerà votare il dodicesimo presidente della Repubblica). Tre problemi: il quindici per cento dei diessini, guidato da Fabio Mussi, ha lasciato il partito e lavorerà con Rifondazione e gli altri della sinistra per costruire “un nuovo soggetto politico”; è in atto una polemica forte tra diessini e margheritini su quale debba essere la collocazione internazionale del Partito democratico, se nel Partito socialista europeo (il che lo accrediterebbe come una formazione in un modo o nell’altro marxista) oppure no; mettere insieme denari e patrimoni delle due formazioni non sarà affatto semplice: la Margherita possiede un giornale (Europa) e i Ds no, sul marchio della Festa dell’Unità avanza qualche pretesa anche Mussi, ecc.» (Dell’Arti).
• Dapprima riluttante, poi consapevole che «certi treni passano una volta sola», Veltroni, incassate le dichiarazioni di voto a suo favore di D’Alema (che si pronuncia addirittura durante una puntata di Ballarò), Rutelli, Fassino, la Finocchiaro e altri notabili dell’una e dell’altra parte, si lascia convincere ad assumere la guida del nuovo partito. Un paio di punti vengono stabiliti subito: resterà sindaco di Roma il più a lungo possibile; verrà proclamato al termine di primarie addomesticate (Bersani, che vorrebbe confrontarsi con lui, viene convinto a lasciar perdere). In nome dei cattolici e della Margherita si decide di schierare Rosy Bindi, abbastanza combattiva per far sembrare la battaglia una cosa seria, ma senza speranza di ottenere più di tanto. Altro candidato della nomenklatura, del tutto innocuo, è Enrico Letta. Poi due giovani, che assicurano alla corsa il giusto tono dinamico: Mario Adinolfi e Piergiorgio Gawronski. La discesa in campo viene ufficializzata martedì 19 giugno ed è uno scossone politico. In un primo momento si era pensato che un segretario del Pd troppo forte avrebbe messo a rischio Prodi. Ma a metà giugno i sondaggi dànno il governo in picchiata e si è già assaggiato l’elettorato con le amministrative: risultato pessimo soprattutto per l’ala sinistra dello schieramento.
• «Il sindaco di Roma, che è maestro di comunicazione, si è già incamminato sulla via dell’incoronazione: invece di rispondere subito di sì ai cavalli di razza della sua parte, ha annunciato che avrebbe sciolto la riserva a Torino mercoledì 27 giugno, s’è fatto intanto fotografare sulla tomba di don Milani insieme al suo prossimo vice, il margheritino Dario Franceschini, quindi è volato in Romania e, mentre i giornali continuavano a dedicargli pezzi su pezzi, ha mandato i suoi a decidere la location del discorso di accettazione-investitura, individuata poi nella Sala Gialla del Lingotto, a Torino, dove già si svolse il congresso del 2000, quello in cui Veltroni ancora segretario dei Ds lanciò lo slogan kennediano “I care”, assai amato da don Milani (lo ha spiegato lui stesso la settimana scorsa ai lettori di Vanity Fair). L’evento ha così avuto la massima risonanza, come il sindaco desiderava» [ibidem].
