3 giugno 2012
Tags : Valentino Vago
Biografia di Valentino Vago
• Barlassina (Milano) 16 dicembre 1931. Pittore. Uno dei protagonsiti dell’astrazione europea. Dipinge “opere murali”, ovvero le pareti di ospedali, banche, case, negozi, fabbriche, da ultimo la chiesa cattolica di Doha, nel Qatar (10 mila metri quadri, la Cappella Sistina ne fa 750). «Una tela di dieci centimetri o un muro di diecimila per me sono la stessa cosa».
• Colora con una pistola a spruzzo, centimetro dopo centimetro («come i graffitari»). «Nelle mie chiese, voglio dare l’idea della levità. Dipingo l’altrove, in modo che chi entra si trova protagonista dell’immenso mistero trascendentale della bellezza. Più che i muri, dipingo l’aria, come una volta mi disse Tullio Pericoli».
• «Viene da una famiglia di mobilieri della Brianza. Speravano, i suoi genitori, di fargli studiare il design per poi riportarlo nell’azienda a disegnare mobili. A Brera, invece, è stato folgorato dalla pittura. Si faceva chiudere in classe dai bidelli oltre la fine delle lezioni per poter finire il suo lavoro, perché non voleva interrompere un’emozione. Poi a un certo punto ha interrotto il sentiero figurativo, ha preso tutti i suoi quadri e li ha bruciati in un falò in giardino. Di quel periodo che dimostra il suo talento nel disegno, resta quasi nulla» (Bruno Ventavoli).
• Ha avvolto la chiesa di Doha, eretta in mezzo alle sabbie con i risparmi dei poveri lavoratori cristiani del Golfo, immigrati filippini, africani, indiani, in un manto di colori lievi che sfumano dall’azzurro al rosa, dal bianco fino al giallo del soffitto. Ma riempire con questi colori i 10 mila metri quadrati di superficie non è stato facile, anche perché poco prima di iniziare i lavori gli hanno scoperto un cancro al fegato. «Dipingo con le mani, accarezzo i colori, li stendo sulla tela finché non si illuminano. È un lavoro lungo, fisico, certe volte mi sanguinano addirittura i polpastrelli. E qualcuno pensa che il mio tumore sia stato appunto provocato dai componenti chimici velenosi che contengono. Ma io ci credo poco, i colori sono la vita per me, sono la bellezza, non possono darmi la morte. E se anche fosse non importa».
• «È andato barcollante in Oriente, con un’infermiera al seguito, una sedia a rotelle, un bastone per reggersi. Ma al contatto con i colori la forza è tornata. Per settimane, lui 77enne, si è arrampicato su ponteggi, su elevatori che barcollavano e ogni tanto si bloccavano, schiaffeggiato dai venti del deserto, strattonato dalle tempeste di sabbia. E metro dopo metro, esile simulacro di un’immensa energia creativa, ha dipinto di luce la materia. Completamente solo, perché gli assistenti dovevano solo assisterlo. “L’opera non vuole altre mani”. Alla fine ognuno di quegli operai che arrivavano dagli angoli più poveri del pianeta, che credono con forza nel Dio cristiano e che amavano Valentino come un bonario patriarca, ha avuto l’onore di dipingere una stella sul soffitto» (ibid).