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 2012  giugno 03 Domenica calendario

Biografia di Valentino

• (Valentino Clemente Ludovico Garavani) Voghera (Pavia) 11 maggio 1932. Stilista. Creatore dell’omonimo marchio. «Che noia parlare di moda. Amo farla ma non ditemi di intrattenermi sull’argomento dopo le sette di sera. Non lo sopporto».
Vita «Torre Menapace è un sobborgo periferico dove Voghera si stempera a settentrione nella campagna piatta dei campi divisi da filari spettrali di gelsi, alberi mutilati per fascine, che solo in estate concedono qualche rara foglia. T’amo pio bove e mite un sentimento di vigore e di pace, eccetera. Di lì vengono i Garavani. Lì c’era la cascina del nonno. Anche lui con quel nome da bambino, Valentino. Il figlio, Mauro, sposa Teresa e si trasferisce in un caseggiato umbertino nel centro di Voghera. Due piani, facciata giallastra vagamente neoclassica, interno con appartamenti di ringhiera, di fronte il mercato coperto. Prima apre una bottega da barbiere, poi passa al commercio all’ingrosso di articoli elettrici. Con questa seconda attività procura alla famiglia una certa agiatezza, una quasi ricchezza, almeno nei parametri della provincia. Nel 25 la moglie dà alla luce Wanda. Sette anni dopo arriva Valentino. Già alle elementari, istituto De Amicis, il secondogenito Garavani disegna distratto, sui libri di scuola, fiori e modelli di vestiti come fiori capovolti. Studente con profitto non brillante del liceo classico Grattoni, ruba ore ai compiti pomeridiani per frequentare un corso da figurinista a Milano. Al ritorno, percorre a piedi la breve distanza che separa la stazione da piazza Meardi. Si siede su una panchina e racconta agli amici. La moda è già una specie di religione. Vi si accosta con la devozione e la costanza di un seminarista. La vocazione era stata precoce, a sei anni. “L’ultima figlia di Vittorio Emanuele III sposa il principe Luigi di Borbone Parma”. La radio di casa, in radica, pesante e massiccia come un cassettone, annuncia il fidanzamento ufficiale. “Per la lieta circostanza”, aggiunge lo speaker, “Sua Altezza Reale indosserà un abito di lamé verde”. Lamé verde. Una formula, due parole, una scintilla che accende sogni infantili. Sogni che nel negozio di tessuti della zia, in via Torino, si moltiplicano per i nomi di stoffe francesi. Dentelle. Faille. Taffettà. Mousseline. Crêpe georgette. Fuori gli altri bambini giocano a pallone. Per lui le scarpe della fantasia non hanno tacchetti, ma sono inglesi e fatte a mano. Conserva, crescendo, l’aria un po’ infantile del paggetto. I maglioni di cachemire sono gli unici lussi di una giovinezza senza vizi, strappati al padre con l’immancabile ed efficace intercessione materna. La stessa intercessione che gli procura a diciotto anni il permesso di andare a Parigi. E centomila lire al mese per viverci più che dignitosamente, comunque vada. Viene messo a bottega da Dessès. Da lui impara la costruzione tecnica, l’interpretazione della stoffa, il valore dei rapporti cromatici. Prende casa a Saint-Germain-de-Prés. Di sera frequenta i foyer dei teatri, la danza è la sua seconda passione. Anche qui, zero improvvisazione. Studia i fondamenti al Palais de Chaillot e debutta con successo in un balletto di Béla Bartók. In Italia canta, in un’estemporanea performance radiofonica, La canzone di tutti, esordio senza seguito per una gola magari anche fine e intonata; ma già di poche parole. L’ambiente artistico della capitale francese lo attrae. Ivette Chauviré, celebre danzatrice, ammirata di sera, è la sua ispirazione diurna per i tagli leggiadri. Niente bohème. Detesta istintivamente tormenti e contrasti, tutto scorre liscio come