3 giugno 2012
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Biografia di Unabomber
• Terrorista. Emulo dell’americano Teddy Kaczynski, che combattendo una guerra personale contro la scienza e la società tecnologica uccise negli Stati Uniti tre persone e ne ferì ventitré tramite ordigni spediti per posta.
• Il primo cilindro riempito di esplosivo dell’Unabomber italiano scoppiò nel 1994 a Sacile, provincia di Pordenone. Da allora ha colpito nascondendo gli ordigni in tubetti (per le bolle di sapone, per la maionese), barattoli (di crema di nocciole, pomodori), accendini, pennarelli, evidenziatori, cartoni di uova ecc.
• Il 2 novembre 2001 al cimitero di Motta di Livenza (Treviso) la sessantenne Anita Buosi perse un occhio e una mano per l’esplosione di un lumino che aveva notato lontano dalle lapidi e aveva raccolto per portarlo alla tomba dei sacerdoti: «Le mie ferite non si sono mai rimarginate, e io, da quel giorno terribile, sono ancora sconvolta, faccio fatica a parlarne anche a distanza di tempo. La mia vita è stata distrutta».
• A dargli la caccia erano, fino al marzo 2008, gli specialisti di quattro Procure (Venezia, Treviso, Trieste, Udine), coordinati in un pool. Poi il gruppo interforze che poteva dedicarsi solo a questa inchiesta è stato smantellato, vuoi per le indagini che in cinque anni hanno prodotto assai poco, vuoi per i costi o per il fatto che un membro stesso della squadra investigativa (vedi Ezio Zernar) è finito sotto processo con l’accusa di aver manomesso una prova che sembrava decisiva. «La dismissione del pool, messo su, con grandi aspettative, all’epoca di Giuseppe Pisanu, ministro degli Interni, è stata graduale. I 30 uomini (15 carabinieri, di cui 10 dei Ros, e altrettanti poliziotti) della prima ora, coordinati dai procuratori di Trieste, Nicola Maria Pace, e di Venezia, Vittorio Borraccetti, nel luglio del 2007 erano già dimezzati. Poi, ulteriormente calati a 6» (Marisa Fumagalli). Il 17 marzo 2008, infine, la notizia ufficiale del decreto del Viminale.
• Il procuratore Borraccetti: «Ci siamo convinti nel corso di questi anni che la mano sia una, o meglio che il costruttore degli ordigni sia sempre lo stesso. Eventualmente può esserci qualcuno che lo aiuta a collocarli, ma all’origine degli attentati c’è una sola persona. Le azioni sono banali, gli oggetti usati sono banali, la componentistica per fabbricare gli ordigni è costituita da materiali di uso comune, facilmente reperibili. Le azioni che questa persona compie non lasciano mai tracce significative che possano farci arrivare a delle conclusioni (...) Le tracce sono ambigue, non univoche, quando l’attentatore va a piazzare le sue trappole è difficile che venga notato e può lasciarle sul posto anche molti giorni prima che esplodano. Basti pensare che una è finita per caso addirittura in Romania (una scatoletta di sgombri esplosiva mescolata ad un carico di aiuti umanitari – ndr). Noi crediamo che lui voglia semplicemente far male, colpendo alla cieca, e la ragione potrebbe avere a che fare con la sua vita, i suoi rapporti familiari o extrafamiliari; ma è una conclusione a cui si arriva per deduzione, non supportata da elementi di prova (...) In questi anni abbiamo prodotto una mole consistente di lavoro, manca solo il risultato: ci vorrebbe quella traccia in più, necessaria a saldare le nostre conoscenze a un nome preciso».
• Vedi anche Elvo Zornitta.