• Mercoledì 27 giugno, nella Sala Gialla del Lingotto, venne pronunciato il discorso fatidico, che doveva far capire al mondo che cosa aveva in mente il nuovo protagonista della vita politica italiana. Egli disse che il Partito democratico avrebbe dovuto ispirarsi a libertà, unità, giustizia sociale, pari opportunità di partenza per tutti, apertura alle donne, forte memoria dell’origine antifascista della Repubblica, niente ideologismi, niente derive moderate o estremiste, largo ai giovani e lotta alla precarietà («la vita non è un part-time»). Quattro i punti programmatici della piattaforma: Ambiente, Patto generazionale, Formazione, Sicurezza. Ambiente: accettazione totale del protocollo di Kyoto e delle ultime delibere anti-inquinamento della Ue. Patto generazionale: non lasciare ai nostri figli il debito pubblico di adesso, allentare la pressione fiscale mentre si combatte l’evasione, arrivare a un risultato tangibile in tre anni. Formazione: rilanciare la scuola, l’ignoranza è l’anticamera della povertà (citando il governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi). Sicurezza: giustizia rigorosa e severa, aumentare magari i diritti degli immigrati, ma non concedere nulla alla malavita («la microcriminalità non esiste, esiste la criminalità»). In chiusura, rapidi excursus sui temi rimasti ancora fuori: riforma elettorale, riforma istituzionale, i Dico («i laici rispettino i cattolici, i cattolici si rassegnino all’idea che lo Stato laico possa far leggi in favore di chi si ama», sui Dico vedi POLLASTRINI Barbara). Chiusura emozionale con una quindicenne romana scomparsa, di nome Giulia, e con le sue parole di solidarietà verso i poveri di tutto il mondo. Il discorso cominciò con lo slogan: «Fare un’Italia nuova». Vennero citati, nell’ordine e quasi sempre con la pausa necessaria a permettere alla folla di applaudire: De Gasperi, Prodi, Fassino, Rutelli, Ciampi, Michele Salvati e Pietro Scoppola, Olof Palme, di nuovo Prodi, Vittorio Foa, Massimo D’Antona e Marco Biagi, Gustavo Zagrebelsky, Renzo Piano, il sindaco di Torino Sergio Chiamparino (a cui ha fatto un gran sorriso e stretto la mano), di nuovo Fassino e Rutelli, Dario Franceschini, che gli farà da vice. Mario Draghi, tre volte. Niente Kennedy, niente Luther King, l’Africa solo il minimo indispensabile, nessun maestro del cinema. Tra i commenti spiccarono quelli dei prodiani, vanamente contrari all’investitura plebiscitaria che avrebbe avuto luogo il 14 ottobre.
• Una settimana prima del voto disse che gli sarebbe piaciuto avere con sé Veronica Berlusconi. Lei declinò.
• L’elezione del 14 ottobre 2007 fu effettivamente plebiscitaria: andarono alle urne in tre milioni e 400 mila e il 75,6% votò Veltroni. Risultati degli altri: Bindi 14,4%, Letta 10,1%, Adinolfi e Gawronski 0,1%. Venne notato che nessun partito politico europeo era nato con una procedura come quella. E che nessun capo-partito aveva mai avuto un’investitura tanto forte. Al punto che si dubitava della possibilità che Prodi, tanto bistrattato in quel momento dall’opinione pubblica, potesse resistere a un partner cosi popolare.
• Il 30 novembre cominciò il dialogo con Berlusconi. Veltroni aveva subito dichiarato che il metodo della contrapposizione frontale e della delegittimazione reciproca tra centro-destra e centro-sinistra doveva cessare. Berlusconi – che intanto aveva fondato il suo nuovo partito (quello che alla fine si sarebbe chiamato Popolo della Libertà) – gli aveva mandato forti cenni d’assenso. Il terreno d’incontro era la riforma della legge elettorale, dato che il referendum (vedi GUZZETTA Giovanni) era sempre più probabile. Veltroni voleva un sistema studiato dal professor Salvatore Vassallo, cioè un proporzionale imperniato su circoscrizioni molto piccole che avrebbe prodotto uno sbarramento naturale del 7-8%, premiato le forze maggiori e consentito una rappresentanza importante anche ai partiti che avessero un forte radicamento locale (tipo Lega). Questo sistema, detto sbrigativamente tedesco-spagnolo, non era lontano dalle idee che professava Berlusconi: un proporzionale con una soglia di sbarramento alta. L’incontro tra i due, che si concluse con conferenze stampa separate e di contenuto pressoché identico, sembrò aprire questa agognata stagione del dialogo. I giornali annunciarono così la nascita di un nuovo ircocervo, detto “Veltrusconi”. Il Veltrusconi indeboliva ulteriormente Prodi, dato che la ragion d’essere del suo schieramento stava proprio nell’opposizione senza se e senza ma al berlusconismo. E infatti il governo, ai primi del 2008, annunciò per ripicca che avrebbe rimesso in pista la legge di riforma delle tv (vedi GENTILONI Paolo).