seta. Tanto che nemmeno il trucco mnemonico dei ricordi, così forte e frequente tra le persone arrivate, produce a posteriori aneddoti su quel periodo. Casomai vanta occasioni. Jean Renoir lo nota e lo convoca sul set di un suo film. Domani si gira. Vuole dargli una parte, un ruolo impegnativo, anche se breve. “Domani non posso, grazie, maestro, ma è santa Caterina, patrona delle sarte”. Forse sente minacciata l’esclusività di un apprendistato preciso, pignolo, puntuale, una disciplina professionale che ha assunto carattere devozionale. Passa a Guy Laroche. È giovane, gli permette di abbandonarsi al suo estro. Frequenta la Viscontessa de Ribes. “Erano i tempi in cui le donne si cambiavano tre, quattro volte al giorno. Il parrucchiere era importante come il calzolaio. Mentre la de Ribes si preparava, io schizzavo le sue idee. Di solito indossava quei piccoli nulla neri che erano tutto”. Gli rimane impresso il segno della semplicità cui un tocco, uno sbuffo, un fiocco, regala spettacolarità teatrale. Il lusso e la classe dei francesi. Resterà la sua cifra estetica. La donna che vuole vestire non deve passare inosservata. In uno scampolo di vita normale incontra Giancarlo Giammetti, studente di Architettura. Toscano, solare quanto lui è lunare, di otto anni più giovane. Nasce un legame che diverrà sodalizio anche d’affari. Quando, alla fine degli anni Cinquanta, sente di avere l’arte da parte, vende i suoi cinquanta maglioni di cachemire in un’ultima puntata sulla Costa Azzurra e, neanche trentenne, si trasferisce a Roma. Apre un atelier in via Condotti. Il padre ha messo ancora mano al portafoglio, ma dietro il gesto che intacca la montagna di risparmi c’è l’impulso della madre. Un socio vogherese partecipa all’impresa nella miope illusione di immediati ritorni e presto si ritira. Bianco è il colore della collezione d’esordio. Prime difficoltà, e qualche servizio sui rotocalchi. Giammetti prende su di sé le mansioni organizzative e le pubbliche relazioni. In questo, il sognatore silenzioso non ci sa fare. Gli anni Sessanta segnano l’inizio di un’ascesa costante» (Antonio Armano).
• «Sbarcato timidamente a New York, conosce Jackie Kennedy. Era un party di beneficenza al Waldorf Astoria quando fu avvicinato da una gentile messaggera e pregato di trasferirsi, con l’intera collezione, nell’appartamento privato della First Lady. La quale aveva ammirato a un ballo il vestito di un’amica, che si era fatta un po’ pregare ma alla fine aveva rivelato: “È di un italiano, si chiama Valentino”. Comincia lì un’amicizia che ha quelle connotazioni sommesse, riservate, che circondano la vita di questo stilista. Sempre in primo piano, osservato, fotografato, e sempre silenzioso, segreto, irraggiungibile. Soltanto gli amici frequentano la sua casa sulla via Appia, la villa a Gstaad, l’appartamento di New York. Il lavoro e quel girone infernale di fotografi, giornalisti, modelle e art director che l’accompagna sono confinati in via Gregoriana, in un sontuoso palazzo del Cinquecento che una volta apparteneva a Propaganda Fide e ha ospitato i prìncipi della Chiesa. Per istinto o per sapienza, questo singolare personaggio ha scelto uno stile di vita che in qualche modo lo accomuna alle case regnanti e si riassume in due regole fondamentali: mai mescolarsi con il popolo, pena la fine di ogni mistero; mai dimostrarsi remoto e inaccessibile, pena la caduta di ogni entusiasmo. Incoronato re per un trionfo che non conosce sconfitte (perfino in Francia), Valentino non ha vita facile proprio in Italia» (Giusi Ferré).
• «Per assicurare un futuro al nome Valentino», a fine anni Novanta vendette ad Hdp, che a sua volta nel 2002 cedette la maison al gruppo Marzotto.
