3 giugno 2012
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Biografia di Sergio De Caprio
• (Sergio De Caprio) Montevarchi (Arezzo) 21 febbraio 1961. Carabiniere. Uno degli uomini che nel 1993 arrestarono Totò Riina (vicenda che gli causò anche problemi giudiziari per i ritardi nella perquisizione del covo, accusato per favoreggiamento e infine assolto). Noto al grande pubblico per una fiction tv in cui veniva interpretato da Raoul Bova. Da ultimo, tenente colonnello del Nucleo operativo ecologico, ha collaborato col pm Henry Woodcock nell’indagine sull’ex ministro dell’Ambiente Alfonso Pecoraro Scanio.
• «Fino al 25 maggio del 2000 è stato un uomo senza volto, senza identità. Se doveva testimoniare in un’aula di giustizia si copriva con un cappuccio, se doveva prendere un aereo gli sceglievano nome e cognome di fantasia. Per tutti era Ultimo, il nemico dei mafiosi. L’Arma lo aveva sempre protetto, pur sopportando con qualche difficoltà il suo carattere irruente, i suoi modi certamente estranei alla disciplina di una forza armata. Quel giorno Ultimo capì che la fine era arrivata. Un comunicato di venti righe dettato alle agenzie di stampa dal Comando generale dei carabinieri respingeva le sue accuse di essere stato “lasciato solo e senza mezzi” per combattere le cosche. In quella nota, per ben tre volte, veniva nominato il maggiore Sergio De Caprio. “L’Arma rompe il silenzio”, titolarono i giornali. Il leggendario capitano Ultimo ormai era uno dei tanti. La sua battaglia per continuare a combattere la mafia come aveva sempre fatto, era stata interrotta. L’uomo, che dopo aver catturato Totò Riina sognava di poter prendere anche Bernardo Provenzano, fu costretto ad arrendersi. Gli investigatori che assieme a lui avevano passato giorni e notti a dare la caccia al capo della mafia, erano stati quasi tutti destinati a nuovi incarichi. Via Arciere, via Ombra, via tutti, uno dopo l’altro» (Fiorenza Sarzanini).
• «Tienanmen, Toro Seduto, il Che. E un carabiniere “che se lo vedi non sembra neanche un carabiniere, giubbino di pelle, pantaloni sdruciti, i guanti senza le dita e le sciarpone”, Pino Corrias si blocca, fruga nella memoria a caccia di un’immagine: “Un ragazzo della contestazione. Ecco a chi assomigliava, Ultimo. Un grande capo carismatico, con una squadra di una decina di ragazzi, Vichingo, Arciere, erano ragazzi sul serio, e lo adoravano”. L’anno è il 1999, “stavo scrivendo la sceneggiatura per la fiction, e volevo sapere come lavorava, chi era questo tizio che da vent’anni vive in clandestinità, con 7-8 condanne a morte che lo seguono e non vanno in prescrizione”. E il primo incontro tra il giornalista scrittore e il segugio antimafia: “Entro e vedo questa scrivania con il ripiano di vetro e, sotto, un bandierone con la faccia del Che. Alzo lo sguardo, c’è Toro Seduto, e piazza Tienanmen, l’omino con il sacchetto della spesa che ferma i tank”. Tre personaggi, tre storie, “quello in cui crede sta lì, ognuno è libero se ha il coraggio di esserlo”» (Gabriela Jacomella).
• Nel maggio 2007 in una lettera scritta dal suo avvocato al Corriere della Sera si sentì in dovere «di ribellarsi alla dittatura di una certa antimafia di salotto e di potere»: si riferiva a una dichiarazione di Claudio Fava che adombrava l’esistenza di trattative e patti tra Stato e mafiosi alla base della cattura di Riina.
• Insegnante di Tecniche investigative, ha pubblicato un manuale destinato alla Scuola di perfezionamento della Polizia, La lotta anticrimine, intelligence e azione (Laurus Robuffo): una copia della prima versione, che circolava in poche librerie, venne trovata nel comodino di Bernardo Provenzano.
• Nel 2012 guidò la squadra che indagò sui soldi spesi dalla Lega per la famiglia Bossi e sull’attività del tesoriere Francesco Belsito. Nello stesso anno a capo della perquisizione dell’appartamento e dell’ufficio di Gotti Tedeschi, ex-presidente dello Ior. Nel 2013 arrestò Giuseppe Orsi, presidente e amministratore delegato di Finmeccanica.
• «L’antimafia è diventata spettacolo, un gran bel business per alcuni. (…) Io svolgo un’azione che mi è stata insegnata da grandissimi maestri. Ricordo ancora il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, che rimane un esempio di vita e di tecnica, il generale Mori, il giudice Falcone; ma ho imparato molto anche da magistrati come Ilda Boccassini e tanti altri (…) Credo che se fossi stato in America sarei finito in una riserva indiana accanto ai miei fratelli apache. E comunque preferisco l’Italia all’America» (a Giorgio Mulé) [Pan 24/10/2013].
• «Non indossa la cravatta, solo una sciarpa indiana e porta il codino. Quando nel luglio 2008 gli viene revocata la scorta, lui si è comprato un motorino» (Enrico Fedocci) [Pan 19/11/2009].
• Prese 9, 7 e 8 voti rispettivamente al secondo, terzo e quarto scrutinio per l’elezione del Presidente della Repubblica nell’aprile 2013 (candidato dai Fratelli d’Italia).