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 2012  giugno 03 Domenica calendario

Biografia di Franca Valeri

• (Franca Norsa) Milano 31 luglio 1920. Attrice. «Posso inventare le cose più lontane dalla realtà e parlarne con il mio pubblico, posso vivere la sera su un palcoscenico e sentirmi completamente al di fuori da quello che succede nel mondo reale. Le pare che con questo dono potrei sentirmi infelice?».
• «I mitici personaggi femminili di una galleria satirica originalissima per la storia italiana, rischiano di far dimenticare il resto, che è straordinario. Una delle più incredibili parabole artistiche nella storia del nostro spettacolo. Franca Valeri è stata protagonista delle migliori avventure di questi decenni: il grande teatro degli anni Cinquanta e Sessanta, con Strehler, Testori e poi De Lullo; la nascita del varietà televisivo, con Antonello Falqui; l’apogeo della commedia all’italiana, con il cinema di Dino Risi e di Alberto Sordi; fino alla passione matura per la regia lirica. La comicità, meglio: l’ironia, è il filo che tiene assieme tutte queste esperienze. In sessant’anni ha regalato un ricco, intelligente, raffinato stupidario nazionale» (Curzio Maltese).
• Romana d’adozione, inizi alla radio, nel 1951 debuttò in teatro con i Gobbi, Vittorio Caprioli e Alberto Bonucci, e nel cinema con Federico Fellini. Signorina Cesira alla radio, Signorina Snob e Cecioni in tv, partecipò a Studio Uno. Nel 1995 tornò in televisione con la sit-com Norma e Felice insieme a Gino Bramieri. Legata alla Scala, ideatrice di festival e concorsi lirici, ha firmato regie di melodrammi (ama soprattutto i titoli verdiani). È autrice di commedie come: Lina e il cavaliere, Meno storie, Tosca e le altre due, Le catacombe. Negli ultimi anni vista a teatro in Les bonnes (le serve) di Jean Genet (regia di Giuseppe Marini), Mal di ma(d)re di Martine Feldmann e Pierre Olivier Scotto (regia di Patrick Rossi Gastaldi), Oddio Mamma! (regia di Daniele Falleri), Non tutto è risolto e Cambio di cavalli (entrambi per la regia di Giuseppe Marini) e nei monologhi Senza titolo (con Manuel De Sica), Carnet de Notes (con Ida Iannuzzi). Nel 2014 è stata ospite al Festiva di Sanremo condotto da Fabio Fazio e Luciana Littizzetto. Nel 2016 ha pubblicato per Einaudi il libro La vacanza dei superstiti (e la chiamano vecchiaia).
• «Ha scelto il nome d’arte di Valeri su suggerimento della sua amica Silvana Ottieri, che in quel momento aveva per le mani un libro di Paul Valéry edito in Italia dallo zio Valentino Bompiani» (Patrizia Carrano).
• «Mio padre, l’ingegner Norsa, era assai poco convinto della mia carriera d’attrice: così, mentre provavo per la compagnia di Ernesto Calindri, mi cambiai il cognome da Norsa in Valeri. Il nome, invece, è sempre stato quello vero, contrariamente a quanto scrivono le enciclopedie dello spettacolo, che mi attribuiscono quello di Alma».
• «A 18 anni avevo già letto tutte le opere di Marcel Proust in francese. Ho avuto un’infanzia così. Prima elementare a Milano, in via Fratelli Ruffini; poi quattro anni in via della Spiga, scuola e casa nella stessa strada. Nascondermi in un angolo con un libro in mano era l’unica gioia, l’evasione dalle brutture della guerra e del fascismo. (…) Allora i figli non si avevano: si “compravano”, era questo il verbo usato. Mia madre Cecilia mi fece credere d’avermi acquistato per 50 lire da una vecchia che in una sera di pioggia le aveva portato un fagottino, spacciando il neonato in fasce per un maschio» (Stefano Lorenzetto) [Pan 12/6/2014].