• Il rapporto con Giancarlo Giammetti (che nel 2004 confessò la loro «storia d’amore durata 12 anni» alla rivista americana Vanity Fair) «continua, nonostante l’amore sia finito, “perché quella di Valentino – raccontano gli amici – è una famiglia allargata, dove c’è spazio per i vecchi e per i nuovi amanti”» (Daniela Monti). «Una storia di complicità, complementarità, sopportazione, comprensione, rispetto e autoironia che fa del lungo legame di Valentino e Giammetti l’esempio più ammirevole di come dovrebbero essere un matrimonio felice e un’autentica, libera, fortunata storia d’amore» (Natalia Aspesi).
• «Mi dispiace non aver avuto dei figli. Anni fa ho desiderato adottare un bambino. In Marocco, passavo con la macchina sul monte dell’Atlante e ho visto un bimbo, un pastorello berbero di 4 anni. Avrei desiderato tanto poterlo adottare ma non è stato possibile».
• «Alle mie indossatrici più belle spesso dicevo: farei un figlio con te, anche con te, e con te! Beh, un grande amore l’ho avuto. L’attrice Marilù Tolo. Ero molto innamorato di lei: era veramente bellissima, bruna, con questi occhi incredibili. Lei aveva solo 17 anni, e io 27. Le ho anche regalato un anello, che ebbi indietro. Sono rimasto molto male».
• Dopo aver celebrato in luglio con una grande festa a Roma i 45 anni di attività, il 4 settembre 2007 annunciò il suo ritiro con una e-mail intitolata “Adieu”. «Il grande evento che ha celebrato i miei 45 anni di lavoro è stato magico e irripetibile. Sarebbe impensabile eguagliare l’emozione per l’amicizia e la considerazione che il mondo intero ha voluto esprimermi. Come dicono gli inglesi, il momento perfetto per andarsene è quando la festa non è ancora finita». Nella direzione creativa è stato sostituito da Alessandra Facchinetti (vedi). Accoglienza freddina: «È una signorina per bene e carina. Le ho lasciato un tale archivio: almeno tremila abiti, spero darà un’occhiata a tutto questo materiale». Dopo un anno, due sfilate di pret à porter e una d’alta moda, al posto della Facchinetti è giunta Maria Grazia Chiuri (vedi).
• Presentata a Parigi la sua ultima sfilata, ha fatto sapere che in pensione si occuperà «della fondazione e della scuola di moda che a Roma porteranno il mio nome. Disegnerò i costumi per Traviata e per un balletto del teatro di San Pietroburgo. E poi mi piacerebbe viaggiare, andare agli Oscar, sciare ad Aspen, stare di più con i miei cani e fare il giro delle mie case».
• La sua uscita di scena è coincisa con un radicale cambiamento nell’assetto azionario dell’azienda: nel maggio 2007 il controllo di Valentino Fashion Group (proprietario della maison Valentino e della tedesca Hugo Boss) passò al fondo inglese di private equity Permira (il gruppo Marzotto, proprietario dal 2002, rimase nell’azionariato). Poi, «dopo avere sborsato il record di 2,6 miliardi di euro per rilevare Valentino Fashion Group, Permira ha fatto fuori anche Valentino Garavani e il socio storico, Giancarlo Giammetti, e il presidente della Valentino, Matteo Marzotto, che si è dimesso nel marzo 2008 lasciando la poltrona a Stefano Sassi» (Paola Bottelli).
• «Mi rendo conto che la maison che porta il mio nome cambierà, ma mi auguro che il team creativo che disegnerà le varie linee e di cui fanno parte alcuni dei miei assistenti, sappia proseguire il mio lavoro in una maniera di cui possa essere orgoglioso».
• Nell’agosto 2008 ovazione alla Mostra del cinema di Venezia per l’anteprima del film-documentario Valentino: l’ultimo imperatore del regista Matt Tyrnauer («una biografia autorizzata dove c’è tutta la mia storia»). Tyrnauer «lo ha filmato dal 2005 al 2007 facendolo anche arrabbiare per qualche intrusione privata di troppo» (Gian Luigi Paracchini) [Cds 17/11/2009].
