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 2012  giugno 03 Domenica calendario

Biografia di Sebastiano Vassalli

• Genova 24 ottobre 1941 – Casale Monferrato (Alessandria) 27 luglio 2015. Scrittore. Tra i suoi libri: La notte della cometa (1984), La chimera (Premio Strega 1990), Marco e Mattio (1992), tutti da Einaudi. Da ultimo, Terre selvagge (Rizzoli 2014), ambientato ai tempi dello scontro tra i Romani e i Cimbri, e Il confine. I cento anni del Sudtirolo in Italia (Rizzoli 2015). In uscita a settembre Io, Partenope, ambientato nella Napoli del Seicento. Candidato al premio Nobel per il 2015. «Le grandi storie sono nel passato, o nel futuro. Il presente è la vita del condominio. C’è qualche spunto che diventerà importante, ma noi non possiamo coglierlo o, nel momento in cui si manifesta, non ha bisogno dello scrittore. Ne parleranno la televisione, i giornali, Internet».
• Si diceva orfano di padre (da lui chiamato “il Merda”) e madre: «Sono il frutto di una gravidanza non voluta. Credo abbia fatto di tutto per espellermi. E io aggrappato alle viscere ho resistito. Odiava che nascessi. Sono nato. A dispetto di tutto. Dopo la loro separazione mi abbandonarono ad alcuni parenti. Sono nato a Genova. Ho vissuto l’infanzia a Crevetto, oggi luogo considerato assai à la page. Ieri un piccolo inferno. E poi sbattuto a Novara da certi prozii. Diventai un novarese. Crescendo dissi loro: non vi preoccupate, in me non dovete vedere un adottato, ma un piccolo fondo pensione» (da un’intervista ad Antonio Gnoli).
• Studente di Lettere alla Statale nella Milano degli anni Sessanta, dove da pittore in erba frequenta le gallerie d’arte e la zona di Brera, facendo lavori qua e là, bibliotecario, imbianchino, fattorino, supplente di scuola. Matura l’idea di darsi alla scrittura dopo un esame con Mario Fubini, severissimo, che giudica bene un suo commento ad un sonetto. «È tutto sbagliato, ma è così convincente», dice più o meno Fubini. L’incontro a Torino con Edoardo Sanguineti farà il resto.
• Laureato in Lettere a Milano, con Cesare Musatti, tesi su La psicanalisi e l’arte contemporanea. «Il controrelatore, Gillo Dorfles, voleva bocciarmi. La scena era surreale. Il grecista Raffaele Cantarella si era addormentato. Un altro professore aveva poggiato la sua dentiera sul tavolo. Musatti taceva e Dorfles infieriva. Era triestino, come Musatti. Sembrava un volpino assatanato. Ce l’aveva con me. Alla fine Musatti parlò. Disse: «Sono contrario alla bocciatura, però visto che insisti abbassiamogli il voto». Poi l’insegnamento alle scuole medie e alle superiori per molti anni, e la pittura. «Non pensavo di fare lo scrittore. Entrai nel giro del Gruppo 63 da pittore. Edoardo Sanguineti presentò, ricordo, dei miei lavori. Feci qualche mostra nelle gallerie milanesi e perfino a Venezia, al Cavallino, dove Peggy Guggenheim comprò una mia piccola opera. Oggi potrei dire che facevo della Pop Art senza la benché minima consapevolezza. Quando nel 1964 la Pop Art giunse alla Biennale di Venezia, capii che le mie cose non avevano respiro».