• Fu bocciata alla prova di ammissione nell’Accademia nazionale d’arte drammatica: «Fu un evento fatale. Erano le 13.30 quando, insieme con Tino Buazzelli, mi presentai al cospetto di Silvio D’Amico, Wanda Capodaglio e Orazio Costa con un testo da Les mouches di Jean Paul Sartre. Erano affamati, andavano di fretta, avevano passato l’intera mattinata a cacciare candidati scadenti. Tino fu accettato, io no. Un mio compagno rincorse per strada D’Amico che andava a rifocillarsi in un caffè a piazza di Spagna: “Presidente, è brava, le ridia una possibilità”. Il critico si girò per un attimo verso di me ed esclamò: “Certo non è Olga Villi”. Aveva ragione. Ero una ragazza dall’aspetto infantile, di bassa statura, con un cappotto blu e un cappellino tondo. Presi bene la bocciatura: anziché studiare, avrei lavorato. Nella mia infinita presunzione ero convinta che sarei diventata attrice lo stesso. Una cugina di mio padre, che mi ospitava a Roma, mi resse il sacco per tre anni, fingendo con i miei che frequentassi l’Accademia. Divenni amica di Ennio Flaiano, entrai in un giro straordinario di gente molto più grande di me, come i fratelli Francesco e Nicola Ciarletta. La sera recitavo a braccio nelle loro case. Inventavo. In breve divenni la loro vedette. E dopo che il Teatro dei Gobbi, la compagnia che avevo formato con Alberto Bonucci e Vittorio Caprioli, nel 1950 ottenne un enorme successo a Parigi, D’Amico mi risarcì scrivendo cose bellissime su di me» [ibidem].
• «Non si sa perché ho voluto far l’attrice; in casa si è poi rintracciata una Fanny Norsa che nel Settecento calcava le scene. Io però non ne sapevo nulla, quando abbandonai Milano per venire a Roma e tentare l’ammissione all’Accademia. Fui bocciata, ma non lo dissi alla famiglia e presi a frequentare la scuola di Pietro Sharof, che mi accettò: gli parevo simpatica».
• «Carissima, inarrivabile Signorina Snob. Ve la ricordate? Era un personaggio radiofonico creato da Franca Valeri che, da poco strappata al cicaleccio dei salotti milanesi, diffondeva dai microfoni quel saettante ritratto di “signorina” che vedeva il mondo a modo suo, e non lo concepiva al di fuori dei Cicci e delle Ildefonse, della scappata a Cortina e della caccia alla volpe. La Signorina Snob apparve allo scoccare degli anni Cinquanta, quando la Valeri era già il detonatore femminile di quel trio d’attori, i Gobbi, che avevano inventato il cabaret da camera. Suoi partner erano Vittorio Caprioli (che sarebbe diventato suo marito) e Alberto Bonucci. Tre moschettieri del paradosso e del nonsense che espugnavano fragorosamente i teatri non solo italiani» (Osvaldo Guerrieri).
• «Inzuppando una piccola madeleine, riecco la puntata su Beethoven dal remotissimo spettacolo televisivo Le Divine, con la Franca Valeri serva d’osteria che sbatte quattro piattacci facendo tu-tu-tu-tùm sul tavolo di quel Grande, ed egli s’affretta a tirar fuori la carta da musica. E siccome altri avventori fanno fracasso, la Franca li sgrida: finitela, screanzati, gli fate dimenticare la Quinta!...» (Alberto Arbasino).
• «La tranquilla limpidezza dello stile, argutamente descrittivo di modi e tic non solo individuali, deve, mi pare, alla scuola del Mondo e al magistero di due giornaliste che certamente la Valeri ha conosciuto e amato, Irene Brin e Camilla Cederna, e di cui oggi è valida continuatrice soltanto la Natalia Aspesi, l’ultima delle vere mohicane. Ma sarebbe difficile valutare cosa la Valeri ha preso da loro e cosa loro hanno preso dai suoi ritratti teatrali, radiofonici e cinematografici dei suoi anni di gioventù» (Goffredo Fofi).