• «La storia è impastata con mille flashback. Si parte dai preparativi dell’ultima collezione per tornare su tanti immagini che hanno un po’ il sapore dell’album di famiglia. C’è un Valentino giovanissimo, quasi agli esordi, preso da qualche cinegiornale in bianco e nero. C’è il suo peregrinare, un po’ annoiato (“non so stare fermo per più di quattro-cinque giorni”) fra le case di New York, Gstaad, Roma, della campagna toscana e soprattutto del castello fuori Parigi. Case dove anche se deserte, qualcuno cambia le lenzuola tutti i giorni. E ci sono le sue vacanze sempre glamour, sia sui campi di sci, sia al timone del lucidissimo yacht, il Blue One, con i suoi cinque inseparabili carlini. Altre chicche? La battuta rubata allo stilista Karl Lagerfeld, che guardando i suoi vestiti gli sussurra all’orecchio: “Gli altri al nostro confronto fanno soltanto degli stracci”. Oppure quando fa le bizze perché gli pettinano in modo troppo selvaggio le modelle. E ancora quando (luglio 2007) nella grandiosa festa romana in teoria per festeggiare i 45 anni di attività, in realtà per dare l’addio, definisce “terribile” la scelta dell’Ara Pacis per la mostra e discutibile quella del Tempio di Venere, salvo poi trovarle memorabili» [ibidem].
• Alla prima milanese del film «si è presentato in completo nero, con al collo uno shatoosh (una sciarpa di ibek, animale rarissimo, proibita dalle convenzioni internazionali) decorato a teschi» (Roberta Mercuri) [N20 10/12/2009]. Il suo ricordo: «Io ero incollato alla poltrona, ero turbato, mi sentivo un po’ preso in giro. Sembravo un despota, il regista aveva sorpreso Giammetti e me nei nostri continui litigi, che facciamo sempre in francese. Poi gli applausi non finivano mai e capii che alla gente ero piaciuto così come sono. Il successo si raddoppiò a Toronto, dove mi dicono che invece sono più severi» (ad Aspesi cit.).
• Correntista di Hsbc, si scoprì che teneva soldi in Svizzera nel 2008: la sua scheda fu sottratta da Hervé Falciani, informatico presso la sede di Ginevra della Hsbc [Cds 12/1/2011]. Nel 2009 il fisco lo sanzionò per oltre 30 milioni (Carlo Bonini).
• Nel 2010, nel suo castello seicentesco di Wideville (25 chilometri da Parigi), ha aperto gli «Archivi Valentino Garavani, con 10 mila disegni, abiti a rotazione, foto di grandi come Avedon e Penn, raccolte-stampa e tutto quanto fa la storia dello stilista più cinematografico in assoluto» (Gian Luigi Paracchini) [Cds 6/7/2010]. L’anno dopo ha reso gli Archivi visibili online (Daniela Monti) [Cds 5/12/2011].
• Nel 2011 grande interpretazione canora (My way) al party in onore di Carine Rotfield, ex direttrice di Vogue Francia (Paola Pollo) [Cds 12/9/2011]. Nel 2009, a New York, «ha innaffiato di vino la star del Diavolo veste Prada, Anne Hathaway, e poi, su richiesta di lei, le ha autografato il vestito macchiato (ovviamente griffato Valentino)» [Cds 21/3/2009].
• Nel 2012 la sua maison è stata rilevata interamente dal fondo della famiglia reale del Qatar. «Il marchio che porta il mio nome ha ancora un prestigio indiscutibile» (a Natalia Aspesi).
Critica «Adorato dalle principesse e dalle giovani dame di sangue blu, coccolato dalle dive hollywoodiane di stampo yankee, idolatrato dalle signore che “almeno una volta nella vita sognano di possedere un suo abito”» (Antonella Matarrese).