• Il segretario del Pd, contrastato dai vecchi cavalli di razza dei Ds e della Margherita, propugnava, sostenuto sorprendentemente da Giuliano Ferrara, la nascita di un partito leggero o “liquido”, senza segreterie, direzioni, comitati centrali, soprattutto senza correnti. Questa formazione sarebbe stata aperta verso l’esterno, capace quindi di inglobare nel proprio Dna, e di rappresentare poi politicamente, associazioni di scopo, movimenti territoriali dediti alle battaglie più diverse, circoli in qualche modo progressisti e inquietudini culturali varie più o meno di ogni tipo. Proclamando questi obiettivi, Veltroni poteva rinviare congressi, tesseramenti, conte interne e insomma tenere a bada gli “odiatori” (espressione di Paolo Mieli) che avrebbero volentieri sabotato sia il dialogo col centro-destra sia la nuova classe dirigente che il segretario annunciava.
• Annunciandosi la crisi di governo con le dimissioni di Mastella, Veltroni proclamò che il Partito democratico si sarebbe presentato alle elezioni da solo, senza stringere alleanze a sinistra e senza riprodurre lo schieramento-monstre che aveva fatto impazzire Prodi. Poiché intanto Berlusconi obbligava Fini a far confluire le liste di An in quelle del Popolo della Libertà, si annunciava un voto che per via politica avrebbe anticipato gli effetti semplificatori perseguiti dal referendum. Quando si andò a votare, il 13-14 aprile 2008, si vide che la scelta di Veltroni aveva determinato l’espulsione dal Parlamento dei socialisti e delle quattro formazioni di sinistra (Rifondazione, Verdi, Pdci e Sd). Il quadro politico ne risultava straordinariamente semplificato dato che alle Camere erano rappresentati, per la sinistra, solo il Partito democratico e l’Italia dei valori (Veltroni, tra mille polemiche, aveva accettato l’apparentamento con il solo Di Pietro e imposto ai radicali la confluenza: sulle elezioni vedi anche BERLUSCONI Silvio).
• Mandato all’opposizione, il capo dei democratici subì un altro smacco a Roma, dove Francesco Rutelli, messo in campo quasi a forza, fu battuto da Gianni Alemanno. Di questa sconfitta sarebbe difficile non far carico almeno in parte allo stesso Veltroni. L’assassinio della signora Giovanna Ruggeri aggredita in strada dal rumeno Nicolae Romulus Mailat (30 ottobre 2007) aveva rivelato una città degradata, infestata da almeno sessanta campi abusivi di baracche, di cui l’amministrazione, molto impegnata a far venire i divi di Hollywood a Roma per la Festa del Cinema, aveva perso completamente il controllo. L’episodio, avendo costretto il governo Prodi a un giro di vite anti-rumeni, ebbe risonanza internazionale, dato che il premier rumeno Calin Popescu Tariceanu accusò proprio Veltroni, in quanto sindaco della città, di aver ignorato il dramma delle periferie. Parole riprese dallo stesso Benedetto XVI, che, ricevendo Veltroni in visita, lo rimproverò con queste parole: «Un evento tragico come l’uccisione a Tor di Quinto di Giovanna Reggiani ha posto bruscamente la cittadinanza di fronte al problema non solo della sicurezza ma anche del gravissimo degrado di alcune aree di Roma».
• Il nuovo sindaco Gianni Alemanno l’accusò di aver lasciato il Comune di Roma sommerso dai debiti (6,9 miliardi di euro, 8,1 se si conteggiano le linee di credito attivate per finanziare nuove opere). Si difese parlando di «una delle più grandi bufale mediatiche mai costruite» e sostenendo che diviso per il numero di abitanti il debito della capitale è inferiore a quello di altre città, per esempio Milano (2.840 euro contro 2.540).