• «Vien fatto di chiedersi perché Franca non abbia fatto più decisamente il passo verso l’autonomia creativa ovvero quell’autorialità cineteatrale che ha conseguito in pieno solo occasionalmente. Insomma perché non abbiamo un cinema firmato Valeri come abbiamo un cinema di Sordi, di Benigni, di Verdone e di tanti venuti dopo? È stata lei a spendersi in troppe direzioni? O sono stati i produttori, incapaci di capire fino in fondo le sue potenzialità, che non le hanno offerto le occasioni giuste?» (Tullio Kezich).
• Su Caprioli: «Sposati solo per un anno e mezzo, mi pare. Preceduti da una lunga convivenza. Il suo talento era indiscutibile. Ma era anche un dissipatore di idee, le distribuiva e poi si dimenticava di attribuirsene la paternità».
• «Un compagno perfetto. Ma a un certo punto lui si era invaghito seriamente di un’altra donna e io del direttore d’orchestra Maurizio Rinaldi, che è stato l’uomo della mia vita. Morì nel 1995, a 58 anni. Sono sempre passata sopra alle scappatelle di entrambi. Penso che un rapporto profondo si basi sul sentirsi importanti per ragioni morali, non sessuali» (Lorenzetto, cit.).
• Ha adottato una figlia, Stefania Bonfadelli, cantante lirica, veronese di Valeggio sul Mincio.
• Tra i film, indimenticabile ne Il vedovo (Dino Risi 1959, con Alberto Sordi) e in Totò a colori (Steno 1952).
• Nel 1946 votò per la Repubblica e alla Costituente Partito Socialista. È rimasta di sinistra: «Non si cambiano ideali politici alla mia età».
• «Porto i capelli così dal 1964, sempre dello stesso colore, un taglio a caschetto creato dai Vergottini. Diffido delle donne che cambiano spesso pettinatura: è indizio di scarsa personalità».
• «Hanno scritto che ho il Parkinson. Ho preso paura e sono andata a farmi visitare da un neurologo. “È solo un tremito ereditario” mi ha tranquillizzata. Infatti ce l’aveva anche mio padre, che rideva beffardo quando spandeva sul piattino un po’ di caffè. Certo, il 31 luglio saranno 94 anni. Non è che posso mettermi a scorrazzare per il palcoscenico, anche perché sono stata operata a un’anca. Però in scena la voce si distende, torna quella di sempre» (Lorenzetto, cit.).
• Amante degli animali, nel 2005 ha scritto Animali e altri attori. Storie di cani, gatti e altri personaggi (Nottetempo). Ha fondato e dirige La Repubblica delle code, mensile dell’associazione animalista Franca Valeri onlus.
• Ha sette cani quasi tutti chiamati con i nomi dei personaggi di opere liriche: Roro IV («L’unico con pedigree, razza King Charles spaniel, la prediletta da Carlo I e Carlo II d’Inghilterra»), Palla («Sei tu Palla o Citerea?», Così fan tutte, scena sedicesima), Sophie («C’è nel Werther e anche nel Cavaliere della Rosa»), Bruschino («Il signor Bruschino di Gioacchino Rossini»), e poi Heidi e Petar, nomi scelti della nipotina Lavinia, che stravede per il cartone animato dell’orfanella, e Tander, un trovatello portato dal giardiniere. Ha anche tre gatti «di casa e otto abusivi ospiti fissi» (Lorenzetto, cit.).
• Di origini ebraiche, indossa al collo una stella di David che la figlia adottiva le ha portato da Gerusalemme: «Come mio padre, non sono praticante. Però in famiglia c’era rispetto per questa origine, tant’è che le nozze dei miei furono molto osteggiate, in quanto la sposa era cattolica. Ho il rimpianto di non avere mai visitato Israele. Purtroppo per tutta la vita sono andata soltanto nei luoghi in cui dovevo recitare».
• «Ho grande successo con i giovani. Dicono pure che sono un’icona gay…» (ad Aldo Cazzullo) [Cds 6/5/2016].
• Vive a Trevignano Romano, sul lago di Bracciano.