• «Valentino e Giancarlo sono i re dell’high living. Tutti gli altri stilisti guardano e dicono “Ma come fanno?”. Credo che nessuno di loro abbia mai fatto i soldi che Valentino e Giancarlo hanno guadagnato, perché Giancarlo sa come fare soldi. E se li hanno fatti, non li hanno spesi come Valentino. Nessun altro stilista l’ha mai fatto. Negli anni del terrorismo a Roma ­ – quando le Brigate rosse rapivano le persone – Valentino girava con una mercedes blindata. E sai di che colore era? Rossa. Dio mio, pensai, vuoi proprio che ti facciano saltare in aria» (John Fairchild).
• «Un’età indecifrabile grazie a chissà quali alchimie» (Gian Luigi Paracchini).
• Nel 2013 il giornalista Tony Di Corcia ha pubblicato Valentino. Ritratto a più voci dell’ultimo imperatore della moda (Lindau). «Con le parole della top model Pat Cleveland, Barbara Vitti e Daniela Giardina, le sue pierre affezionate, le penne argute di Giusi Ferré e Adriana Mulassano, ma anche attraverso le interviste ai suoi delfini di talento Maria Grazia Chiuri e Pier Paolo Piccioli, emerge il profilo di un inguaribile jet setter. Capriccioso, esteta e beniamino di first ladies come Jackie Onassis o star del calibro di Sofia Loren, Joan Collins, Sharon Stone e Liz Taylor» (l’Espresso).
• «Valentino Garavani? Un’entità a sé, non legata al marchio Valentino. Di certo molto elegante quando lo fotografano. Quando si pensa che quarant’anni fa, dopo l’ennesima collezione tutta un volant, la grande Adriana Mulassano fece scalpore sul Corriere della Sera coniando il termine “valantinaggio” viene quasi da ridere. Un’immensa fatica per vestire Jackie Kennedy e Nancy Reagan ed ecco il risultato: i sandali con le borchie» (Fabiana Giacomotti).
Frasi «Faccio una vita principesca ma non ho mai comprato nemmeno una saliera con i soldi altrui».
• «Mi amano le americane. E lo dimostrano con quella schiettezza, quella sincerità che regola tutti i loro rapporti. Anch’io le adoro perché hanno riconosciuto il mio talento fin dagli esordi. La verità è che io ne vedo i difetti. Intuisco la durezza di questo capitalismo portato alle estreme conseguenze, ma apprezzo il fascino della lotta combattuta ogni giorno per essere i primi, i più grandi, i vincitori. Non si nascondono dietro le mezze parole e i gesti prudenti. Creano i miti in una notte e li distruggono in un’ora di trasmissione televisiva. È questa specie di naivëte un po’ crudele che mi incanta».
• «Io sono uno che disegna, non come tanti colleghi che non sanno neppure tenere la matita in mano. Io disegno, disegno, disegno: le idee mi vengono così» (a Daniela Monti).
• «Essere creativi vuol dire dare delle novità ma, arrivati al dunque, bisogna che i compratori alla sfilata dicano: ecco, questo lo metto in boutique perché riuscirò a venderne dieci, perché una giacca fatta così e così si può indossare sull’abito da sera, sulle mutande, su qualsiasi cosa. È questo che le donne comprano, non vestiti che hanno bisogno delle istruzioni per riuscire a infilarseli».
• Celebre fra tutti il suo colore preferito, ribattezzato rosso Valentino: «Il rosso è un colore che mi porto dietro dall’infanzia. Ha una tale vitalità e un tale fascino che amo vederlo non soltanto negli abiti, ma anche nelle case, nei fiori, negli oggetti, nei dettagli. È il mio portafortuna. Una donna vestita di rosso non sbaglia mai: è un colore che dona, sta bene a tutte. È un colore forte ma al tempo stesso è un non colore, è neutro: come il nero, il marrone, il blu, il bianco. Non è il verde pallido, non è una tinta pastello. Dà molta energia, molto smalto. Il rosso è vita, passione, amore, è il rimedio contro la tristezza. Penso che una donna vestita di rosso, soprattutto di sera, sia meravigliosa. È, tra la folla, la perfetta immagine dell’eroina».