• «Ha cominciato molto giovane come scrittore sperimentale, nell’alveo dell’“euforica bisboccia verbale” promossa dal Gruppo 63, ha virato verso la satira in chiave socio-politica, poi verso l’inchiesta e, alla ricerca del carattere nazionale degli italiani, ha attraversato a suo modo il romanzo storico, scrivendo intrecci in cui le storie inciampano nella grande Storia. Senza mai dimenticare le incursioni nella contemporaneità, che è sempre rimasta la vera preoccupazione di Vassalli anche quando si è proiettato, con 3012, verso il “futuro remoto”, una specie di apparente Paradiso, per raccontare l’odio, il motore di tante azioni umane, che stava all’origine del ritorno alla guerra, dopo quasi cinquecento anni di pace. Un lungo percorso. Da qualche anno c’è un Vassalli nuovo, ormai possiamo dirlo. Che alle forme lunghe preferisce quelle brevi come se, anche per un narratore ostinato e felice come lui, il mondo non fosse più raccontabile nella sua totalità ma per frammenti che eventualmente si ricompongono a posteriori» (Paolo Di Stefano).
• «Ho cominciato a 40 anni a fare lo scrittore per davvero, ma poi ho descritto esclusivamente questo Paese e il carattere degli italiani. Sono sempre state le storie a venirmi a trovare» (a Michele Neri).
• «Nella prima pagina di Chimera sostenevo che il presente non si può più raccontare perché questo significa per un narratore di oggi sfidare i “media” sul loro stesso terreno. Il presente, in altri termini, si racconta da solo attraverso i giornali e la televisione. Ecco perché ho cercato di capire il qui e ora, di testimoniarlo attraverso grandi storie del passato. Adesso ho modificato questo mio giudizio. Il presente lo si può raccontare a una sola condizione: trattandolo cioè come se fosse defunto e facendogli l’autopsia. Ci si deve lavorare, insomma, come ho lavorato, a suo tempo, sulla Roma di Augusto» (da un’intervista di Antonio Debenedetti).
• «Il compito dello scrittore sarebbe quello di riflettere su tempi lunghi, già ben sapendo che nessuno lo ascolterà, come accadde a Leopardi. Il fatto è che la filosofia del Settecento ha prodotto la grande narrativa dell’Ottocento, che è entrata in crisi nel secolo scorso e ora sta diventando afasia o ripetizione. Ci manca il carburante, che sono le mitologie alternative. Certo, concentrarsi su Berlusconi è una faccenda da condominio».
• «Gli ultimi scrittori importanti sono quelli che hanno vissuto lo straordinario evento della guerra, che hanno avuto l’illusione di qualcosa di fondamentale di cui parlare. Il Calvino davvero interessante è il primo, fino alla Giornata di uno scrutatore. La grande letteratura nasce dallo scontro violento tra bene e male che si era materializzato in modo così corposo con la guerra: Levi, Fenoglio, Calvino... Dopo, come è arrivato tardi il miserello sviluppo industriale italiano è arrivato tardi anche chi ha pensato di raccontarlo e alla fine non è rimasto nulla che meriti di essere ricordato. Sciascia ha narrato la dimensione sommersa della Sicilia, però all’epoca del processo Notarbartolo tutto ciò che poteva essere raccontato sulla mafia era già stato detto. Sciascia l’ha solo riportato a galla».
• «Aveva poche relazioni con il mondo. E un debito, che non nascose mai, con il suo editore, Giulio Einaudi, con il quale aveva rotto i rapporti riallacciandoli in extremis, con molta gratitudine. Uno dei suoi più cari amici era Roberto Cerati, figura storica della grande Einaudi, che andava a trovarlo ogni tanto, nelle trattorie vicino a Biandrate, per mangiare insieme la “paniscia” e bere Ruché. Sebastiano è stato un burbero, ombroso, fedele ai suoi pochissimi amici» (Paolo Di Stefano).
• «Nella cultura italiana ci sono state due cose insopportabili: prima della guerra gli ermetici e dopo la guerra Moravia. A parte Gli indifferenti non c’è una sua opera che mi abbia convinto. Ricordo di averlo visto una sola volta. A Milano. Nel 1959. Ero matricola. L’università aveva organizzato degli incontri con grandi scrittori. Vidi arrivare quest’uomo claudicante. Prese la parola e ho nitida l’impressione della noia che provai al discorso che fece e che ho dimenticato».
• Nel 1993 provocò un polverone parlando della «compromissione letteraria» di Sciascia con i suoi protagonisti mafiosi, figure dalla «oscura e contraddittoria grandezza».
