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 2012  giugno 03 Domenica calendario

Biografia di Patrizia Valduga

• Castelfranco Veneto (Treviso) 20 maggio 1953. Poetessa. Tra i suoi libri: Medicamenta (Guanda 1982, premio Viareggio opera prima), Donna di dolori (Mondadori 1991), Corsia degli incurabili (Garzanti 1995), Cento quartine e altre storie d’amore (Einaudi 1997), Lezioni d’amore (Einaudi 2004), Italiani, imparate l’italiano! (Edizioni d’if 2010), da ultimo Il libro delle laudi (Einaudi 2012). Tiene la rubrica “Blitz” su Repubblica. «La letteratura deve avere un fondamento etico, altrimenti è solo intrattenimento».
• Dopo il liceo scientifico ha fatto tre anni di Medicina poi è passata a Lettere dove ha studiato con Francesco Orlando. «Ampiamente consacrata dalla critica, diverse traduzioni alle spalle (da Molière, Mallarmé, Valéry, Shakespeare), ha un rapporto di necessità con la parola poetica. E forse nel suo caso il fondamento etico ha qualcosa a che vedere con questa necessità che l’ha portata via via a sperimentare, entro forme metriche per lo più classiche, i temi “esistenziali più roventi”: erotismo, dolore, colpa, pietà. Una “capacità di canto e di strazio”, ha scritto Luigi Baldacci. “Proust diceva che la letteratura insegna a fare l’unica vera esperienza, che è l’esperienza di noi stessi: migliora la vita interiore e i rapporti umani. Ecco, questo è il suo fondamento morale”. Proust è una delle sue passioni di lettrice. Anzi, la passione per eccellenza, condivisa con il compagno della sua vita, Giovanni Raboni (1932-2004)» (Paolo Di Stefano).
• «Ho avuto il privilegio di vivere per 24 anni con Raboni, da cui imparavo anche quando stava zitto. Ho imparato che ci vuole l’orecchio, che la letteratura è piacere, i versi devono venir fuori da soli». Nel 2006 ha firmato la postfazione alla raccolta postuma di Raboni Ultimi versi (Garzanti). «Voglio comprarmi una bara di piccole dimensioni, lunga un metro e settanta, per riuscire a farmi mettere sopra di lui. La posizione futura dei nostri scheletri mi ossessiona, e mi consola (...) Dopo i versi scritti per Giovanni la vena è esaurita. Come la mia vita: sono sola, gli amici sono pochi e latitanti. Vivo a Milano come un’immigrata sperduta. Il mio permesso di soggiorno era Giovanni ed è scaduto» (ad Antonio Bozzo).
• «Non riesco a godere di una storia, ma solo di un pensiero detto in bello stile».
• «In passato mi hanno attaccata perché ho detto che Leopardi non è un grande poeta, mi hanno accusata di esibizionismo. In Italia non è possibile dire che Prati è il nostro maggior poeta romantico e che Leopardi è un aborto imbarazzante, che non è un poeta ma un filosofo, e che in lui non c’è un briciolo di piacere. Il piacere è mettere in successione ordinata il senso, il suono e il ritmo».
• «Non conosco i contemporanei, non mi interessano, non ne ho voglia. Il più grande narratore italiano del secondo Novecento è Paolo Volponi, un uomo di altissima statura morale».
• Veste sempre di nero: «è una questione di praticità. Innanzitutto perché amo la monocromia e mettere insieme i colori è difficilissimo. Il nero è nero. Poi io ho sì una carnagione chiarissima ma ho pure un accenno di baffi alla tartara che saltano fuori subito quando indosso altre tinte. Poi sono nervosissima e ho una sudorazione terribile. Con il nero il problema è sempre risolto. E non si nota mai quando comincio a sudare come un cavallo. Altra considerazione è che il nero non si sporca o per lo meno non si vede. Così puoi anche indossare gli stessi pantaloni per una settimana» (da un’intervista di Paola Pollo).
• Moglie del poeta, traduttore e critico letterario Giovanni Raboni. La loro relazione è durata dal 1981 al 2004, anno della morte di lui. «Gli ho detto che volevo portargli dei sonetti; mi ha dato un appuntamento. Sono partita in automobile da Belluno alle sei del mattino, sono arrivata sotto casa sua piena di paura e allora ho bevuto mezzo whisky. Quando ha aperto la porta mi sono presentata con queste parole: sono un po’ ubriaca e mi scappa da pisciare. Ero vestita come Marlene Dietrich in Disonorata. Gli è venuto da ridere. Poi ricordo che stava scrivendo una dedica per me su un suo libro, che mi sono inginocchiata per leggerla mentre la scriveva e che ci siamo baciati. Grazie a Dio i sonetti gli sono piaciuti, se no finiva tutto lì» (da un’intervista di Dario Cresto-Dina).
• «Mai andata su Youporn, per me gli uomini sono eccitanti se sono vestiti. Ho un motto: musica dal vivo, arte dal vero, persone di persona».
• «Il mondo letterario mi fa orrore, ormai ci sono solo giornalisti».
• «Fin dall’esordio ha puntato tutte le sue carte sul ripristino rigoroso di generi metrici della tradizione, ma si ha l’impressione che una griglia tanto costrittiva, coi suoi rapporti obbligati di rime e di misure sillabiche, funzioni per la poetessa da argine nei confronti di una piena sensuale altrimenti incontrollabile, nella vertigine tutta barocca della contemplazione di Eros attraverso Thanatos e viceversa» (Stefano Giovanardi).
• «È il suo modo di travestirsi restando semplicemente bella e spaventata. Entusiasta, le riesce di ricordare nei dettagli che cosa indossava in una certa occasione di dieci anni fa: ”Cappello Louise Brooks e impermeabile con collo di volpe”, ma poi spazza subito il cammeo dalla memoria con la cruda quasi crudele realtà dell’oggi: “Andrò a camminare su corso Buenos Aires, veloce come una mentecatta, per contrastare minimamente l’inevitabile caduta delle chiappe, che dopo quella dei denti e dei capelli ha preso a rattristarmi da qualche tempo, con un piumino corto, pantaloni termici, come osano autodefinirsi ma non è vero, stivali, passamontagna di cotone e cappello anni ’70. L’effetto è sorprendente: ieri in tram una donna mi ha detto che sembro Eleonora di Aquitania. Robb de matt”» (Dario Cresto-Dina).
• Vive a Milano.