3 giugno 2012
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Biografia di Giuliano Vassalli
• Perugia 25 aprile 1915 – Roma 21 ottobre 2009. Giurista. Figlio del giurista Filippo (1885-1955). Avvocato e docente universitario, professore emerito di Diritto penale all’Università La Sapienza e membro dell’Accademia dei Lincei, ha ricoperto molti incarichi politici: deputato del Partito socialista italiano dal 1968 al 1972, senatore dal 1983 al 1987, fu anche ministro della Giustizia (dal 1987 al 1991): proprio sotto la sua guida il Parlamento approvò, nel 1989, il nuovo codice di procedura penale tuttora in vigore. Lasciato il governo, il 4 febbraio 1991 il presidente della Repubblica (Cossiga) lo nominò giudice della Corte costituzionale, dal 1999 al 2000 ne fu presidente.
• «Un uomo coraggioso. Di lui Giacomo Mancini una volta disse: “Sembra docile, ma può diventare una tigre”. Lui sorride alla battuta, “fu pronunciata all’epoca in cui – da ministro della Giustizia – mi scontrai con i magistrati. C’era stato il caso Tortora... c’erano stati degli abusi, violenze nei confronti di imputati e testimoni”» (Barbara Palombelli).
• Fu un capo partigiano: «Mi presero per una soffiata, in via del Pozzetto, a pochi passi dal Parlamento. Una volta in macchina, cercai per due volte di buttarmi, aprendo lo sportello... Vidi che andavamo verso piazza Venezia, avevo capito che non c’era più niente da fare. Meglio uccidersi, che finire là. A via Tasso, nella primavera del 1944, c’erano i segregati dal mondo, i prigionieri più pericolosi, quelli che venivano interrogati di continuo dalle SS: loro la chiamavano “la prigione di casa”. Quando ci arrivai, il 13 aprile, ero sicuro che non ne sarei uscito vivo. Ero già cieco dalle botte subite nel tragitto, rimasi con i grumi di sangue negli occhi per 20 giorni, ero talmente ferito che mi avvolsero in una coperta e cacciarono via tutti i civili che si erano fermati davanti al portone, nessuno doveva vedere in che stato mi avevano ridotto. Avevo 29 anni, ero uno dei capi della Resistenza, sapevo cosa voleva dire entrare lì, erano trascorsi soltanto dieci giorni dalla strage delle Fosse Ardeatine. Da via Tasso passarono Bruno Buozzi e i 14 compagni che furono uccisi a La Storta... mi piazzarono nella celletta numero 2, insieme a un uomo buttato a terra, Angelo Ioppi, un brigadiere dei carabinieri che fu poi decorato, ci legavano le mani dietro con i ferri a scatto, potevamo mangiare in una ciotola, proprio come i cani... Sono stato là per 62 giorni. Mi liberò il generale Wolff, su pressioni del papa Pio XII e anche, credo, di Virginia Agnelli, che scrisse un bigliettino di poche parole a mio padre: probabilmente il penalista avrà la vita salva».
• Sei figli.