• Da capo dell’opposizione costituì un governo ombra, riprendendo un’idea di Occhetto. Ben presto, però, la leadership di Veltroni sul centro-sinistra apparve fortemente indebolita. Di Pietro, dando voce al punto di vista girotondino, gli erodeva consensi a sinistra. D’Alema, sotterraneamente manovrando con la sua fondazione Italianieuropei, si preparava a sostituirlo con un uomo di suo gradimento. Non semplici neanche i rapporti con l’ala cattolica del Pd (la ex Margherita) che, sia pure sottovoce, parlava di ricreare una formazione cattolica, magari andando a un qualche accordo con Casini.
• Il veltronismo è in definitiva una tecnica per suscitare la simpatia di massa. Lancia il seguente messaggio cinepolitico: comunque vada, ci sarà un lieto fine. Suoi capisaldi: Bob Kennedy, il buonismo e il Terzo mondo, lo sport, l’antipolitica, i cattolici (con prudenza, perché i preti, come gli juventini, sono anche antipatici). Su Bob Kennedy: Veltroni non sa l’inglese, ma nel ’92 ha scritto un saggio intitolato Il sogno spezzato. Le idee di Robert Kennedy (Baldini e Castoldi). In interviste e discorsi, specie degli anni Ottanta-Novanta, sono continui i richiami alla nuova frontiera e l’esaltazione dell’americanismo di sinistra, la cui versione morbida è l’attuale vagheggiamento del Partito democratico. Anche il look (camicie button down, mocassini Lotus e, come ha notato Armani, «un certo modo disinvolto di portare il classico, che lo fa riconoscere») è di origine kennediana.
• Buonismo, termine coniato da Ernesto Galli della Loggia nel 1995 proprio per descrivere l’approccio al mondo esibito da Veltroni. È più semplice spiegarlo con alcuni esempi. Alla domanda: per quale atleta italiano farà il tifo alle Olimpiadi, Veltroni ha risposto con il nome delle due riserve della staffetta 4 x 100 «perché sono i protagonisti più oscuri, quelli che soffrono di più»; trovandosi con una delegazione italiana in Brasile, nel 2002, ha consegnato alle agenzie questa frase: «Questa gente, questi bambini scalzi in mezzo al dolore, sono per me energia pura»; nel ’93 ha spiegato a Maria Latella: «Mi piacerebbe fare come Peter Pan, prendere le mie figlie Martina e Vittoria e portarle sull’Isola che non c’è»; è andato da padre Zanotelli in Africa e subito ha reso noto il proprio dolore di fronte alla miseria di quel mondo, con articoli e un libro (Forse Dio è malato, Rizzoli, 2000); un personaggio chiave del suo romanzo La scoperta dell’alba (Rizzoli, 2006) è la bambina down Stella; il fratello di Stella, Lorenzo, è «uno dei ragazzi con cui sono andato ad Auschwitz o in Mozambico». Filippo Ceccarelli ha fatto l’elenco dei luoghi comuni veltroniani, potenti suscitatori di simpatia: «Il veltronismo, con i suoi romanzi, i suoi musei, le sue foto accattivanti, i suoi cd e dvd alla moda solidale, i suoi “villaggi della pace” e i suoi “parchi della memoria”, e poi con gli artisti e gli sportivi disabili, gli ex deportati, gli eroi senegalesi, gli ultrà pentiti, le donne minacciate di lapidazione, i vecchietti rallegrati da Totti, i dipendenti comunali in permesso per volontariato, i barboni massacrati e poi premiati per il loro coraggio civico…». I «cd e dvd alla moda solidale» di Ceccarelli alludono al periodo in cui il sindaco fece il dj in una trasmissione radiofonica di Pier Luigi Diaco e una sua compilation fu comprata da diecimila ascoltatori (e il ricavato della vendita, naturalmente, devoluto in beneficenza).