• «Ciò che è veramente cambiato negli ultimi decenni è che prima il libro non aveva un mercato. Un bestseller, in Italia, negli anni Cinquanta vendeva diecimila copie. La lettura era un fatto di élite, e in fondo anche la critica lo era: ma l’autorevolezza del critico importante, in quell’ambito, era comunque un dato di fatto riconosciuto e spesso prezioso per gli autori stessi. Adesso i libri di successo sono prodotti di massa» (da un’intervista di Paolo Foschini).
• «Credo di avere fatto alcune cose buone e anche ottime, che però non hanno avuto un successo clamoroso e non possono averlo perché l’umanità è un mare dove i movimenti avvengono in superficie. Più si scende in profondità, più tutto sembra (ma non è) immobile» (da Un nulla pieno di storie, autobiografia in dialogo con Giovanni Tesio).
• Negli ultimi anni ha fatto stampare su ogni libro la dicitura «Per volontà dell’autore questo romanzo non partecipa a premi letterari»: «Mi telefonano da una località della Toscana e mi offrono di andare a ritirare un premio. Accetto e propongo di presentarmi con mia moglie. Ho già organizzato il viaggio quando mi richiamano: “Ci scusi, ma abbiamo cambiato idea. Il premio glielo diamo l’anno prossimo”. Ma come?, chiedo io. “Abbiamo parlato con Mario Luzi. Dice che quest’anno è meglio assegnare il riconoscimento a un poeta di 80 anni e passa”. Da allora ho detto basta» (da un’intervista di Mirella Serri).
• Ha vissuto gli ultimi anni in una vecchia casa parrocchiale in piena campagna, nei pressi di Biandrate (a pochi chilometri da Novara), di fianco alla chiesetta di san Bartolomeo, che fu parrocchia fino agli anni ’50. Nel 1990 acquistò il rudere e recuperò quel poco che restava di un vecchio libro di matrimoni trovato in uno stanzino a pianterreno: «La gran parte dell’archivio è andato in malora, e chi è nato, vissuto e morto da queste parti è come se non fosse mai esistito». Il rudere è diventato una grande casa-museo su due piani e il campo di granoturco antistante un piccolo giardino ben curato, l’orgoglio dello scrittore: «Il giardino l’ho progettato io, sono andato dal ferramenta, ho comperato una bindella per prendere le misure e ho scelto gli alberi. Ho costruito un luogo dove conservare la memoria che da queste parti manca quasi del tutto. La cosiddetta Padania è stata per secoli terra di transito in cui passava di tutto, e il Po più che unire ha sempre diviso. Questa era una terra in cui i mercenari svizzeri combattevano contro altri mercenari svizzeri: a Basilea c’è addirittura una via Novara. Se vivessi immerso nel rumore dei media, del mondo che continua a parlare e urlare, non riuscirei a scrivere: sento il bisogno di isolarmi per filtrare le parole attraverso il silenzio, ma oggi non c’è niente di più fragile del silenzio. La scrittura ha i suoi tempi che non sono accorciabili se non a scapito della scrittura stessa. La continuità è fondamentale, il mito romantico dell’artista genio e sregolatezza è una colossale balla» (da una conversazione con Paolo Di Stefano).
• «Quando era in vena di confessioni e forse voleva prendersi gioco della morte (che aspettava, ma non temeva), Vassalli parlava del suo funerale, chiedeva che qualcuno intonasse l’Internazionale e poi alla fine recitasse il Padre nostro. Diceva che sarebbe stato quello il suo posto, all’incrocio delle due grandi traiettorie che hanno attraversato il secolo scorso: la promessa di un regno cristiano e l’annuncio di un domani socialista» (Giuseppe Lupo).
• Ha collaborato con il Corriere della Sera dal ’95 fino alla morte, prima aveva scritto per la Repubblica, La Stampa, l’Unità e Il Mattino.
• Due matrimoni: nel 1968 il primo, «non felice, con l’adozione di un figlio con il quale è in perenne conflitto» (Paolo Di Stefano); seconde nozze con Paola.