• «Il mio più grande rammarico? Quello di non aver avuto il tempo, ma dovrei dire la voglia, di instradare un giovane pronto a prendere il mio posto. A forza di sferzate di Valentino sulla schiena sarebbe diventato il mio erede ideale. Se non l’ho fatto è perché sono un accentratore: l’idea di passare la mano non mi ha mai entusiasmato...».
• «Quello che fanno questi giovani proprio non fa per me. Tutti questi abiti dimessi e stropicciati e con certi bavaglini davanti mi fanno pensare agli sfollati del dopoguerra. Io ho fatto moda per abbellire le donne, non per farle sembrare tutte delle poverette».
• «La mia ultima collezione couture ha sfilato a Parigi nel gennaio del 2008, ed è stato un addio difficile. Ero pieno di rammarico, ma quel vuoto che mi sembrava insuperabile è passato subito. Era quello il momento giusto per mettere fine a una carriera che mi ha dato molta felicità, fama e ricchezza. Andando avanti non avrei sopportato come la moda stava cambiando, diventando puro mercato in mano alla gente della finanza, tesa al solo profitto. Si immagini se dopo decenni di lavoro libero e fortunato avrei potuto accettare di sentirmi dire, questo lo puoi fare questo no, non è alla meraviglia che devi pensare, ma al prodotto, non al sogno ma alla realtà» (ad Aspesi cit.).
• Come continua nella sua vita a creare meraviglia e sogno? «Disegno costumi per balletti, creo abiti per occasioni e clienti speciali, come certi matrimoni, certe spose, certe madri della sposa. È un mio piacere, come lo è dare feste speciali, in cui deve trionfare il mio culto per la bellezza, per uno stile di vita che forse è scomparso perché chi oggi ha denaro non ha sempre classe e memoria. Mi piace vivere in un lusso d’altri tempi, pranzare su tavole riccamente imbandite, disporre ovunque fiori, leggere nel silenzio, soprattutto conversare con persone con cui sia possibile chiacchierare pacatamente di tutto» [ibidem].
• «A volte gli stilisti ci tengono che in certe occasioni mediatiche le star portino i loro abiti. Io ho per esempio un primato. Sono ben otto le attrici che hanno ritirato un Oscar vestite da me, a cominciare da Sophia Loren, Elizabeth Taylor, Jane Fonda, Julia Roberts, e Cate Blanchett che ci richiese tassativamente una toilette gialla» [ibidem].
• «Avevo dodici anni quando vidi sullo schermo le attrici Lana Turner, Judy Garland, Hedy Lamarr. Ne rimasi così estasiato che decisi di creare abiti per donne belle come loro. Donne, che oggi troverei “da rivista”. Però sognavo quelle lamine d’argento, quegli strascichi di tulle, che mi facevano capire che dovevo vestire le donne, le dive più belle del mondo» (al Giornale).
• «Ogni volta che passo davanti a palazzo Mignanelli, dove ho lavorato per 45 anni, non mi sento a mio agio, mi immalinconisco, c’è sempre un po’ di nostalgia per anni per noi così belli e importanti, irripetibili. Poi mi consolo perché ancora per le strade di Roma mi riconoscono, mi fanno festa, mi chiedono l’autografo» [ibidem].
Colleghi «Trovo geniale Karl Lagerfeld, apprezzo molto Gaultier e Lacroix. Il mio mito? Il grande Jacques Fath. Ho collaborato anche con Balenciaga: ricordo una silhouette che non mi riusciva e mi ha fatto piangere».
• Gli italiani. Armani: «Stilista di gran gusto, mai volgare. Ha cambiato il modo di vestire delle donne». Miuccia Prada: «Ha creato un impero facendo cose che non sono esattamente nelle mie corde». Dolce e Gabbana: «All’inizio erano un po’ timidi, ora sono arrogantelli». Donatella Versace: «È una donna che sa vestire le donne. Non è da tutte» (da un’intervista di Paola Pisa).