• Juventino da sempre. La Juve è però squadra fortemente antipatica ai non-juventini. Veltroni ha dunque anche preso le distanze dai bianconeri, dichiarandosi disgustato del calcio dei tempi moderni che, secondo una sua espressione, «ha tolto l’anima al gioco». Ha quasi fatto credere di essere romanista-laziale, salvo fare precipitosamente marcia indietro quando la cosa ha rischiato di iscriverlo nel «club Fede», i tifosi che nel corso della vita hanno cambiato squadra per opportunismo. S’è comunque messo la sciarpa giallorossa al collo, cosa che ha suscitato le critiche del rivale romanista D’Alema («io la sciarpa della Juve al collo non me la sarei mai messa»). Sfiorando l’eresia, s’è perfino definito «juventista»: «Come si possono amare due grandi poeti, io amo la Juve, mia squadra per sempre, e ho simpatia per la Roma e amicizia per Totti» (a Luigi Garlando) [Gds 27/8/2009]. Molto efficace la conversione al basket, comunicata in un’intervista alla Gazzetta dello Sport in cui ha mostrato competenza tecnica, conoscenza storica del gioco e passione (ha fatto sapere di essere tifoso della Virtus Roma e ha detto che, trovandosi in ospedale, appena riemerso dall’anestesia chiese subito i risultati della squadra).
• Anche il politico essendo antipatico, fece sapere, prima di diventare segretario del Pd, di voler smettere nel 2011 facendo capire (ma vagamente) che magari sarebbe andato nel Terzo mondo, a fare il missionario o il benefattore. Come per la Juve, però, la proclamata distanza dalla politica – molto simpatica – non deve essere tale da tagliarlo fuori dal gioco. Recuperò quindi, dicendo che se le regole fossero cambiate, se il premier avesse avuto più potere e fosse stato direttamente eletto dal popolo… Questo (la ricerca della consacrazione popolare diretta) è il punto che lo imparenta maggiormente con Berlusconi.
• Attentissimo ai cattolici, ma attento pure a non compromettersi troppo. Oltre al colpo del Vangelo allegato all’Unità e alla battuta in bavarese rivolta a Benedetto XVI, ha spedito ai parroci di Roma il suo diario del viaggio in Africa, ha favorito – da vicepresidente del Consiglio – l’ascesa di cattolici in Rai, la Cavani, Scudiero, soprattutto Iseppi, attraverso il quale s’è guadagnato anche la simpatia di Biagi, ha fatto sapere di detestare le parolacce e di spingere tutte le coppie che conosce a sposarsi. Nel settembre 2005 è andato alla messa in memoria di monsignor Escrivá de Balaguer, fondatore dell’Opus Dei. Però ha fatto sua, riprendendola da Jovanotti (Penso positivo), anche questa frase, con la quale crede di proteggersi dal pericolo di essere confuso con la Chiesa in quanto potenza (brace in cui forse è caduto Rutelli): «Io credo che a questo mondo esista solo una grande Chiesa che passa da Che Guevara e arriva fino a Madre Teresa; passando da Malcolm X attraverso Gandhi e San Patrignano arriva da un prete di periferia che va avanti nonostante il Vaticano», in cui è decisivo il “nonostante”.
• Il comico Maurizio Crozza, nel suo show sul La 7 Crozza Italia, creò un tormentone con il “ma anche” dei discorsi veltroniani che ne sancisce la vocazione all’ecumenismo: «Veltroni ha lanciato una nuova corrente di pensiero. Il “ma-anchismo”, ossia il “ma-anche”: (proclamando) Noi siamo per la tolleranza razziale ma anche per il Ku Klux Klan. Siamo per la libertà ma anche per la schiavitù... non possiamo lasciarla alla destra. Noi siamo dalla parte di chi paga le tasse, ma anche dalla parte degli evasori... beh, non possiamo lasciare gli evasori alla Lega. Così come siamo per la politica fuori dalla Rai, ma anche per la politica dentro la Rai. Almeno: se piove, anche dentro. Il ma-anchismo di Veltroni è bellissimo». Era in corso la campagna elettorale 2008 e il segretario del Pd la prese male all’inizio, poi si mise a telefonare in trasmissione e a lasciarsi prendere in giro in diretta.
• Tardelli, amico di Veltroni, il quale va dicendo d’averci pure giocato a pallone: «Falso. A Sabaudia giocavano lui e D’Alema. Li ho guardati e basta. Non volevo farli sfigurare...» (Alessandro Dall’Orto).
• Ha doppiato Rino Tacchino, sindaco della comunità degli uccelli, nel film Disney Chicken Little – Amici per le penne (2005).
• Onoreficenze: insignito dal presidente francese della Legion d’onore per l’attività svolta a salvaguardia dei beni culturali (2000), laurea honoris causa in Public services alla John Cabot (2003), cavaliere di Gran Croce (Ciampi, 2006).
• È sposato dal 1982 con l’architetto Flavia Prisco (Roma 1° dicembre 1958), figlia di Massimo, direttore della federazione statali della Cgil, e di Franca D’Alessandro (Roma 4 luglio 1931), assessore a Roma con Argan, Petroselli e Vetere poi senatore del Pci. Water e Flavia si conobbero nel 1973 al Festival della gioventù di Berlino, le nozze furono celebrate da Maurizio Ferrara (padre di Giuliano), fra i testimoni Francesco De Gregori. Vivono a Roma, in un appartamento Inpdai a Porta Pia, tra i pochi che non furono messi in vendita dopo lo scandalo cosiddetto di Affittopoli. La figlia maggiore, Martina (Roma 20 settembre 1987), è un’aspirante regista (qualche esperienza da aiuto regista); la minore, Vittoria (Roma 9 agosto 1990), è una giovane stilista.
• Critica «È un cattivo travestito da buono. Persegue con ferocia i suoi obiettivi» (Claudio Velardi).
• «Veltroni è un elencatore di luoghi comuni. Parla di cose che non sa. Cita libri che non legge. È un anglista che non conosce l’inglese. Un buonista senza bontà. Un americano senza America. Un professionista senza professione» (Filippo Mancuso) [Giampaolo Pansa, Tipi sinistri, Rizzoli 2012].
• Frasi «Sono affascinato da un’idea: una bellissima uscita di scena. La considero una delle cose più importanti della vita. Soltanto un’uscita di scena forte e dignitosa ti può garantire il ricordo che mi auguro. Spero che un giorno si possa parlare di Veltroni come di un uomo che ha fatto una vita pubblica appassionata e disinteressata. Fin dall’inizio la mia ossessione è stata stabilire il momento dell’uscita di scena» [cit. in Andrea Romano, Compagni di scuola, Mondadori 2007]. «Penso che sia molto importante come si muore e cosa si lascia. Non vorrei morire arrabbiato».
• «Non sono uno scrittore, sono una persona che scrive».
• «Mi affascina l’idea del tempo che scende anziché salire» (spiegando la passione per il basket).
• Religione «Non si definisce un credente, continua a dire che “crede di non credere”. Ma dice che non ha mai perso “il gusto della ricerca di una dimensione ampia, profonda, alta. Quel che posso dire – spiega – è che questo gusto, questo desiderio di ricerca, non è diminuito col passare del tempo, al contrario”» (la Repubblica, commentando nel 2006 un’intervista pubblicata dall’Eco di San Gabriele, mensile dei padri passionisti abruzzesi).
• Vizi «Padre indiscusso del vintage di sinistra, non per caso ossessionato dall’archetipo della fine dell’innocenza (il suo libro su Bob Kennedy si chiamava Il sogno spezzato, quello su Berlinguer La sfida interrotta) e collezionista dei piccoli feticci generazionali (programmi tv, figurine dei calciatori e soprattutto vecchi film) che danno il senso di una continuità immaginaria con un tempo irrecuperabile» (Guido Vitiello) [Fog 10/12/2013].
• Passione per i cosiddetti B-movies: una sua recensione pubblicata negli anni Novanta su Il Venerdì sdoganò Quel gran pezzo dell’Ubalda tutta nuda e tutta calda, filmetto del 1972 con Edwige Fenech e Pippo Franco (regia di Mariano Laurenti): «Ha aiutato a dislocare verso equilibri più avanzati il comune senso del pudore».
• Non porta la fede: «Da ragazzo sono rimasto traumatizzato, quando un mio amico ha perso un dito della mano perché la sua fede era rimasta impigliata in un cancello...».