Politica «Mi annoia, mi interessa solo a grandi linee, en large. Sono un pacifista, vorrei tornare all’epoca delle cartoline rosa e profumate... L’argomento che più mi preoccupa in questo momento è l’effetto serra per i danni che sta provocando».
• «Mi piacciono i Veltroni, lui e lei, schietti, con figlie adorabili, non si preoccupano di trovare uno stile. In politica apprezzo le coppie. Tipo i Clinton, molto americani ma ben rodati».
Religione «Non amo il bigottismo, ma mi piace rivolgermi alla Madonna nelle mie preghiere».
Vizi Ha una grande passione per i cani carlini: (ne possiede cinque – Milton, Monty, Margot, Maude e Molly – e gli lava personalmente i denti): «Cinque non mi bastano più (...) Li trovo sempre adagiati sui più raffinati e morbidi ritagli di cashmere. Hanno un forte senso del lusso e della comodità».
• «Amo il cibo, ma mangio da sempre in maniera sana. Ho smesso di fumare tanti anni fa, non bevo, non ho mai preso droghe. Eppure negli anni Settanta e Ottanta nelle feste c’era pieno di quella roba lì... A New York andavo allo Studio 54 ma ci stavo massimo mezz’ora. Proprio perché non avevo quel genere di vizi, mi annoiavo facilmente. Non ho mai fatto le ore piccole, massimo l’una e mezzo».
• «Se vado in un ristorante e noto qualcosa che non funziona, non tocco cibo. Se sono in Paesi esotici e lontani guardo con invidia quelli che bevono senza prestare attenzione. Io, se non ho una bottiglia sigillata e un bicchiere pulito, sono capace di non bere una goccia per tutto il giorno» (da un’intervista di Sara Faillaci).
• «Non sopporto di vedere un oggetto fuori posto, fosse anche un portacenere. Avrei voluto essere diverso, più easy going, avrei vissuto meglio. Invece sono noiosissimo».
• «I possedimenti di Valentino: Chateau de Wideville, vicino a Parigi; la villa romana sull’Appia Antica; il palazzo ottocentesco di Londra, nel cui salone si possono ammirare cinque Picasso; l’appartamento di New York a Manhattan con vista su Central Park.
• “Mi ricordo che i miei genitori erano sorpresi perché già da bambino mangiavo con la mia forchetta e il mio bicchiere personali e guai a chi me li toccava. Mia madre diceva: ‘Ma questo qui da dove è uscito, non lo so’”.
• “Non si può veramente comprendere la visione della vita di Valentino se non si è stati ospiti al suo castello, se non lo si è guardato mentre ammira le diecimila rose del suo giardino, o le sue inestimabili opere d’arte. La sua vita è pura estetica” (Matt Tyrnauer).
• È uno sciatore instancabile: “Appena posso vado in montagna a Crans e mi faccio certe discese...”.
• Su Ballantini che lo imita a Striscia la notizia: «Direi che quell’imitazione è stata il punto culminante della carriera di questo giovane, o sbaglio? Assurdamente, per un lungo periodo, era in onda tutte le sere e mi costringeva a cambiare canale. Addirittura, in due circostanze ci siamo anche incontrati. Una volta ha tentato di intervistarmi. Più di recente, alla prima del film di Muccino, era disperato perché per quell’occasione era travestito da Valentino Rossi. Mi ha detto: ‘Mannaggia, per una volta che la vedo!’” (a Sara Faillaci di Vanity Fair).
• Tra le tante belle e famose che ha vestito, la donna che l’ha colpito di più è stata Jackie Kennedy: “L’ho conosciuta pochi mesi dopo la morte di Kennedy. Diventammo amici. Una volta dimenticai nella sua casa al mare degli occhiali da sole e me li fece recapitare a Roma il giorno dopo in una busta piena di sabbia”.